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Tag: le pen

Da Draghi a Blair a Barnier: se l’Europa in declino prova a salvarsi resuscitando gli zombie

L’Europa sull’orlo del collasso decide di accelerare il declino e di consegnarsi mani e piedi a dei morti viventi riesumati ad hoc dalla cripta. Mercoledì a Bruxelles è successo o’ miracolo; dall’oltretomba è riapparso lui, il superuomo che aveva scosso le coscienze di mezza Europa mettendoci di fronte al grande enigma esistenziale: volete la pace o il condizionatore? Anche grazie a lui, abbiamo dovuto rinunciare ad entrambi; eppure rieccolo, accolto ancora una volta (inspiegabilmente) come un messia: SanMarioPio da Goldman Sachs anche a ‘sto giro ha rifatto il miracolo. Come sempre, è riuscito a fare esultare tutti i media mainstream del continente senza dire sostanzialmente una seganiente: “Senza riforme l’Ue non ha futuro” citava entusiasta addirittura Libero che, in passato, a lungo ha fatto finta di fargli l’opposizione; per domani mi aspetto un titolone tipo Draghi choc: non esistono più le mezze stagioni o Draghi illumina la platea: senza lilleri non si lallera. Mentre SanMarioPio pronunciava le sue solite 4 cazzate in croce per far finta che questo nuovo mandato della Von der Leyen possa ambire a qualcosa, dall’altra parte dello stretto della Manica andava in scena un altro sconvolgente rito liturgico; Aldo encefalogramma piatto Cazzullo ricorreva a tutti i poteri ultraterreni conferitigli dalla sua penna insopportabilmente melensa per resuscitare uno dei peggiori incubi della storia politica europea: Tony antrace Blair che, sottolinea Cazzullo, “ha meno capelli, ma è più magro”. D’altronde, i crimini di guerra e centinaia di migliaia di bambini iracheni sulla coscienza, anche a distanza di 20 anni, si fanno sentire (anche se non sui nostri media mainstream); il Corriere dedica a Blair due paginate intere per un’intervista apologetica con un quantità di luoghi comuni che, in confronto, il Caffè di Gramellini o le interviste di Fabio Fazio sono avvincenti thriller ricchi di colpi di scena, e che serve esclusivamente a lanciare il suo nuovo libro: On leadership. L’arte di governare, con il quale ieri ha deciso di debuttare la Nuova Silvio Berlusconi Editore “pensata e voluta dalla figlia Marina”, sottolinea Cazzullo.
Ma per assistere al vero miracolo della resurrezione, ieri è stato necessario attendere l’ora di pranzo; dopo ormai quasi due mesi che Macron fa di tutto per non dare l’incarico di formare il governo al Nuovo Fronte Popolare, vincitore delle elezioni, ecco che arriva la bomba: l’incarico è stato affidato a Michel Barnier, il Gasparri d’oltralpe, una vera e propria cariatide che non è mai riuscito a farsi votare nemmeno dai parenti, ma che dal 1978 ad oggi ha ricoperto ogni incarico possibile immaginabile. Nel 2021 Barnier si era presentato alle primarie del Partito Repubblicano; era arrivato terzo e quella che è arrivata prima alle elezioni ha preso il 5%: da allora il suo partito ha dimezzato di nuovo i seggi in parlamento. Insomma: se c’era uno che i francesi hanno detto chiaramente che non volevano nemmeno come inserviente alla bouvette del Parlamento era lui, fino a quando Macron e i superpoteri che solo l’investitura ufficiale delle oligarchie ti possono conferire, hanno fatto il miracolo. Ma prima di approfondire com’è che, non senza coerenza, un continente moribondo sta decidendo di affidarsi interamente a una classe dirigente di zombie che pensavamo e speravamo stramorti e sepolti, vi ricordo di mettere un like a questo video per consentirci di combattere anche oggi la nostra guerra quotidiana contro chi quegli zombie gli difende (anche a suon di algoritmi) e, se non lo avete ancora fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali e attivare tutte le notifiche: a voi costa meno tempo di quanto impieghi Cazzullo per accusare di complottismo chiunque non abbia subito una lobotomia frontale, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette di provare a contrastare il declino dando voce al 99%.

