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Tag: le pen

Da Trump a Le Pen: la rivincita del capitalismo straccione e le lacrime di coccodrillo degli analfoliberali

Tra analfoliberali sull’orlo di una crisi di nervi e miliardari fintosovranisti travestiti da working class heroes, andrà a finire che moriremo tutti, ma – di sicuro – non di noia: dopo 50 anni di pilota automatico, le diverse fazioni del grande capitale dell’Occidente imperialista, impanicate dal loro progressivo e inevitabile declino, sono tornate a farsi la guerra; e gli ultimi giorni, tra attentati falliti e la prima volta in assoluto dal 1968 che un commander in chief decide di rinunciare spontaneamente alla corsa per il secondo mandato, sono stati in assoluto i più movimentati del teatrino politico USA degli ultimi decenni. Ma al di là della rappresentazione teatrale, in cosa consistono davvero queste fazioni del capitale sull’orlo della guerra civile? Che interessi materiali rappresentano? Ha davvero senso tifare per una piuttosto che per l’altra? E sono davvero così alternative tra loro? Dalla Francia della Le Pen agli USA di The Donald, in questo video proveremo a dare alcune informazioni che speriamo ci permettano di navigare in queste acque turbolente senza essere totalmente in balia della propaganda e dei mezzi di produzione del consenso delle diverse fazioni del partito unico della guerra e degli affari; prima di farlo, però, vi ricordo di mettere un like a questo video (proprio per permetterci di portare avanti la nostra guerra quotidiana contro il pensiero unico imposto dagli algoritmi) e, se non l’avete ancora fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali social e di attivare le notifiche: a voi costa solo pochi secondi, ma a noi permette di dare ogni giorno un po’ più di voce al 99% e a chi dalle faide tra pezzi diversi di oligarchia, alla fine, ha sempre e solo da rimetterci.

