Mentre gli USA si spolpano per sostenere lo sterminio dei palestinesi, la Cina si riprende Taiwan
Mentre gli USA si avviano a impantanarsi definitivamente (un’altra volta) in Medio Oriente fornendo a Israele quel poco che gli rimane, in termini di sistemi d’arma, dopo aver preso una quantità di schiaffi inenarrabili per quasi 3 anni dalla Russia sul fronte ucraino, la Cina mostra i muscoli e dimostra in modo plateale che in questo contesto è in grado di vincere la più importante delle battaglie della Guerra del Pacifico quando e come vuole. Mentre Netanyahu incassava l’ennesimo sostegno USA allo sterminio incondizionato dei bambini palestinesi garantendosi la fornitura di uno dei soli 7 esemplari esistenti del prestigioso sistema di difesa antiaerea THAAD (con tanto di 100 militari specializzati USA al seguito), Pechino, infatti, nell’arco di pochissime ore metteva in campo una delle più grandi esercitazioni di sempre e dimostrava come – anche proprio grazie all’impegno dell’alleato padrone di Washington e della sua industria bellica su altri due fronti – è in grado di isolare la provincia di Taiwan dal resto del mondo e costringerla a una rapida resa: “È la prima volta che la Cina lancia un’esercitazione che mira a bloccare i porti e tutte le aree di accesso chiave a Taiwan” ha scritto in un editoriale il giornalista cinese Shichun Wang; “In questo modo possiamo abbordare, ispezionare e sequestrare le navi che inviano armi statunitensi a Taiwan e impedire ad altri Paesi di inviare navi petrolifere e di gas naturale sull’isola”. “Il successo o il fallimento di un blocco cinese” ha continuato “dipende interamente dalla capacità di Washington e dei suoi alleati di intervenire tempestivamente in supporto dell’isola”, ma con questa esercitazione abbiamo dimostrato che “l’iniziativa ora spetta alle nostre forze armate, e che nessun sostegno dall’estero sarà veramente possibile”. Come abbiamo sottolineato innumerevoli volte, gli USA fanno fatica a tenere botta anche solo su un unico fronte; con due fronti aperti la faccenda si complica a dismisura; con tre la debacle, se non si può dire totalmente assicurata, poco ci manca. Il problema è che, ormai, a dettare l’agenda non è più l’Occidente collettivo solo soletto, che deve dosare le energie per capire dove e come attaccare: come sottolinea Wang per il caso di Taiwan “l’iniziativa ora spetta alle nostre forze armate”, così come spetta alle forze armate della federazione russa e, dal 7 ottobre del 2023 (anche se in misura e con modalità diverse) all’asse della resistenza nel Medio Oriente. Senza dimenticare che, nel frattempo, la Corea del Nord ha ulteriormente alzato l’asticella demolendo le vie di comunicazione che ancora la collegavano fisicamente ai cugini del sud; come, d’altronde, in Africa l’asse dei paesi ribelli del Sahel, con il Burkina Faso che ha recentemente annunciato la nazionalizzazione delle miniere d’oro, cosa che -evidentemente – non è piaciuta alla sinistra imperiale.
Per celebrare il 37esimo anniversario della morte del leggendario leader antimperialista Thomas Sankara, Il Manifesto martedì ha pubblicato questo lungo articolo a firma Gaetano Mazzola (che fino a ieri non avevo mai sentito nominare e, sinceramente, avrei preferito continuare così): l’articolo di Mazzola sembra quasi una caricatura dell’astrattismo dirittumanista che rende l’aperisinistra occidentale universalmente odiata in tutto il Sud globale; l’autore non riesca a farsi una ragione del fatto che il leader patriottico Ibrahim Traoré prediliga il rapporto con Vladimir Putin a quello con Elly Schlein e Anna Baerbock. In questa fase di declino imperiale, il suprematismo culturale della sinistra ZTL si rivela (ancora una volta) l’alleato più fedele del neocolonialismo di matrice atlantica; fortunatamente, fuori dalle terrazze dei Parioli non conta una seganiente. Ma prima di addentrarci in questa radiografia aggiornata dell’impasse strategica dell’imperialismo a guida USA, vi ricordo di mettere mi piace a questo video per permettere anche a noi di prendere l’iniziativa sul quarto fronte del conflitto (quello contro la propaganda mainstream e la dittatura degli algoritmi al servizio dell’impero) e, se ancora non lo avete fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali su tutte le piattaforme social e attivare tutte le notifiche: a voi costa meno tempo di quanto non impieghino le invincibili forze armate statunitensi per battere in ritirata da uno degli innumerevoli teatri di guerra che hanno contribuito ad incendiare, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette di provare a impedire che i pennivendoli a libro paga delle oligarchie atlantiste facciano passare questa gigantesca debacle come l’ennesimo, inevitabile trionfo della superiorità dell’uomo bianco.
