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Tag: limitazione

Il Corriere confessa che la guerra mondiale è già iniziata e chiede la sospensione della democrazia

Mission Ukraine: così si chiama il piano che il deep state a stelle e strisce sta preparando e che i vassalli saranno chiamati a sottoscrivere a luglio a Washington, quando si riuniranno i 32 reggenti dei protettorati dell’alleanza feudale atlantica; l’obiettivo, come sottolineava sabato scorso lo storico corrispondente dagli USA del Corriere della serva Giuseppe Sarcina, sarebbe quello di preparare “una specie di polizza anti Trump, una manovra in tre mosse per garantire che il sostegno militare all’Ucraina non verrebbe meno neanche qualora l’ex presidente dovesse tornare alla Casa Bianca”. L’obiettivo, continua Sarcina, sarebbe ovviamente quello di “appoggiare la resistenza fino a quando sarà necessario” che, dopo due anni che questo equivaleva a dire fino a che l’Ucraina non ha riconquistato tutto il territorio perso dal 2014 e fatto crollare il regime del dittatore plurimorto del Cremlino, oggi – molto più modestamente – significa “fino a quando Vladimir Putin capirà che non potrà vincere la guerra che ha scatenato il 24 febbraio del 2022”; e, ovviamente, a dirci con precisione cosa significa vincere o perdere ci penserà Sarcina (appena chi gli paga lo stipendio l’avrà deciso).

Giuseppe Sarcina

Al netto della solita sequela di puttanate suprematiste e di doppi standard, l’editoriale di Sarcina, comunque, del tutto involontariamente solleva alcune questioni decisamente interessanti: prima di tutto si lascia sfuggire che i soldi sbloccati dal congresso USA con l’approvazione definitiva, due settimane fa, del pacchetto da 60 miliardi “dovrebbero bastare a puntellare l’esercito ucraino fino al termine del 2024” il che conferma, come abbiamo sottolineato più volte, che in gran parte non servono all’Ucraina, ma agli USA e al comparto militare-industriale USA, visto che se servissero davvero all’Ucraina, in base a quanto speso in media fino ad oggi, basterebbero ad arrivare (come minimo) a fine 2025. Il problema che si pone Sarcina è che, a quel punto, se Trump dovesse vincere, i soldi per la resistenza ucraina potrebbero finire; e visto che, da qui ad allora, il massimo che si può ottenere – appunto – è che Putin non possa dichiarare la vittoria totale, una volta finiti i soldi, nel giro di poco tempo la Russia riaffermerebbe con facilità la sua supremazia militare incontrastata e si avvierebbe a una vittoria certa. Ora – come chi ci segue sa – io a questa favoletta di Trump che si dà da fare per accelerare il declino e permette a Putin di trionfare mettendo così fine, come dice Boris Johnson, all’egemonia dell’Occidente, non ci credo nemmeno se la vedo: mi sembra tutta fuffa per gli appassionati di cultural war secondo i quali le potenze non hanno esigenze vitali oggettive che prescindono dalle inclinazioni ideologiche di ognuno, ma la politica è tutto un conflitto tra opinioni diverse, una sorta di gigantesco bar dove ognuno dice un po’ cosa cazzo gli pare e chi prende più voti ha il potere di stravolgere completamente l’agenda; però, magari, mi sbaglio io e quindi limitiamoci a prendere come dato che, secondo l’internazionale globalista e neoconservatrice, questa minaccia è concreta.
Data questa minaccia, l’obiettivo allora non può che essere impedire che – tramite il supposto voto democratico – i cittadini USA possano decidere liberamente se continuare o meno la guerra; cioè, bisogna trovare i tecnicismi che, anche se a volere la fine della guerra è la stragrande maggioranza degli elettori, la guerra continui inalterata. E lo strumento più adeguato per farlo sarebbe proprio la NATO, che sta alla sovranità, in termini di sicurezza degli alleati, un po’ come l’Unione europea sta alla sovranità dei suoi membri in termini di politica economica e monetaria: la annulla totalmente, sostituendo ai parlamenti e ai governi (più o meno democraticamente eletti) un’istituzione sovranazionale postdemocratica dove a decidere è, appunto, uno Stato profondo che mantiene la sua agenda inalterata a prescindere dalla volontà popolare e che, come sottolinea Sarcina, “si sta adoperando per assumere un ruolo più centrale nel conflitto, introducendo meccanismi strutturali in grado di operare anche nel medio e lungo termine, scavallando, quindi, le scadenze elettorali e l’eventuale cambio di amministrazione a Washington”. In sostanza, anche in caso di vittoria – specifica Sarcina – “Donald Trump, una volta entrato nello studio ovale, si troverebbe di fronte a un fatto compiuto, con risorse destinate a essere spese in un arco di tempo pluriennale”.