SanMarioPio da Goldman Sachs

“Per crescere e ambire a un ruolo di rilievo globale, l’Europa ha bisogno di riforme immediate senza precedenti, che devono coinvolgere tutti gli attori europei. Questo, in estrema sintesi, il nuovo, ennesimo, grido d’allarme lanciato nelle scorse ore dall’ex presidente BCE Mario Draghi”: dal tono apologetico, uno potrebbe pensare si tratti di uno di quei corsivi imbarazzanti di Antonio Scurati che tanto ci avevano fatto ridere durante il regno di SanMarioPio e, invece, è nientepopodimeno che Libero; d’altronde, di fronte alla luce che emana il santo banchiere non c’è pregiudizio ideologico che tenga. Il tono, infatti, cambia poco se si va dall’altra parte dello spettro politico: In Ue riforme rapide e senza precedenti, titola Domani; la Von der Leyen si aggrappa all’agenda Draghi. Ma cos’avrà fatto, a questo giro, il nostro messia per scatenare così tanto entusiasmo? Come al solito, una beneamata seganiente; la santità, d’altronde, è così che funziona: sta negli occhi di chi vede o nelle orecchie di chi sente, e che ha trovato la fede. La fede incrollabile e ingiustificata nel mito di SanMarioPio, a questo giro, è stata riaccesa dall’incontro che si è tenuto mercoledì a Bruxelles tra il santo banchiere e gli ambasciatori, prima, e i leader politici poi dei paesi aderenti: “Una presentazione formale dove non si è detto granché” ha osato dichiarare l’infedele Manon Aubry della France Insoumise; “La tanto attesa presentazione” avrebbe addirittura dichiarato un’altra fonte a Euractiv “non era all’altezza delle aspettative. Anzi, era decisamente deludente”. Ad essere presentato, rigorosamente a porte chiuse, doveva essere il tanto atteso report sulla competitività che la Von der Leyen aveva commissionato al santo banchiere ormai un anno fa. A che titolo? E da quando in qua ai santi serve un titolo? “Qual è la legittimità democratica di Mario Draghi per scrivere un rapporto del genere?” si chiede di nuovo Aubry la sacrilega: “Siete stati voi, o qualcun altro, ad eleggerlo?”; quello che sappiamo è che il rapporto doveva essere pronto per giugno. E invece siamo a settembre e non si è ancora visto; sarà consegnato ufficialmente lunedì prossimo, promettono: vedremo.
Nel frattempo, nonostante la pompa magna, sempre secondo Euractiv SanMarioPio “ha trascorso molto tempo a parlare dei numerosi problemi che ha identificato in termini di competitività dell’Europa e ha sostenuto che l’UE e i suoi Stati membri devono riformarsi per affrontare la sfida del futuro. Ma non ha approfondito le soluzioni che presenterà (presumibilmente) nel suo rapporto. Niente sui prestiti comuni, niente sulla difesa. Alcuni leader hanno posto anche alcune domande, ma lui non ha risposto”. D’altronde, tutto sommato, è anche giusto così: l’Unione europea ha rinunciato a quel poco di sovranità che le rimaneva quando ha deciso di sacrificare l’economia europea per sostenere la guerra per procura degli USA contro la Russia in Ucraina; e quindi, ora, se si parla di politiche economiche è giusto pour parler (e pour parler c’è sempre tempo). Nel frattempo, la cosa importante era dare un segnale chiaro alla propaganda mainstream, che fa sempre più fatica a trovare una narrazione in grado di farci ingoiare il secondo mandato di quell’essere inutile che è la Von der Leyen; il compito di SanMarioPio, quindi, non era altro che investire un po’ della luce che, inspiegabilmente, ancora oggi emana agli occhi dei salotti buoni della colonia Europa il commissario più grigio e delegittimato di sempre. E, alla fine, va anche riconosciuto che per quanto la sua presentazione sia risultata del tutto insipida e deludente, c’è sempre chi è in grado di fare di peggio, molto di peggio.