Come ampiamente prevedibile, il trito e ritrito teatrino del tira e molla tra lo sbirro cattivo sionista e quello buono democratico si è concluso con un bel bastimento di nuove, avanzatissime armi USA a sostegno dello sterminio indiscriminato di bambini palestinesi; da Gaza, intanto, arrivavano le prime raccapriccianti immagini dell’attacco dei fascio-sionisti alla tendopoli di fortuna allestita all’esterno dell’ospedale dei martiri di Al Aqsa di Deir al-Balah, nel bel mezzo della Striscia, dove da mesi si accalcano centinaia di feriti in condizioni infernali e che, dopo l’attacco, s’è trasformato in un inferno vero e proprio, con un incendio che ha bruciato vive in diretta streaming diverse persone, bambini compresi. Pochi giorni prima Israele, dopo aver minacciato esplicitamente il capo dell’ONU Guterres, aveva aperto il fuoco sulle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite di stanza in Libano – concentrandosi, in particolare, su quelli italiani; e cosa fa il Paese leader del mondo libero e democratico per tornare ad imporre il rispetto (almeno di facciata) del diritto internazionale e di quello umanitario? Spedisce a Tel Aviv il più avanzato dei suoi sistemi di difesa antiaerea, il THAAD, con tanto di 100 uomini in divisa necessari per usarlo come si deve: l’obiettivo è permettere a Israele di provare a ristabilire un minimo di deterrenza nei confronti dell’Iran dopo il catastrofico fallimento dell’Iron Dome durante la pioggia di missili che sono arrivati da Teheran il primo ottobre scorso, una reazione che, appunto, è stata al centro dell’ennesimo teatrino. Inizialmente, infatti, il timore sollevato ad arte dalla propaganda sionista e dai media al suo servizio (cioè tutti) era che Israele potesse reagire attaccando le infrastrutture nucleari iraniane; peccato, però, che sia più facile da dire che da fare: le infrastrutture nucleari iraniane infatti, com’è ovvio, sono ben fortificate e, in gran parte, sottoterra, parecchio sotto. Per colpirle servirebbe una potenza di fuoco notevole, vale a dire una quantità consistente di bombe anti-bunker, fondamentalmente lanciate dagli F-35. E non è detto che basti: il problema è che le installazioni nucleari iraniane, altrettanto ovviamente, sono abbastanza lontane dal confine – perché la minaccia israeliana non è che è nata esattamente ieri e gli iraniani, magari, non appartengono esattamente a una civiltà superiore come quella occidentale decantata da Rampini, ma c’è la remota ipotesi che non siano comunque nemmeno completamente rincoglioniti; il problema di raggiungere l’interno del Paese con numerosi F-35, però, consiste nel fatto che (nonostante non abbiano gli USA che glieli forniscono) gli iraniani sono dotati di difese antiaeree piuttosto massicce che anche se non sono prodotto della superiore tecnologia immaginaria occidentale, quando non sono prodotte in casa arrivano dalla Russia – che così, a occhio, negli ultimi tre anni ha dato prova qualche competenza in materia di averla. Insomma: l’ipotesi degli attacchi alle installazioni nucleari era – piuttosto probabilmente – una puttanata da dare in pasto alla propaganda che sostiene il genocidio, per poi far passare il fatto di accontentarsi di obiettivi strategicamente meno significativi come un atto di moderazione e un’apertura al dialogo tale da giustificare l’invio di un premio sotto forma di una nuova ondata di armi USA.