Per limitare al massimo il potere di un’eventuale amministrazione Trump di interferire con il regolare proseguimento della guerra poi, ricorda Sarcina, “L’idea è di trasferire direttamente sotto il controllo del quartier generale della NATO a Bruxelles il coordinamento degli oltre 50 paesi che finora hanno partecipato al cosiddetto gruppo di contatto, evitando così di dipendere completamente da un eventuale ministro trumpiano”, che è un altro dettaglio che non sono proprio sicurissimissimo che Sarcina ci volesse svelare e, cioè, che senza questa modifica il gruppo di contatto – e, quindi, la guerra per procura contro la Russia in Ucraina – è completamente diretta dal segretario alla Difesa USA; non tanto, molto, in maniera decisiva: completamente. Queste sono le parole scelte da Sarcina. Ora, ovviamente, anche questo non è che a noi ci sconvolga: che la NATO non sia nient’altro che un braccio armato della politica estera USA è esattamente quello che sosteniamo da sempre, ma è comunque interessante vedere confessato apertamente che è anche l’idea che hanno i pennivendoli della propaganda atlantista che, di fronte a domande esplicite su questo tema, negherebbero anche sotto tortura e, anzi, hanno sempre condannato chi sosteneva questa tesi di complottismo e di essere quinte colonne della propaganda putinista. Ma Sarcina, bontà sua, va anche oltre e svela completamente l’impianto postdemocratico dei propagandisti come lui: Sarcina, infatti, saluta con entusiasmo una terza scelta della massima importanza strategica e, cioè, quella di “attribuire più deleghe operative, e quindi più poteri, al generale americano Cristopher Cavoli, a capo del Comando supremo delle potenze alleate in Europa. Da una parte quindi” sottolinea Sarcina “viene un po’ diluito il ruolo politico del Pentagono” trasferendo, appunto, il coordinamento del gruppo di contatto dei 50 paesi coinvolti nella guerra per procura contro la Russia in Ucraina al comando NATO di Bruxelles, mentre “dall’altra si rafforza la leadership militare di un generale indicato dall’amministrazione Biden e che è anche il comandante di tutte le forze armate statunitensi di stanza in Europa”.
Insomma: è la conferma del doppio processo che da mesi cerchiamo di descrivere. Da un lato c’è la trasformazione definitiva della NATO in un vero e proprio braccio armato al servizio dell’imperialismo, completamente staccato dalle scelte sovrane e vagamente democratiche dei paesi aderenti: “Per essere chiari” sottolinea Sarcina che, evidentemente, invecchiando ha perso tutti i freni inibitori, “Cavoli guiderà le operazioni militari sul terreno, e deciderà se e come mobilitare le forze di reazione rapida” e, cioè, “circa 300 mila soldati pronti al combattimento”; dall’altro c’è l’estensione di questa macchina bellica unitaria al completo servizio dell’imperialismo ben oltre i limiti del vecchio continente, andando – appunto – a coinvolgere tutti i 50 e oltre paesi che hanno già aderito, ad oggi, al gruppo di contatto nella costruzione di una vera e propria NATO globale pronta a combattere – all’unisono e sotto una catena di comando completamente scollegata ai processi democratici – la guerra esistenziale dell’Imperialismo contro il resto del mondo. L’obiettivo fondamentale di questa macchina distopica unitaria della fase terminale dell’imperialismo sarebbe appunto, fondamentalmente, quello di non permettere al sanguinario dittatore plurimorto del Cremlino di dichiarare vittoria, ma ci pare piuttosto evidente sia soltanto un banco di prova per qualcosa di molto, molto più generale: un po’ perché l’obiettivo di impedire alle potenze emergenti del nuovo ordine multipolare di ottenere una vittoria strategica significativa si estende, ovviamente, anche a tutti gli altri fronti di questa terza guerra mondiale ibrida – dal Medio Oriente al Pacifico, passando anche per l’Africa e probabilmente, molto presto, anche l’America latina; e poi perché si va ben oltre la mera difesa. Ovviamente, questo non significa passare subito esplicitamente all’attacco, ma più semplicemente, comme d’habitude, procedere col solito meccanismo di dominio imperiale fondato sull’accerchiamento e la provocazione; dall’est Europa al Pacifico il giochino, infatti, è sempre lo stesso: impedire il raggiungimento della piena sovranità dei paesi che si ribellano al vassallaggio (dalla Russia alla Cina, passando per l’Iran e compagnia cantante) minacciandone contemporaneamente sia la sicurezza strategica, sia lo sviluppo e l’indipendenza economica e commerciale.