Con tutta la buona volontà possibile immaginabile, infatti, trovare una sola riflessione degna di nota all’interno delle interminabili due paginate che Aldo encefalogramma piatto Cazzullo ha voluto dedicare alla santificazione post mortem di Tony Blair è veramente un’impresa titanica; se – come giustamente ripete sempre il nostro Tommaso Nencioni – l’egemonia neoliberale consiste fondamentalmente nella politicizzazione delle puttanate e nella spoliticizzazione di tutto quello che davvero è motivo di contesa, il nostro Tony, anche a questo giro, si riconferma il suo sacerdote più ortodosso: con estrema lucidità, infatti, Blair delimita sin da subito l’ambito del conflitto fuffa tra le due fazioni del partito unico e denuncia come quella che (insieme a Cazzullo) definisce la deriva populista dei conservatori sia in realtà responsabilità dei centristi come lui, che “sembrano incapaci di prendere posizioni forti”. Si riferirà alla politica economica? Alla guerra? Alla crisi climatica? Macché: “Le guerre culturali”, ragazzi. Giuro. Lo dice proprio lui: il problema è che non prendiamo posizioni forti “sull’immigrazione e le guerre culturali”, ma non è una svista. E’ proprio una strategia: Cazzullo, infatti, ricorda a Blair come abbia più volte sostenuto che “un leader ha il dovere di essere ottimista”; “Nessuno sale volentieri a bordo di un aereo pilotato da un pessimista” conferma Blair. “Guardi la parabola del nostro tempo. Le cose stanno migliorando. La storia progredisce. Il ventunesimo secolo sarà straordinario. È solo questione di ritrovare la fiducia”. E Tony la fiducia la trova ovunque ponga lo sguardo: l’intelligenza artificiale rischia di indebolire ancora di più il mondo del lavoro? Ma no! “L’intelligenza artificiale non distruggerà mai il lavoro umano” rassicura Tony: “lo affiancherà. Se un lavoro può essere fatto meglio con l’intelligenza artificiale, sarà fatto con l’intelligenza artificiale: questa è la realtà”. Di questo passo non riusciremo mai ad affrontare la crisi climatica? Ma no! “Troveremo tecnologie green per lottare contro il cambio climatico senza danneggiare l’economia” (ovviamente, sempre a condizione che a pensarci sia il mercato); “Resiste l’ideologia per cui più è grande lo Stato, più è giusta la società” sottolinea Blair, “ma non funziona così”. In Medio Oriente Israele sta compiendo uno sterminio? Ma quando mai! Il problema è che i palestinesi sono divisi. Basta unificarli. E per unificarli basta che “a governare a Gaza non sia Hamas. Senza Hamas, Israele ha tutto l’interesse a cercare la pace”.
Con disappunto di Cazzullo, Blair è anche abbastanza ottimista su Trump: ricorda infatti come, tutto sommato, il suo istituto “ha lavorato in Medio Oriente durante l’amministrazione Trump, e abbiamo assistito a un grande accordo tra Israele e paesi arabi”; e anche nei confronti di Elon Musk – che Cazzullo definisce il vero capo dell’estrema destra globale – Blair spende comunque parole di encomio . “Se oggi in Africa anche le più remote aree rurali sono connesse, così come le settantamila isole che compongono l’Indonesia” sottolinea “lo si deve al suo sistema satellitare Starlink”; d’altronde, tra filantropi ci s’intende e, per mandare avanti il suo istituto, Blair di filantropi ne ha parecchio bisogno: meglio non essere troppo aggressivi con chi c’ha la grana. Anche sulla sua immagine pubblica Blair è ottimista: “Lei riconosce però anche di essere diventato impopolare” gli dice Cazzullo; un assist perfetto: “È il destino di ogni leader” risponde Blair in un eccesso di narcisismo che sembra eccessivo anche per i suoi standard. “All’inizio sei meno capace e più popolare. Con il tempo diventi molto più capace, e molto più impopolare. È accaduto anche a me”. L’unica cosa sulla quale non è poi così ottimista è sul conflitto con la Cina: “Ci sarà un conflitto militare tra America e Cina?” chiede Cazzullo. “Credo di no. Ma potrei sbagliarmi. Per questo dobbiamo prepararci a qualsiasi possibilità” – a partire dall’Ucraina, dove ovviamente le armi che forniamo devono poter essere utilizzate per colpire la Russia in profondità. Ça va sans dire. Alla fine, comunque, anche qui non c’è da preoccuparsi poi troppo perché quella che Cazzullo definisce la guerra politica tra le democrazie occidentali e le autocrazie, alla fine, la vinceremo perché “La stragrande maggioranza dei Paesi in cui si vive meglio sono democrazie” e “Le persone che vivono nelle autocrazie vorrebbero venire nei Paesi democratici”. Come in Francia, da dove arriva il terzo e ultimo zombie di questa carrellata in stile l’alba dei morti dementi.
