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Tag: meritocrazia

Ma quale meritocrazia! – Contro il più grande mito del nostro tempo

La meritocrazia è un dei più importanti miti sociali del nostro tempo che serve a convincere le persone che se non raggiungono posizioni importanti nella società è solamente colpa loro e a nascondere gli effettivi rapporti di potere nel mondo. Tutti i dati ci dicono che le diseguaglianze economiche si ereditano di padri in figli nella stragrande maggioranza dei casi. Purtroppo, anche a scuola e nell’Università sempre di più questa finta meritocrazia sta diventando il criterio attraverso cui viene strutturata la ricerca e il sapere. Ne parleremo a Fest8lina con Francesco Sylos Labini e Salvatore Cingari venerdì 5 luglio dalle 15 alle 16.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare!

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

UN MONDO MALATO – Come BigPharma e le Oligarchie ci fanno sbroccare di testa, e ci danno pure la colpa

Insieme alla catastrofe ecologica, oggi stiamo assistendo ad una vera e propria catastrofe psicologica dei popoli occidentali. I dati sono inquietanti: sia l’Istat che il recentissimo studio Headway – Mental Health Index realizzato da The European House, ci dicono che il 20% degli italiani soffre di almeno un disturbo psichico, e questo senza contare i tantissimi casi di disagio sommerso che non appaiono nei numeri; ansia, depressione, stress, solitudine, paura i disturbi più diffusi. E il problema non è solo italiano, ma riguarda tutti i paesi occidentali più sviluppati.

Mark Fisher

Le contromisure prese dagli Stati e dalla Commissione Europea, come i corsi di prevenzione per bambini e adolescenti e i fondi destinati all’aumento di ambulatori specializzati, si stanno dimostrando un fallimento e sviano l’attenzione dalle cause profonde e strutturali di questa crisi. Come sostenevano i grandi sociologi e filosofi Mark Fisher e Oliver James – oggi in compagnia di sempre più numerosi psicologi e psichiatri – la così ampia diffusione di certe malattie mentali non può essere spiegata come un fatto puramente privato e medico, ma come un fatto politico, legato a un sistema culturale e produttivo – quello neoliberale – che stritola l’individuo e lo riduce ad una vita sempre più esigente, solitaria e disperata. Nel saggio Why Mental Health Is A Political Issue Fisher scrive che invece di affrontare il problema politico della questione, si assiste a un processo di continua privatizzazione dello stress in cui le cause strutturali e politiche di questo disagio vengono rimosse e taciute; nel frattempo, i profitti delle case farmaceutiche nell’industria degli psicofarmaci non fanno che aumentare, e sono passati dai 16 miliardi del 2018 ai 21 miliardi del 2022. Lo psichiatra Paolo Migone, direttore della rivista Psichiatria e scienza umane, scrive: “Le grandi multinazionali farmaceutiche penetrano ogni aspetto della medicina, condizionandone la cultura alla luce dei propri interessi che, come è naturale, non mirano proprio alla salute delle persone ma all’aumento dei loro guadagni. Per le case farmaceutiche, al limite, più malati ci sono meglio è, perché questo permette maggiori profitti. Nei Paesi in cui non vi è un servizio sanitario nazionale ma in cui la medicina è privatizzata la situazione è ancora peggiore”. Fisher e James individuano le cause della crescente diffusione dell’ansia, dello stress e della depressione negli elementi alienanti e patogeni della nostra cultura e del nostro sistema produttivo, e si augurano che contro la privatizzazione dello stress si assisterà, in futuro, a un processo di ri -politicizzazione delle malattie mentali, che permetta alla lotta politica di riappropriarsi di questa fondamentale dimensione sociale.
“Esistono i singoli uomini e le singole donne, ed esistono le famiglie, non esiste nulla che possa definirsi società” ha detto una volta Margaret Thatcher dando voce ad una delle convinzioni profonde della cultura neoliberale. Il 13 gennaio del 2017 l’intellettuale inglese Mark Fisher, che aveva dedicato gran parte suo lavoro a confutare questa affermazione della Thatcher, morì suicida a causa di una profonda depressione che lo aveva accompagnato tutta la vita; Fisher accusava la Thatcher di essere uno dei massimi rappresentanti del cosiddetto Realismo capitalista, ossia di quell’atmosfera culturale oggi dominante per la quale il capitalismo neoliberale, nonostante tutti i suoi difetti, sarebbe comunque la miglior forma di società possibile, e che il tentativo di pensare un modello politico alternativo sarebbe ingenuo, ideologico, e in fondo incapace di fare i conti con la natura umana.
Ma che cosa hanno a che fare la depressione, l’ansia, l’angoscia e i sempre più diffusi burnout con il realismo capitalista e l’idea che non esista nessuna comunità, ma solo un agglomerato di individui? Il punto è che, contrariamente a quanto sosteneva la Thatcher, la società esiste eccome e molti dei nostri problemi individuali hanno – non di rado – cause politiche ed economiche collettive. Secondo Fisher e James individualizzare i problemi, come fa la cultura neoliberista, serve ad aumentare i profitti delle industrie private e rendere più difficili soluzioni di natura sociale ed economica che prevederebbero quasi sicuramente una maggiore spesa pubblica, un aumento del ruolo dello Stato e, quindi, una redistribuzione della ricchezza delle élite capitaliste. Quello delle malattie mentali è, quindi, un esempio paradigmatico: il capitalismo neoliberale insiste sempre di più nel trattare forme come l’ansia e la depressione come se fossero fatti naturali alla stregua di un evento geologico o meteorologico e, quindi, da curare per via puramente individuale – e spesso farmacologica; se le malattie mentali sono solo il risultato di un’anomalia chimica nel cervello o di qualche trauma infantile e non hanno nulla a che vedere con fattori esterni come la precarietà finanziaria, l’emarginazione sociale o gli eccessivi stimoli nervosi prodotti dai mezzi tecnologici, allora nessuno si porrà la domanda se non sia la nostra stessa società a essere malata. Le spiegazioni puramente mediche e psicologiche, scrivono invece Fisher e James, possono sì spiegare le radici delle problematiche dei singoli casi, ma sono del tutto incapaci di spiegare le cause della loro quantità e diffusione in un determinato contesto.