La partita dell’Ucraina e della sua adesione alla NATO – che è una piccola anticipazione di quello che sta avvenendo, in particolare negli ultimi mesi, nel Pacifico, con la fornitura di nuovi sistemi d’arma made in USA a Taiwan e con il rafforzamento dell’asse tra USA, Giappone e Filippine – è appunto il banco di prova ideale; ed ecco così che Sarcina ricorda, appunto, come “Stando alle dichiarazioni pubbliche di Stoltenberg, nel vertice di Washington di luglio i 32 soci fisseranno un percorso definito per l’ingresso dell’Ucraina nel club atlantico”. Tanto per cominciare, continua Sarcina, “Si procederà da subito accelerando l’integrazione, o, come dicono i militari, l’interoperabilità, tra le forze armate di Kiev e quelle della NATO” e quindi, sentenzia senza tanti fronzoli, “togliendo dal tavolo delle trattative l’ipotesi di un’Ucraina neutrale”. Ooh, lo vedi? Dai e dai, anche la propaganda suprematista concorda con noi propagandisti putinisti e complottisti vari della primissima ora: altro che opposti imperialismi di ‘sta cippa, altro che lotta coloniale per il controllo delle risorse, e altro che difesa del diritto sacrosanto degli ucraini a difendere la loro patria; Sarcina ammette candidamente che la famosa invasione russa dell’Ucraina altro non è che una reazione scontata e necessaria a una provocazione architettata meticolosamente dall’imperialismo con l’obiettivo, appunto, di impantanare Mosca in una lunga guerra d’attrito che imponga all’Europa – intesa come semplice costola dell’imperialismo unitario – di abbandonare ogni velleità di integrazione eurasiatica e la costringa a superare gli ostacoli che, fino ad oggi, ne hanno impedito un riarmo adeguato alla nuova fase di guerra totale contro il resto del mondo. Secondo Sarcina “I governi della NATO prevedono che la guerra durerà ancora a lungo”; in realtà, però, non è che lo prevedono: molto semplicemente, hanno lavorato in modo accurato proprio affinché la guerra durasse a lungo e, cioè, il tempo necessario per estenderla a tutti gli altri fronti, a partire – appunto – dal principale, che è quello del Pacifico, e chiudere la partita del conflitto globale dell’imperialismo contro il resto il mondo. Questo, di per se, non significa ovviamente necessariamente attendere una guerra cinetica per procura nel Pacifico contro la Cina come quella che si sta combattendo al confine orientale dell’Europa: gli USA, infatti, continuano a coltivare l’illusione che con la guerra commerciale (e una deterrenza adeguata a proteggerla, che è quella che stanno cercando di costruire oggi non tanto armando Taiwan, quanto – appunto – inglobando Giappone, Corea, Australia, Nuova Zelanda e Filippine nella nuova NATO globale e spingendole a un riarmo massiccio come quello che richiedono ai paesi europei) alla fine potrebbero invertire il processo, in corso da decenni, che ha visto appunto la Cina recuperare, anno dopo anno, il gap tecnologico ed economico che ancora la separa dal centro imperialistico più avanzato (in alcuni casi addirittura superandolo, e manco di poco); ma, appunto, come sembrano dimostrare gli esiti della guerra tecnologica ad oggi – che, per quanto abbiano comportato problemi enormi alla Cina, tutto sommato sembrano averne accelerato invece che rallentato e, tanto meno, interrotto la corsa verso l’indipendenza tecnologica – con ogni probabilità si tratta, appunto, solo di un’illusione, il che significherebbe che, per ottenere risultati concreti, c’è bisogno di una continua escalation, sulla falsariga di quanto effettuato dalla NATO nell’Est Europa, fino a che non si arriva necessariamente a una reazione cinese, sulla falsariga di quanto scatenato con Mosca.