Il contesto lo conoscete: come abbiamo descritto in dettaglio in questo video giusto qualche giorno fa, da mesi Macron si arrabatta per trovare il modo di ribaltare il responso delle urne e impedire che l’incarico di Primo Ministro finisca nelle mani di qualcuno che – come la stragrande maggioranza dei francesi – voglia annullare la riforma delle pensioni e, magari, anche qualche altra vaccata antipopolare passata negli ultimi mesi bypassando il parlamento e ricorrendo in modo totalmente incostituzionale al famigerato articolo 49,3 che permette, appunto, di governare a suon di decreti. La responsabilità di portare a termine questo piccolo golpe democratico è stata affidata ieri a Michel Barnier; deputato dal lontano 1978, nel tempo Barnier è stato ministro di tutto lo scibile umano: ambiente, affari europei, esteri, agricoltura e alimentazione, oltre che due volte commissario europeo, prima alle politiche regionali e poi al mercato interno e i servizi finanziari. Ed è sempre stato così scarso che, dopo 45 anni passati a occupare ogni poltrona possibile immaginabile, non è mai stato in grado di guadagnare mezzo voto; per il piano di Macron, l’uomo ideale: difficile temere si faccia qualche scrupolo a mettere la faccia in questa palese violazione della volontà democratica degli elettori francesi. D’altronde, come ha ricordato Melenchon ieri in un’incandescente conferenza stampa durante la quale ha invocato una massiccia mobilitazione popolare per domani, non è la prima volta: “Dopo che gli elettori francesi hanno respinto in massa l’approvazione della Costituzione europea nel 2005” ricorda infatti Melenchon, Barnier ha guidato il gruppo di politici che “ha presentato lo stesso identico testo all’Assemblea nazionale” che, a sua volta, ha immediatamente ribaltato la volontà popolare. Ma Barnier è l’uomo perfetto anche per un altro motivo: anche se non lo può ammettere pubblicamente, piace alla Le Pen, che ora viene chiamata a condividere le responsabilità di governo e che apre al dialogo; “Michel Barnier” ha dichiarato alla stampa “sembra soddisfare almeno uno dei criteri che avevamo richiesto, ovvero avere qualcuno che rispettasse le diverse forze politiche e fosse in grado di parlare con il Rassemblement National”.