The Donald con Volodymyr Zelenski

Come mi capita spesso, non c’avevo capito una seganiente: unico tra tutti gli Ottoliner, ho continuato per mesi a dire che, a mio avviso, la vittoria di Trump nelle prossime presidenziali di novembre non era scontata per niente; nonostante i sondaggi, il senso comune, la continua debacle in Ucraina e il disastro in Medio Oriente, per mesi – infatti – i democratici hanno continuato a registrare un sostegno record da parte delle oligarchie che continuavano a riversare montagne di quattrini nelle casseforti dei comitati elettorali pro Biden, mentre il piatto di Trump (a parte l’attivismo del MAGA, i movimentisti del Make America Great Again) continuava a piangere. Sarò superficialmente economicista, ma a queste condizioni tutta ‘sta cavalcata trionfale verso la presidenza, tutto sommato, mi sembrava un po’ difficile, fino a che il vento non ha cominciato a cambiare decisamente direzione; sarà stata la fine dell’incognita giudiziaria, sarà stata l’efficacia retorica di Trump, saranno state le millemila gaffe di Biden, fatto sta che, a un certo punto, i flussi di quattrini hanno cominciato palesemente a cambiare segno: nel giro di poche settimane, Trump ha cominciato a registrare il sostegno di alcuni pezzi da 90 del grande capitale a stelle e strisce. Prima è stato il turno di Arthur Schwarzmann, eminenza grigia dell’alta finanza USA e fondatore di Blackstone, il fondo che (più di ogni altro al mondo) sta lavorando per una totale finanziarizzazione del mercato immobiliare residenziale; poi è arrivato il sostegno dal gotha dell’anarco-capitalismo distopico made in Silicon Valley – da Elon Musk a Peter Thiel, che si è guadagnato un posto al sole nella prossima amministrazione Trump grazie alla nomina a vicepresidente in pectore del suo protegé JD Vance – fino ad arrivare addirittura all’ipotesi di un posto da sottosegretario al tesoro per Jamie Dimon, il CEO di JP Morgan, di gran lunga la più grande banca privata del pianeta e la grande vincitrice della crisi finanziaria che l’anno scorso ha comportato, in pochi giorni, 3 dei 5 più grandi fallimenti bancari della storia statunitense, spacciati dalla grande macchina propagandistica al soldo delle oligarchie finanziarie come cosucce da niente. E meno male che Trump era il paladino dei working poors della Rust Belt. Cosa diavolo stava succedendo?
Negli ultimi anni, in particolare insieme ad Alessandro Volpi, abbiamo provato a descrivere l’affermazione di una nuova forma di capitalismo che altri, più quotati di noi, definiscono da tempo Asset Manager Capitalism; in questa forma di capitalismo, i principali centri di potere sono i grandi monopoli finanziari globali del risparmio gestito, a partire dai Big Three: BlackRock, Vanguard e State Street. Totalmente organici ai finto-progressisti democratici – in particolare a partire dal 2008 – questi fondi sono stati messi nella condizione di concentrare nelle loro mani una quantità di liquidità spropositata che hanno utilizzato per acquisire quote di controllo nella stragrande maggioranza delle grandi aziende statunitensi quotate allo Standard&Poor 500, ma soprattutto per gonfiare a dismisura una bolla finanziaria di dimensioni mai viste pompando il valore delle azioni oltre ogni limite possibile immaginabile; questo meccanismo si è rafforzato a tal punto da diventare il vero e proprio cuore pulsante dell’accumulazione capitalistica dell’Occidente collettivo, dove il grosso dei patrimoni delle oligarchie consiste, appunto, in montagne di azioni che hanno valori completamente scollegati dai reali valori economici delle aziende che le emettono e che riescono a mantenere solo grazie alla continua iniezione di liquidità gestita da questi mastodontici fondi. Questa nuova configurazione dell’accumulazione capitalistica però, inevitabilmente, ha consegnato a questi fondi un potere senza precedenti che ha cominciato a suscitare qualche mal di pancia anche tra una fetta di coloro che, a livello di ricchezza personale, da questo meccanismo – fino ad allora – in realtà ci avevano guadagnato eccome, com’è il caso proprio degli stessi Elon Musk e Peter Thiel; ma quello che spesso sfugge agli analfoliberali è che il fine ultimo del vero capitalista non è la ricchezza, ma il potere. Le cose non sono facili da distinguere, perché nel capitalismo il potere corrisponde sostanzialmente alla quantità di ricchezza accumulata, ma il fine vero, appunto, è il potere e quando, per qualche ragione, alla quantità di ricchezza accumulata non corrisponde direttamente una quota più o meno simile di potere, qualcosa si comincia a incrinare, che è esattamente quello che è cominciato ad avvenire: i grandi fondi garantivano di accumulare ricchezza gonfiando la bolla finanziaria, ma a quella ricchezza non corrispondeva un pari potere, perché a detenere il potere erano sostanzialmente i fondi stessi, che erano arrivati a piegare ai loro voleri tutto il partito democratico, le amministrazioni che esprimevano e la stragrande maggioranza dei governi degli alleati vassalli degli USA – come è stato plasticamente dimostrato durante l’ultimo G7 dove il CEO di BlackRock, Larry Fink, si è preso il palcoscenico e si rivolgeva ai vari capi di Stato come a un branco di bimbi scemi dicendogli esattamente cosa dovevano concedergli per non saltare tutti per aria e cioè, per inciso, tutti i servizi pubblici essenziali e tutte le principali infrastrutture, a partire da tutto quello che è necessario per effettuare la transizione ecologica.
Comunque, quello che è avvenuto è che pezzi sempre più consistenti di élite economica e di oligarchie USA hanno visto in Donald Trump, che da questi fondi è sempre stato avversato, l’opportunità per riequilibrare a loro vantaggio i rapporti di forza all’interno del grande capitale statunitense e da lì la partita, effettivamente, si è fatta piuttosto interessante: attorno all’idea di riequilibrare i rapporti di forza con i giganti della gestione dei risparmi si è formato un blocco sociale trasversale ampio, variegato ed estremamente influente e che, soprattutto, poteva contare su un referente politico che aveva il vento in poppa; ed ecco allora che tra le fila dei democratici qualcuno ha cominciato a suggerire che, per questo livello di scontro, la vecchia anatra zoppa di Rimbambiden non era più all’altezza. Poi è arrivato l’attentato fallito di Butler, che ha accelerato a dismisura questa dinamica già in corso da tempo e ha costretto a passare dalle parole ai fatti: la storica rinuncia alla corsa per il secondo mandato di Rimbambiden va inserita in questo tipo di dinamica e di conflitto; ora il rischio, però, è che alla narrazione bollita degli analfoliberali ne segua una ancora più bollita di matrice analfosovranista. I capitani di ventura che si sono coalizzati attorno a Trump, infatti – dai petrolieri ai guru delle criptovalute, dai padroni della gestione dei dati (come Thiel) a quelli che hanno fatto i miliardi grazie agli schemi piramidali più spregiudicati – continuano comunque a dipendere dalla bolla speculativa tenuta in piedi dalla liquidità dei grandi fondi. Non darei quindi troppo peso alle boutade di JD Vance su un potenziale ridimensionamento del ruolo del dollaro, magari illudendosi che questo preluda a un fantomatico neo-isolazionismo statunitense che rinvia l’escalation bellica: questa, a mio avviso, è tutta fuffa propagandistica priva di basi materiali concrete; semplicemente, si tratta di una riconfigurazione dei rapporti di forza tra le diverse fazioni del grande capitale nell’ambito della quale la volontà del centro imperiale di saccheggiare tutti gli alleati vassalli rischia anzi, inevitabilmente, di farsi ancora più feroce e plateale. D’altronde l’élite trumpiana è sostanzialmente l’erede diretta della classe dirigente che ha circondato Reagan e Paul Volcker, il famigerato ex presidente della FED che – con una politica dei tassi di una violenza senza precedenti – ha proprio avviato una fase di rientro dei capitali a Wall Street che ha seminato il panico in tutto il resto del mondo. Il processo da tenere sott’occhio mi pare evidente sia questo, mentre tutte i conflitti tra chi spinge per il fossile e chi per le rinnovabili, tra chi vorrebbe proibire l’aborto e chi invece sogna un eterno lungo pride, tra chi vorrebbe abbattere ogni confine e chi invece vorrebbe costruirci muri alti 12 metri, mi pare appartengano più alla sfera della rappresentazione teatrale della politica, dove si fa a gara a chi la spara più grossa, ma poi, sostanzialmente, dietro agli slogan di concreto si fa poco o niente, da una parte e dall’altra; e questo processo che, ovviamente, assume dimensioni epocali nel centro imperiale, mi sembra evidente che riguardi, in scala ridotta, anche le periferie.
Il quotidiano francese L’Humanité, due giorni fa, è entrata in possesso di un documento riservato che descrive nel dettaglio un piano “per installare al potere in Francia un’alleanza tra estrema destra e destra conservatrice”; “Un progetto politico” commenta L’Humanité “redatto come un business plan di una start-up, che dettaglia un piano organico e sistematico in una serie di tappe coordinate sapientemente, con tanto di target da avvicinare, talenti da reclutare” e via dicendo. Il nome in codice del piano è Pericle che oltre a rifarsi al grande leader populista ateniese, in francese sarebbe anche un acronimo per “patrioti radicati resistenti identitari cristiani liberali europei sovranisti”. Il piano prevede un contributo finanziario a fondo perduto di ben 150 milioni da investire nell’arco di una decina di anni; e a tirare fuori la grana sarebbe lui: Pierre Edouard Sterin che, quando lavoravo a Report, ho avuto l’occasione di conoscere personalmente. Pierre Edouard Sterin, infatti, deve la sua fortuna a questa robetta qua:

si chiamano SmartBox e sono gli ormai famigerati cofanetti che regaliamo quando vogliamo fare uno spregio a qualcuno e che contengono buoni per piccoli pacchetti turistici che quando uno li consuma non vede l’ora di tornare a lavorare. Il modello di business di SmartBox è molto semplice: chiede alle strutture una commissione che è circa il doppio di quella richiesta dai grandi portali per le prenotazioni, che certo non fanno beneficenza; il risultato è che gli albergatori convenzionati se hanno qualche minima speranza di poter affittare una stanza all’ultimo minuto, ti dicono di essere al completo anche quando non lo sono affatto e gli unici che non ti dicono di essere al completo sono quelle strutture talmente pessime che, a parte che i poveracci ai quali rifilate una SmartBox, non vedranno mai mezzo cliente. Sin dall’inizio, Sterin aveva chiarissima l’intenzione di mettere parte del denaro accumulato con questa roba a servizio di un progetto politico di estrema destra; e per accelerare l’accumulazione di questo capitale necessario ad avviare una nuova controrivoluzione, prima – da vero patriota – ha spostato la sede fiscale in Belgio per sfuggire alle tasse messe sui super-ricchi da Hollande e poi ha licenziato tutti i lavoratori delle controllate locali che ha acquisito in Irlanda e poi anche in Italia. Quando l’ho incontrato a Parigi mi ha detto espressamente che il suo progetto politico era – come un Milei qualsiasi – ridurre al minimo l’intervento dello Stato francese nell’economia privatizzando i servizi essenziali come la sanità e l’istruzione e che, nel perseguire questo cammino, il suo desiderio più grande era nientepopodimeno che diventare santo; con Pericle ora si pone l’obiettivo di “lottare contro i mali principali del nostro paese” che sono “il socialismo, lo wokismo, l’islamismo e l’immigrazione” e, per raggiungere questi obiettivi, sta lavorando per mettere insieme un migliaio di “persone allineate, in grado di rappresentare la spina dorsale del nuovo governo che conquisterà il potere nel 2027”.
Ecco: il blocco sociale che sta mettendo fine alla dittatura delle élite globaliste è trainato da questa gente qua; sarebbe il caso di non farsi troppe illusioni. Il dominio dell’uomo bianco sul resto del pianeta, dopo 5 secoli, è ormai agli sgoccioli e non saranno le élite che hanno dominato per 5 secoli a indicare la via d’uscita, a prescindere da quanto vi piacciano le loro narrazioni strampalate; se vogliamo trovare una via d’uscita (prima che sia troppo tardi) ci dobbiamo organizzare da soli e, per farlo, ci serve un media che invece che ai deliri degli Sterin, dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Giuseppe Cruciani