Insomma: vista con quest’ottica, non si tratta più nemmeno semplicemente di affermare che il problema della terza guerra mondiale non è se scoppierà, ma quando e come, ma – piuttosto – di prendere atto che è già scoppiata, sempre ricordando che la terza guerra mondiale, nel 2024, è ovviamente una guerra ibrida; e non significa necessariamente scontro cinetico su tutti i fronti e, tantomeno, esclation nucleare, anche se escluderla per fiducia nel buon senso delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità, a questo punto, è ovviamente un atto di fede religiosa che non ha niente a che vedere con l’analisi razionale delle dinamiche concrete. E visto che siamo in guerra, ovviamente, anche la sospensione dei normali diritti democratici delle democrazie liberali è già pienamente in atto anche se anche qui, come per la guerra, ovviamente non si tratta di ricercare la replica esatta degli strumenti e delle dinamiche registrate nel corso delle precedenti due guerre mondiali; si tratta, piuttosto, di capire concretamente gli strumenti concreti che vengono messi in campo per risolvere le contraddizioni concrete che questa fase scatena. Ed ecco così che non c’è bisogno di sospendere le elezioni democratiche nelle democrazie liberali. Basta renderle ancora più inutili: in Europa, rafforzando e accelerando il processo di unione politica che sostituisce, appunto, alle democrazie nazionali la postdemocrazia sovranazionale; negli USA, mettendo i paletti che impediranno a un eventuale presidente – che non fa completamente sua l’agenda politica già decisa dallo Stato profondo – di decidere liberamente se uscire dai binari. “Certo” specifica Sarcina “in teoria Trump se eletto potrebbe provare a smantellare tutta questa impalcatura, ma nella realtà sarebbe estremamente complicato. In un colpo solo il neo presidente dovrebbe reclamare fondi americani già impegnati, sconfessare i vertici dell’alleanza atlantica ed entrare in collisione con le alte gerarchie militari, nonché con l’industria bellica degli Stati Uniti” che, confessa candidamente Sarcina, è “di gran lunga la prima beneficiaria degli investimenti della NATO in missili, cannoni e carri armati”. La cosa interessante del ragionamento di Sarcina – che diamo per scontato rappresenti perlomeno un pezzo importante delle classi dirigenti imperiali alle quali il Corriere della serva fa da megafono – è che se questa totale sospensione della sovranità democratica noi la diamo da sempre per scontata per le periferie dell’impero, qui si estende anche al centro imperialistico stesso: questo ci costringe a rimettere un po’ in discussione alcune delle nostre categorie.
Secondo questo schema, infatti, identificare in Washington e in Wall Street il centro dell’impero, con gli altri vassalli attorno, sarebbe in qualche modo un eccesso di ottimismo perché, per quanto questo schema implichi un ordine internazionale antidemocratico (con un padrone che decide e gli altri che servono ubbidienti), comunque attribuisce un ruolo centrale al governo di un paese e quel governo, per quanto non si possa definire certo propriamente democratico – anzi – è comunque influenzato dalla sua opinione pubblica e deve trovare, comunque, una qualche forma di compromesso con le istanze del suo elettorato. Nel modello che emerge dalle parole di Sarcina, invece, non c’è manco questo: anche il governo di Washington, in soldoni, non sarebbe altro che uno strumento di un centro di potere ancora superiore che è talmente antidemocratico e dispotico che non c’ha manco non dico una sede fisica, ma manco un nome; fino a che il governo di Washington rappresenta fedelmente l’agenda politica di questo centro occulto, si può anche far finta che a guidarlo sia il presidente degli USA. Quando il governo di Washington, ammesso e non concesso che questo sia possibile, non incarna più questa agenda, anche lui può essere marginalizzato: ed ecco, così, che a comandare spunta un fantomatico centro NATO di Bruxelles che, molto banalmente, non significa un cazzo.
L’arrivo della terza guerra mondiale, in soldoni, non solo spinge un organo della propaganda come il Corriere della serva a chiedere più o meno esplicitamente la sospensione dei diritti democratici, ma anche a svelare che quella democrazia – stringi stringi – è sempre stata una gigantesca presa per il culo, un lusso accessorio del tutto velleitario del quale fare serenamente a meno non appena la situazione lo richiede. Contro la dittatura delle oligarchie (più o meno occulte) dell’imperialismo neoliberista è arrivata l’ora della riscossa multipopolare, ma per darle gambe e testa abbiamo bisogno di un vero e proprio media che dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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