Il THAAD, effettivamente, è una delle cose più preziose che gli USA potessero inviare, anche perché in 20 anni sono stati in grado di produrne appena 7; lo sforzo, quindi, è ammirevole: sarà anche sufficiente a cambiare le carte in tavola? Come tutte le armi che in questi tre anni sono state propagandate come risolutive in un conflitto che, invece, ha continuato ad andare di male in peggio come quello in Ucraina, ovviamente no. Il sistema THAAD dovrebbe servire a intercettare i missili balistici a medio raggio (che l’Iran possiede in discrete quantità) e che il primo ottobre hanno letteralmente umiliato la difesa antiaerea israeliana; ha la fama di essere un sistema sostanzialmente infallibile: secondo i test, infatti, andrebbe a segno il 100% delle volte. Peccato che, più che di test realistici, si tratti di banali operazioni di marketing: le condizioni nelle quali avvengono non hanno assolutamente niente a che vedere con quelle concrete che si riscontrerebbero sul campo; questo a prescindere, diciamo. Nel caso degli iraniani, poi, nel tempo – visto che il THAAD, comunque, ha una ventina d’anni d’età – hanno sviluppato una discreta serie di escamotage: il primo è che alcuni missili balistici sviluppati dall’Iran (come il Shahab-3 o il Khorramshahr) hanno la capacità di trasportare quelle che vengono definite decoy, cioè esche; in sostanza, i missili, durante il loro tragitto, rilasciano alcune testate che funzionano da falsi obiettivi in grado di confondere il THAAD. Questo significa che per intercettare uno di questi missili balistici sarebbe necessario l’impiego di numerosi intercettori. Inoltre il THAAD, fondamentalmente, è progettato per intercettare missili che seguono traiettorie piuttosto prevedibili, ma alcuni missili balistici iraniani (come il Ghadr-110 o l’Emad) hanno capacità di manovra nella fase terminale di volo e quindi, una volta rientrati in atmosfera, sono in grado di variare la traiettoria in modo imprevedibile; inoltre, alcuni missili balistici iraniani (come il Sejjil-2) sono a propellente solido, il che (in soldoni) si traduce nel fatto che hanno tempi di lancio molto più rapidi e riducono così l’efficacia dei sistemi di allerta rapida e rendono il lavoro di sistemi come il THAAD enormemente più complicati, soprattutto qualora si trattasse di un attacco coordinato con più lanci simultanei. Insomma: facendo la tara di tutte le complicazioni concrete, per beccare il missile balistico giusto al momento giusto probabilmente sono da preventivare almeno 3 o 4 intercettori; il problema è che il THAAD ne ha a disposizione solo 48 per volta e, quando hai finito la prima mandata, sei fottuto: nell’arco di quasi 25 anni, infatti, Lockheed Martin è stata in grado di produrre, in tutto, appena 800 intercettori e ora ne produce meno di 40 l’anno. Insomma: ragionando proprio a spanne, se anche tutta la produzione fosse riservata esclusivamente a Israele lo metterebbe in condizione di intercettare 10-15 missili balistici l’anno; peccato che, tra tutte le tipologie, si stima ne abbiano in magazzino tra i 250 e i 500 e che siano in grado di produrne ogni anno tra i 50 e i 100.