D’altronde, anche da questo punto di vista la scelta di Barnier potrebbe non essere stata casuale; durante l’ultima campagna elettorale, aveva provato in ogni modo a raccattare qualche voto spingendo al massimo sull’autostrada più sicura: un po’ di retorica anti-migranti un tot al chilo. Certo, lui poi è talmente scarso che non ci ha cavato un ragno dal buco, ma sicuramente lo ha trasformato in un volto presentabile di fronte all’elettorato lepenista. La speranza è che, come i meloniani de noantri, alla fine nessuno chieda il conto per aver contribuito, con un gioco di palazzo palesemente antidemocratico, a tenere in piedi la riforma delle pensioni che – a chiacchiere – anche la Le Pen, come tutti i suoi elettori, dicono di avversare; basterà dire le solite tre puttanate sui migranti e lo zoccolo duro terrà botta, e sarà sufficiente per farla vincere alle prossime elezioni – alle quali, finalmente, si potrà presentare senza la sfiducia da parte delle oligarchie che l’ha ostacolata fino ad oggi. Proprio come la Meloni a sua tempo, anche Marine, infatti, negli ultimi mesi ha fatto di tutto per dimostrare di essere senza se e senza ma dalla parte dell’Occidente collettivo e dei poteri forti che lo governano, ma – visti i trascorsi – le perplessità non sono state del tutto superate; ed ecco così che quando a luglio i francesi sono tornati alle urne, ha prevalso la solita vecchia logica del barrage republicain, che prevede che tutti si alleino per evitare il pericolo più grande e, cioè, l’ascesa di una destra che guarda con sospetto a Washington e alle multinazionali: un po’ di tempo passato a fare la gavetta e sostenere un governo antipopolare è il modo giusto per superare definitivamente queste perplessità. Intanto, dopo l’annuncio dell’incarico a Barnier , i mercati francesi si sono parzialmente ripresi da una giornata partita malissimo: a guadagnare, in particolare, sono stati i titoli bancari, con Societe Generale che è salita del 3.6% e BNP Paribas SA del 2.7%.
Al contrario degli elettori della Le Pen e della Meloni, gli oligarchi sanno esattamente chi difende i loro interessi: resuscitano gli zombie, stravolgono i risultati elettorali e continuano a farneticare di guerra tra democrazie e autocrazie. Andrebbero mandati tutti rapidamente a casina; per farlo, abbiamo prima di tutto bisogno di un media che, invece che alle loro vaccate, dia voce ai bisogni concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Massimo Gramellini

Chi è Michel Barnier, il nuovo premier scelto da Macron che strizza l’occhio a Le Pen – ft. Lorenzo Battisti

Svolta a destra in Francia: sarà quindi Michel Barnier il nuovo premier francese. Oggi alle 18 Barnier ha accettato ufficialmente l’incarico e adesso si appresta a cercare una possibile coalizione di governo nell’Assemblea Nazionale. Membro del partito repubblicano, Barnier è già stato 4 volte ministro ed è un vero e proprio dinosauro della politica francese (“il Gasparri d’oltralpe”). Macron ha così deciso di sputare in faccia agli elettori e alla coalizione di sinistra e messo un uomo di fiducia dell’establishment che potrebbe accontentare sia la finanza e gli USA, ma anche l’estrema destra di Le Pen che infatti non ha escluso un appoggio al governo.  Ne abbiamo parlato con Lorenzo Battisti, sindacalista ed esperto di politica francese.

Da Trump a Le Pen: la rivincita del capitalismo straccione e le lacrime di coccodrillo degli analfoliberali

Tra analfoliberali sull’orlo di una crisi di nervi e miliardari fintosovranisti travestiti da working class heroes, andrà a finire che moriremo tutti, ma – di sicuro – non di noia: dopo 50 anni di pilota automatico, le diverse fazioni del grande capitale dell’Occidente imperialista, impanicate dal loro progressivo e inevitabile declino, sono tornate a farsi la guerra; e gli ultimi giorni, tra attentati falliti e la prima volta in assoluto dal 1968 che un commander in chief decide di rinunciare spontaneamente alla corsa per il secondo mandato, sono stati in assoluto i più movimentati del teatrino politico USA degli ultimi decenni. Ma al di là della rappresentazione teatrale, in cosa consistono davvero queste fazioni del capitale sull’orlo della guerra civile? Che interessi materiali rappresentano? Ha davvero senso tifare per una piuttosto che per l’altra? E sono davvero così alternative tra loro? Dalla Francia della Le Pen agli USA di The Donald, in questo video proveremo a dare alcune informazioni che speriamo ci permettano di navigare in queste acque turbolente senza essere totalmente in balia della propaganda e dei mezzi di produzione del consenso delle diverse fazioni del partito unico della guerra e degli affari; prima di farlo, però, vi ricordo di mettere un like a questo video (proprio per permetterci di portare avanti la nostra guerra quotidiana contro il pensiero unico imposto dagli algoritmi) e, se non l’avete ancora fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali social e di attivare le notifiche: a voi costa solo pochi secondi, ma a noi permette di dare ogni giorno un po’ più di voce al 99% e a chi dalle faide tra pezzi diversi di oligarchia, alla fine, ha sempre e solo da rimetterci.