Perché – dovremmo chiederci – un così grande numero di disturbi psichici dello stesso tipo si presentano tutti nel contesto della società tecnocapitalista contemporanea? In Realismo capitalista, Fisher scrive: “L’ontologia oggi dominante nega alla malattia mentale ogni possibile origine di natura sociale. Ovviamente, la chimico – biologizzazione dei disturbi mentali è strettamente proporzionale alla loro depoliticizzazione: considerarli alla stregua di problemi chimico – biologici individuali, per il capitalismo è un vantaggio enorme. Innanzitutto, rinforza la spinta del Capitale in direzione di un’individualizzazione atomizzata (sei malato per colpa della chimica del tuo cervello); e poi crea un mercato enormemente redditizio per le multinazionali farmaceutiche e i loro prodotti (ti curiamo coi nostri psicofarmaci)”. “Che qualsiasi malattia mentale” conclude Fisher “possa essere rappresentata come un fatto neurologico è chiaro a tutti. Ma questo non ci dice nulla sulle cause. Se per esempio è vero che la depressione generalmente comporta un basso livello di serotonina, allora quello che va spiegato è perché in determinati individui il livello di serotonina sia basso. Farlo però richiede una spiegazione sociale e politica”.
Particolarmente devastanti per la nostra sfera psichica sono oggi le nuove strutture di prestazione, basate su valori di auto-sfruttamento, di spietata competizione e sulla necessità – per stare al passo degli altri – di elaborare incessanti informazioni e input mediatici; inoltre, il mito della meritocrazia, che ha la chiara funzione di legittimare lo status quo e di nascondere i reali rapporti di classe, coltiva l’illusione secondo la quale chiunque abbia voglia di lavorare sodo e abbia la giusta dose di coraggio e intelligenza può avere accesso ai gradi più alti della società. Questa favola, ormai smentita in lungo e in largo, porta chi si trova incastrato a un livello sociale basso a non lottare politicamente contro un sistema ingiusto, ma a incolpare soltanto se stesso per non essere riuscito a ottenere un livello di vita soddisfacente; su questo punto, nel saggio L’espulsione dell’Altro, Il filosofo coreano Byung-Chul Han scrive: “Nel nostro tempo si genera una nuova forma di alienazione. Non si tratta più dell’alienazione dal mondo o dal lavoro, bensì di un’autoalienazione distruttiva, di un’alienazione da se stessi. Questa autoalienazione si verifica proprio nella forma dell’ottimizzazione di se stessi e dell’autorealizzazione”. Difficile, quindi, non mettere in relazione questa forma di autosfruttamento e di autoalienazione con la dilagante epidemia di ansia, burnout e di disturbi depressivi. Ri – politicizzare le malattie mentali significa quindi non cedere all’ingenua convinzione che uno psicologo o un farmaco possano, con poteri sovrumani, farsi carico delle contraddizioni di un sistema che stritola le persone e ne aggrava le debolezze, e significa che queste contraddizioni possono essere risolte non aumentando i profitti di qualche settore privato, ma solo attraverso la lotta e l’organizzazione politica. Le catastrofi climatiche, economiche e psichiche che affliggono le persone al tempo del capitalismo neoliberale sono indice del fatto che questo sistema, anziché essere l’unico che funziona, è un sistema profondamente disfunzionale.

Margareth Thatcher

Come è possibile, allora, che alla luce di queste condizioni di vita insostenibili il realismo capitalista abbia ancora successo? Il punto – scrive Fisher in Not Failing Better, But Fighting to Win – è che “non è mai stato concepito per convincere la gente che il capitalismo è un ottimo sistema”, ma molto più realisticamente e subdolamente “per convincerla che è l’unico sistema praticabile, e che la costruzione di un’alternativa è impossibile”; pensate solo a tutte le volte che vi siete imbattuti direttamente in una delle tante forme che il disfattismo ha assunto nel dibattito contemporaneo: anche i commenti sulle bacheche di Ottolina spesso trasudano disfattismo da ogni parola. Solitamente ci viene spacciato come lucido e cinico realismo; in realtà, ci dice sostanzialmente Fisher, non è altro che il risultato di un gigantesco lavaggio del cervello architettato nei minimi dettagli: è questa l’ultima e più insidiosa delle armi a disposizione di chi si ostina a difendere un sistema disfunzionale e feroce che mette a rischio non solo la sopravvivenza della nostra specie su questo pianeta, ma anche – nell’immediato – la salute della nostra mente e, qualsiasi cosa significhi, della nostra anima.
Su tutti questi temi non perdetevi l’intervista che pubblicheremo stasera, lunedì 18 dicembre, al professor Vincenzo Costa, uno dei massimi esperti del rapporto tra neoliberismo e disturbi psichici. Contro il disfattismo del realismo capitalista, e contro la solitudine e l’isolamento ai quali vorrebbe condannarci, abbiamo bisogno di costruire un media che dia voce al 99% e che ci aiuti a trasformare il nostro disagio individuale in una forza propulsiva collettiva in grado di rovesciare lo stato attuale delle cose. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce, è Margaret Thatcher