Insomma: i conti non tornano e anche quando si cerca maldestramente di farli tornare in qualche modo con un po’ di propaganda su tutti gli altri livelli di contraerea in possesso di Israele, ecco che arriva la ciliegina dei missili ipersonici; l’Iran infatti, com’è noto, si è dotato anche di missili ipersonici come il Fattah, in grado di raggiungere una velocità 15 volte superiore quella del suono, ma che (soprattutto) vola a bassa quota ed è altamente manovrabile. Insomma: è sostanzialmente non intercettabile – o almeno, anche solo per provarci, probabilmente richiederebbe l’impiego di un’intera batteria di intercettori. A onor del vero, comunque, bisogna sottolineare che in realtà non sappiamo quanti di questi missili ipersonici siano stati ad oggi prodotti e, ancor meno, quanti l’Iran sia in grado di produrne con continuità; il punto è che per difendere adeguatamente la minuscola Israele in caso di un’escalation che, secondo molti analisti, appare piuttosto probabile, o anche solo per cercare di ricostruire una qualche deterrenza mentre la Russia continua ad avanzare (lenta, ma inesorabile) nell’Ucraina orientale, gli USA si dovrebbero letteralmente svenare anche perché, rispetto all’Ucraina (nonostante il sostegno degli stati vassalli dell’impero sia ovviamente incondizionato) perlomeno c’è qualche timidezza in più – ammesso e non concesso che si tratti di timidezza e non di totale impotenza: ed ecco, così, che tirando la coperta corta tutta da una parte, un’altra, a 8 mila chilometri di distanza, rimane completamente scoperta.
Per esercitare un minimo di deterrenza nei confronti della Cina continentale, l’altrettanto piccola Taiwan avrebbe bisogno di essere armata fino ai denti; ma prima ancora che il Medio Oriente tornasse sulle pagine della cronaca bellica, la guerra in Ucraina aveva già imposto di rimandare le consegne – a partire dai Patriot, accordati nel lontano 2021, ma dei quali non c’è ancora traccia all’orizzonte: figurarsi adesso quali sono le prospettive con l’escalation in Medio Oriente in pieno corso. E per dare una rappresentazione plastica di come questa totale incapacità di assistere adeguatamente la provincia di Taiwan abbia cambiato la bilancia di potere nell’area, lunedì scorso la Cina ha messo in campo un’esercitazione che così, a occhio, lascia pochi dubbi: nell’arco di poche ore, Taiwan s’è ritrovata circondata da 17 navi da guerra (compresa una portaerei) e altrettante imbarcazioni della guardia costiera – che, detta così, sembra una cosa innocua, ma nel caso cinese non lo è affatto; si tratta, spesso, di imbarcazioni che hanno una stazza superiore alle nostre fregate e dotate di sistemi d’arma consistenti. Ma quello che ha reso questa esercitazione particolarmente significativa è stato l’elevatissimo impiego di forze aeree: oltre 150 tra aerei e droni di ogni genere; a scatenare l’operazione era stato, giusto 4 giorni prima, il primo discorso che il neo presidente Lai Ching-Te ha tenuto in occasione della festa nazionale. Nonostante le oggettive difficoltà di Taiwan derivate dal mancato sostegno concreto del protettore statunitense in altre faccende affaccendato, Lai ci ha tenuto comunque a fare lo sbruffone e a ribadire la sua linea indipendentista. La risposta della Cina indica, come sottolineavamo nell’incipit di questo video, che l’iniziativa ora spetta all’esercito di liberazione popolare, che ha tutti gli strumenti per impedire il soccorso da parte di forze straniere (indispensabile per pensare di poter contrastare la potenza cinese); come avrebbe affermato l’esperto dell’Accademia di scienze militari dell’esercito popolare di liberazione Wang Wenjuan al Global Times, più i separatisti continuano a riempirsi la bocca con l’indipendenza di Taiwan, sempre maggiori saranno le contromisure messe in campo dalla Cina, che è determinata a “dissipare l’illusione tra le forze separatiste che la terraferma si asterrebbe dall’intraprendere azioni militari in caso l’accelerazione verso l’indipendentismo dovesse continuare”.
Insomma: quella che fino a pochissimi anni fa era considerata l’unica e invincibile superpotenza del pianeta, giorno dopo giorno deve fare i conti con le conseguenze materiali irreversibili del suo lento declino, a meno che non si accontenti del fatto che evidentemente – nonostante il sostegno incondizionato al primo genocidio in live streaming della storia dell’umanità – il suo sistema imperiale continua ad esercitare un certo fascino negli scappati di casa della sinistra imperiale delle colonie europee; per diffondere la consapevolezza di questo inesorabile declino e valutare in modo realistico le opportunità che offre a chi quotidianamente si batte per spezzare le catene arrugginite del dominio imperiale, abbiamo bisogno di un media indipendente (ma di parte) e che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Gaetano Mazzola