Francia a un passo dall’esplosione? – ft. Vittorio Caligiuri

Dopo le elezioni di domenica la Francia risulta divisa in tre parti eguali: l’estrema destra, la sinistra e il centro liberista dell’attuale presidente in carica Macron. A vincere le elezioni è stato, inaspettatamente, il Fronte Popolare, forte di una grande mobilitazione popolare a suo favore da parte di vasti segmenti dell’opinione pubblica. Il rischio è ora che una pattuglia di “responsabili” decida di staccarsi dalla lista di sinistra in cui è stata eletta per andare a sostenere un nuovo governo centrista assieme alla lista di Macron e ai Repubblicani. Il dubbio aleggia sopra i Verdi e in particolare il Partito Socialista; si teme che una mossa simile consegnerebbe, nelle elezioni presidenziali del 2027, il paese a Marine Le Pen. Buona visione!

#Francia #elezioni #FrontePopolare #Antifa #Melenchon #LePen #Macron

Oligarchie USA e finto-sovranisti europei – La guerra al Sud globale si farà così

Puntata speciale con Giuliano, Gabri e Ale che si confrontano sui temi politici fondamentali della settimana. La Le Pen sta lisciando il pelo alle oligarchie USA al fine di farsi eleggere in Francia e governare senza inciampi. Il mercato immobiliare statunitense dimostra la nascita di una nuova bolla che potrebbe creare una dialettica conflittuale all’interno delle oligarchie USA. Nel frattempo, Vietnam, Malesia e Thailandia non sembrano più disposti a giocare il ruolo di burattini degli Stati Uniti.

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Rimbambiden benedice la Le Pen e affida alla destra reazionaria il compito di svendere l’Europa

Oohhh, ora sì! Ne sentivamo veramente il bisogno! Come titolava a 6 colonne Libero ieri, finalmente Nasce la nuova destra: “Salvini e Le Pen” riporta la testata di Angelucci, il KingMaker della destra arraffona e svendipatria italiana, “rompono con i tedeschi di AfD, rimuovendo l’ultimo ostacolo per la formazione di una grande alleanza anti-sinistra che punti a governare l’Europa”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso delle tensioni fra ultradestra italiana e francese e quella tedesca in ascesa sarebbe stata nientepopodimeno che l’intervista pubblicata sabato scorso su La Repubblichina all’uomo indicato dall’AfD come il suo candidato alla presidenza della commissione europea, Maximilian Krah: “Non dirò mai che chi aveva un uniforme delle SS era automaticamente un criminale” aveva affermato. Non aspettavano altro: nell’arco di poche ore, Rassemblement National della Le Pen ha annunciato ufficialmente di aver tagliato definitivamente i ponti con l’AfD e che nel parlamento che verrà ridisegnato con le elezioni europee del 9 giugno non siederà più nello stesso gruppo parlamentare degli ex amici tedeschi; e, subito dopo, immancabilmente gli ha fatto eco la Lega di Matteo Salvini.
E’ l’esito scontato, anche se probabilmente più rapido e repentino del previsto, delle parole pronunciate la settimana scorsa dal portavoce delle oligarchie euroatlantiche, il presidente del parlamento europeo in carica Charles Michel, che avevamo già riportato in quest’altro video qua: “Nei partiti che vengono definiti di estrema destra” aveva dichiarato “vi sono personalità con cui si può collaborare”; il parametro da adottare per fare la selezione alla porta ovviamente non ha niente a che vedere con il nazifascismo e le SS che, anzi, negli ultimi due anni sono stati ripetutamente sdoganati tra leggende metropolitane sui lettori di Kant e vecchi stragisti antisemiti salutati come eroi della patria in giro per i parlamenti dell’Occidente collettivo. Quella è semplicemente la scusa: una trappola ben architettata che hanno teso all’impresentabile Maximilian Krah e nella quale, da sprovveduto quale è, è precipitato serenamente senza rendersene minimamente conto. Il discrimine vero, ovviamente, è tutt’altro e l’aveva sottolineato esplicitamente Michel stesso: l’importante, aveva affermato, è che siano “pronti a collaborare per sostenere l’Ucraina, e a rendere l’Ue più forte” che, tradotto, significa “che siano schierati dalla parte giusta nella guerra che l’imperialismo ha dichiarato ai paesi sovrani di tutto il mondo e che siano pronti a rinunciare ancora di più alla sovranità dei rispettivi paesi (dove – nonostante tutto – vigono ancora sistemi almeno parzialmente democratici) per trasferire ancora più potere a una struttura sovranazionale completamente post democratica come l’Unione europea e mettere, così, definitivamente al sicuro l’adesione all’agenda ultra-atlantista senza rischiare che venga messa almeno parzialmente in discussione dal voto popolare”; due paletti che l’AfD, al momento, non sembra essere troppo propensa a rispettare.

Maximilian Krah

Ed ecco quindi, casualmente, che arriva il casus belli e l’opportunità per fare, come titolava il suo editoriale di ieri sempre su Libero Mario Sechi, “la mossa giusta per contare di più” che, sostanzialmente, significa fare a livello europeo quello che Giorgia lamadrecristiana ha già portato a termine nel laboratorio politico italiano: sostituirsi alla sinistra ZTL come la fazione del partito unico della guerra e degli affari più affidabile agli occhi dell’imperialismo a guida USA e delle sue oligarchie in questa lunga stagione di guerra totale contro il resto del mondo. Ma prima di provare a capire cosa significa e cosa può comportare questo epocale spostamento del baricentro politico dell’intero vecchio continente, vi ricordo di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra di guerra (quella contro la dittatura degli algoritmi) e, se non lo avete ancora fatto, anche di iscrivervi a tutte le nostre pagine social e attivare tutte le notifiche; un’operazione che a voi costa pochi secondi di tempo, ma che per noi può fare davvero la differenza e aiutarci a costruire un vero e proprio media che, invece di fare da cassa di risonanza alle boiate della sinistra ZTL e della destra svendipatria, dà voce agli interessi del 99%.
“La mossa di Le Pen e Salvini è giusta” scrive Mario Sechi nel suo editoriale di ieri che trasuda entusiasmo da tutti i pori: “è un’opportunità, tutta da costruire e con poco tempo per spiegarla. Il risultato lo vedremo presto: siamo nella fase in cui si fanno le scommesse, siamo tra il razionale e l’irrazionale. E’ il fascino del voto, fate il vostro gioco” (Mario Sechi, Libero). La quantità di fuffa messa sul tavolo dai pennivendoli della destra fintosovranista per cercare di dare una qualche forma di nobiltà alle spericolate acrobazie politiche che sta cercando di compiere per accreditarsi come il più fedele dei cani da guardia dell’impero agli occhi del padrone di Washington, ricorda i tempi migliori delle supercazzole di Vendola e Bertinotti; ci manca giusto la mossa del cavallo e abbiamo fatto l’en plein. Un parallelismo che non dovrebbe sorprendere troppo, tutto sommato: proprio come allora, infatti, la sinistra cosiddetta radicale si doveva inventare teorie astruse per giustificare il sostegno a governi che, con la loro foga riformatrice in chiave ferocemente neoliberista, ne contraddicevano alla radice la stessa ragion d’essere; ora la mission impossible di dover giustificare – a suon di parabole e frasi ad effetto – il sostegno a un’ipotesi di governo in netto contrasto con l’euroscetticismo e il Pivot to Russia professato fino ad oggi, tocca alla destra fintosovranista e svendipatria.
Come sottolineiamo continuamente, nell’ambito dell’imperialismo unitario, tanto nel centro imperiale USA quanto – a maggior ragione – nella periferia europea, non c’è nessunissima alternativa concreta di governo che possa essere espressa dalle urne; lo stato profondo dell’imperialismo unitario ha optato, per ragioni strutturali che ci sforziamo continuamente di sviscerare, per una guerra totale contro il resto del mondo e le elezioni non possono che essere una sorta di concorso interno al partito unico della guerra e degli affari per decidere quale fazione dovrà governare questa lunga e travagliata fase. Di default, il referente più accreditato sarebbe quel guazzabuglio della maggioranza Ursula, un’accozzaglia talmente informe da garantire che non venga mai messo in discussione il pilota automatico che guida la politica della colonia europea; il vecchio e paludato establishment, con il suo sterminato curriculum in tema di utilizzo di doppi standard, presenta inoltre anche l’innegabile vantaggio di conoscere il galateo e di avere un volto presentabile, requisito piuttosto utile per poter continuare a ricorrere alla barzelletta dello scontro tra società aperte e responsabili, da un lato, e sconsiderati e feroci regimi autoritari dall’altro. Fino ad oggi, questa favoletta per analfoliberali ha sempre rappresentato un potente dispositivo egemonico che faceva credere a una parte consistente di popolazione che anche se era chiamata a sopportare giganteschi sacrifici (mentre le sue élite economiche non facevano che arricchirsi) alla fine, perlomeno, era per una buona causa; ma questo dispositivo egemonico – e, cioè, questo artificio retorico che fa credere a chi è bastonato che, alla fine, sia per il suo bene – nonostante tutti gli sforzi della propaganda, mano a mano che le bastonate diventavano più forti non ha fatto che perdere il suo appeal. Ma non solo: per quanto, con ogni probabilità, del tutto velleitarie nel cuore stesso della sinistra delle ZTL, mano a mano che la totale subordinazione all’agenda delle oligarchie USA ne faceva precipitare i consensi si sono cominciate a vedere alcune crepe.
Il primo ministro socialdemocratico tedesco, ad esempio, spinto dai malumori crescenti di una fetta consistente della sua borghesia nazionale, prima ha opposto qualche flebilissima resistenza all’invio delle armi più distruttive in Ucraina – dai Leopard ai Taurus – e poi ha anche abbozzato qualche forma di dialogo con il nemico pubblico numero 1, la Repubblica Popolare Cinese; qualche mal di pancia, poi, è emerso per il sostegno incondizionato allo sterminio dei bambini palestinesi perpetrato dal regime fasciosionista di Tel Aviv: prima, in particolare, da parte del governo di centrosinistra spagnolo e poi, addirittura, dall’amministrazione del sempre pimpantissimo Manuelino Macaron che, giusto ieri, ha espresso il suo sostegno alla richiesta da parte del procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja di un mandato di cattura per Bibi Sterminator Netanyahu e il suo fedele ministro dello sterminio, Yoav Gallant. Ma soprattutto – come abbiamo sottolineato a più riprese – nel caso specifico di Macron, questo sussulto di dignità sulla questione genocidio non è un episodio isolato: il protagonismo degli ultimi mesi del sempre pimpantissimo Manuelino, infatti, non è passato certo inosservato; in principio furono le parole che Manuelino pronunciò nel viaggio di ritorno dalla Cina, quando Manuelino si azzardò a sottolineare che “Per troppo tempo l’Europa” non avrebbe perseguito con sufficiente convinzione la strada per la costruzione di una sua “autonomia strategica”, che non dovremmo farci coinvolgere “in una logica di blocco contro blocco“ e che non dovevamo lasciarci coinvolgere in scenari di “crisi che non sono nostre”, alludendo chiaramente alle tensioni nel Pacifico e nello Stretto di Taiwan. Poi c’è stata la sparata sull’invio di truppe in Ucraina, che in molti hanno letto come un atto di fedeltà suprema alla guerra USA contro la Russia, ma in realtà, molto probabilmente, anche qui la realtà è decisamente più complessa: dopo essere stato – in assoluto – il paese europeo che ha mandato meno aiuti a Kiev, la fuga in avanti sull’invio di truppe, in realtà, poteva anche essere letta come un tentativo di forzare la creazione di una difesa comune europea con la Francia e il suo ombrello nucleare al centro e in grado di garantire, appunto, una certa autonomia strategica. Dopo ancora è arrivato il famoso rapporto di Enrico Baionetta Letta, uomo legato a doppio filo alle élite d’oltralpe che, sostanzialmente, invocava la creazione di un monopolio finanziario privato autonomo europeo, ovviamente a guida francese; traiettoria che, subito dopo, il sempre pimpantissimo Manuelino ha ribadito aprendo all’ipotesi di operazioni di fusione e acquisizione tra grandi banche europee con un occhio di riguardo, in particolare, a operazioni che vedano coinvolti gruppi spagnoli e francesi.
Intendiamoci: non si tratta certo di atti di insubordinazione sovranista all’imperialismo unitario. Lo schema all’interno del quale si muove Macron è comunque sempre quello della globalizzazione neoliberista e della finanziarizzazione spinta dell’economia a favore delle oligarchie transnazionali; e infatti il suo nuovo protagonismo ha trovato grande risalto nella grande stampa finanziaria internazionale che gli ha dedicato prime pagine su prime pagine, da Bloomberg all’Economist, che oltre ad aver sottolineato più volte tutte le sue perplessità nei confronti della svolta neoprotezionista degli Stati Uniti, ricordiamo essere anche legata a doppio filo proprio alla finanza francese in quanto di proprietà della Exor della famiglia Agnelli/Elkann, tra i principali azionisti – tra l’altro – della ormai sostanzialmente francese Stellantis. Ciononostante, appunto, segnala una qualche ripresa della volontà di grandeur francese e, in continuità con il gaullismo (che, comunque, rappresenta una componente importante dello stato profondo francese), anche di volontà – appunto – di ritagliarsi un posto al sole in un sistema imperialistico riformato e non completamente appiattito sulle esigenze di Washington e di Wall Street. Ora, intendiamoci, si tratta chiaramente, in buona parte, di ambizioni velleitarie: ciononostante, per una Washington che comunque – nonostante il suo fondamentalismo eccezionalista – non può non riconoscere il progressivo declino del sistema superimperialista incentrato sul suo dominio, sicuramente rappresentano motivo di più di qualche preoccupazione, soprattutto in prospettiva; l’attivismo del sempre pimpantissimo Manuelino, infatti, può anche essere letto come la necessità di costruire una exit strategy sostenibile per le sue oligarchie nazionali – e non solo nel caso il gigantesco schema Ponzi che è l’economia ultra-finanziarizzata degli USA (e che sta in piedi se e solo se nessuno riesce a mettere in discussione l’egemonia globale del dollaro) a un certo punto dovesse crollare: d’altronde, per capire che aleggi questo retropensiero basta guardare al cambio repentino di una rivista come Limes che, ormai, parla di fine dell’impero USA in termini quasi più perentori di quanto non facciamo noi e che, non a caso, è degli stessi proprietari dell’Economist.

Emmanuel Macron

Mettere fine a questo rinnovato protagonismo di Macron e smorzare le ambizioni indipendentiste francesi è quindi, con ogni probabilità, uno degli obiettivi di Washington; ed ecco così che, improvvisamente, la Le Pen – contro la quale per decenni tutto l’establishment europeo, al momento della bisogna, si è sempre compattato senza sbavature – magicamente diventa potabile. Per diventarlo, ovviamente, ha dovuto superare alcune prove di fedeltà: la prima risale ormai a un paio di mesi fa, quando la Marine ha spiazzato tutti annunciando il suo “appoggio incondizionato all’eroica resistenza ucraina”; un cambio di atteggiamento che però da solo, ovviamente, non poteva bastare. Bisognava che Marine ricalcasse la traiettoria già intrapresa dalla prima della classe del trasformismo della destra fintosovranista europea, la nostra Giorgia Nazionale, e che tagliasse in modo eclatante i ponti con quelle forze che ai dictat di Washington continuano ostentatamente a non volersi sottomettere, a partire, appunto, dall’AfD.
L’AfD, infatti, rappresenta per Washington uno dei principali spauracchi politici del vecchio continente e, da un certo punto di vista, è anche un bene, perché se è vero che ai tempi del declino dell’impero il fintoliberalismo globalista è il nemico principale, i danni che può fare una forza politica che non ha fatto nemmeno i conti col nazifascismo in una Germania in crisi e sotto attacco economico come tra le due guerre mondiali sono sinceramente incalcolabili. Ma, ovviamente, non è questa cautela a muovere i leader del mondo libero; d’altronde, il nazifascismo – in soldoni – altro non è che l’espressione più feroce delle logiche comuni a tutte le forze imperialiste e, al netto dei deliri ideologici, deve il suo sovrappiù di ferocia, in buona misura, al fatto di essersi fatto strada quando le altre potenze si erano già spartite il pianeta. Alla Germania e ai suoi alleati allora non rimaneva che trasformare in loro colonie il mondo slavo che però, rispetto a un qualsiasi paese africano o dell’estremo Oriente, aveva due svantaggi: il primo era che ci assomigliano un po’ di più; e quindi per noi che, volenti o nolenti, siamo ancora comunque profondamente razzisti, vedere le stesse identiche violenze che gli altri hanno perpetrato contro popoli non bianchi, di default ci fa più impressione. Il secondo è che erano armati (altrimenti li avevano già colonizzati) e quindi il tentativo di conquista coloniale, da un semplice massacro di popoli considerati inferiori, si è trasformato in una guerra di dimensioni spaventose. E, tra l’altro, oggi il sacrificio di quelle popolazioni noi manco lo riconosciamo: facciamo finta che a combattere e vincere la guerra siano stati gli USA e celebriamo solo le vittime che ci tornano più comode – che tra l’altro, a ben vedere, a livello ideologico (che conta il giusto, ma qualcosa pur sempre conta) è anche il motivo per cui ai postfascisti de noantri (a partire dalle bimbe di Benito come La Russa & company) la svolta filoatlantista, che d’altronde ha radici piuttosto lontane, non è che sia costata poi tanto. Dalla parte dell’imperialismo più feroce erano allora e dalla parte dell’imperialismo più feroce stanno oggi; tutto sommato, da questo punto di vista, so’ pure coerenti (anche quando, magicamente, superano in filosionismo i colleghi della sinistra ZTL).
Il superomismo amorale ti fa anche cambiare idea su chi è da considerare umano e chi, invece, appartiene agli untermensch. Il problema di fondo con l’AfD – come, a suo tempo, fu anche con la Lega che, per essere ammessa nella compagine di governo, ha visto il compagno Adolfo Urso recarsi di persona a Washington per fornire personalmente la garanzia che, al momento del bisogno, si sarebbero comunque sempre schierati dalla parte dell’imperialismo – è che rappresenta un blocco sociale che, strutturalmente, dalla guerra delle oligarchie contro la Russia e contro l’economia europea ha tutto da perdere e che è ben disposta a scendere a patti con i protagonisti del nuovo ordine multipolare pur di continuare a difendere l’economia reale tedesca; fatti fuori loro, gli altri partiti dell’ultradestra europea si sono guadagnati la benedizione di Washington che, in un’ipotetica nuova maggioranza politica fondata sull’alleanza tra l’ultradestra e la destra conservatrice dei popolari, vede alcuni vantaggi importanti. In primis, il fatto che, mano a mano che il declino dell’impero continuerà a far sentire i suoi effetti, anche le garanzie prettamente formali delle democrazie liberali cominceranno ad essere percepite come troppo vincolanti per il ricorso alla forza bruta contro i sempre crescenti malumori delle masse popolari; insomma: ci sarà da menare forte e la destra destra potrebbe risultare meglio attrezzata.
Il punto è come pensiamo di organizzarci noi per reagire, senza cadere di nuovo nella trappola della sinistra delle ZTL che utilizza questi timori (che, più che legittimi, a questo punto sono doverosi) per portare avanti la stessa identica agenda fondata su guerra e rapina, solo magari con qualche nozione di galateo in più. Quello che, di sicuro, ci serve come il pane è un vero e proprio media che sia in grado di contrastare la propaganda che ci rifilano per giustificare questa discesa verso gli inferi. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Francesco Lollobrigida

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Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Meloni e Le Pen: la destra atlantista contro Macron, l’AfD e ogni rischio di sovranità europea

Appuntamento della rassegna stramba del mercoledì con non uno, ma ben due Giuliano! Appuntamento alle 08.30 per raccontarvi le notizie del giorno.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!