The Donald con Volodymyr Zelenski

Come mi capita spesso, non c’avevo capito una seganiente: unico tra tutti gli Ottoliner, ho continuato per mesi a dire che, a mio avviso, la vittoria di Trump nelle prossime presidenziali di novembre non era scontata per niente; nonostante i sondaggi, il senso comune, la continua debacle in Ucraina e il disastro in Medio Oriente, per mesi – infatti – i democratici hanno continuato a registrare un sostegno record da parte delle oligarchie che continuavano a riversare montagne di quattrini nelle casseforti dei comitati elettorali pro Biden, mentre il piatto di Trump (a parte l’attivismo del MAGA, i movimentisti del Make America Great Again) continuava a piangere. Sarò superficialmente economicista, ma a queste condizioni tutta ‘sta cavalcata trionfale verso la presidenza, tutto sommato, mi sembrava un po’ difficile, fino a che il vento non ha cominciato a cambiare decisamente direzione; sarà stata la fine dell’incognita giudiziaria, sarà stata l’efficacia retorica di Trump, saranno state le millemila gaffe di Biden, fatto sta che, a un certo punto, i flussi di quattrini hanno cominciato palesemente a cambiare segno: nel giro di poche settimane, Trump ha cominciato a registrare il sostegno di alcuni pezzi da 90 del grande capitale a stelle e strisce. Prima è stato il turno di Arthur Schwarzmann, eminenza grigia dell’alta finanza USA e fondatore di Blackstone, il fondo che (più di ogni altro al mondo) sta lavorando per una totale finanziarizzazione del mercato immobiliare residenziale; poi è arrivato il sostegno dal gotha dell’anarco-capitalismo distopico made in Silicon Valley – da Elon Musk a Peter Thiel, che si è guadagnato un posto al sole nella prossima amministrazione Trump grazie alla nomina a vicepresidente in pectore del suo protegé JD Vance – fino ad arrivare addirittura all’ipotesi di un posto da sottosegretario al tesoro per Jamie Dimon, il CEO di JP Morgan, di gran lunga la più grande banca privata del pianeta e la grande vincitrice della crisi finanziaria che l’anno scorso ha comportato, in pochi giorni, 3 dei 5 più grandi fallimenti bancari della storia statunitense, spacciati dalla grande macchina propagandistica al soldo delle oligarchie finanziarie come cosucce da niente. E meno male che Trump era il paladino dei working poors della Rust Belt. Cosa diavolo stava succedendo?
Negli ultimi anni, in particolare insieme ad Alessandro Volpi, abbiamo provato a descrivere l’affermazione di una nuova forma di capitalismo che altri, più quotati di noi, definiscono da tempo Asset Manager Capitalism; in questa forma di capitalismo, i principali centri di potere sono i grandi monopoli finanziari globali del risparmio gestito, a partire dai Big Three: BlackRock, Vanguard e State Street. Totalmente organici ai finto-progressisti democratici – in particolare a partire dal 2008 – questi fondi sono stati messi nella condizione di concentrare nelle loro mani una quantità di liquidità spropositata che hanno utilizzato per acquisire quote di controllo nella stragrande maggioranza delle grandi aziende statunitensi quotate allo Standard&Poor 500, ma soprattutto per gonfiare a dismisura una bolla finanziaria di dimensioni mai viste pompando il valore delle azioni oltre ogni limite possibile immaginabile; questo meccanismo si è rafforzato a tal punto da diventare il vero e proprio cuore pulsante dell’accumulazione capitalistica dell’Occidente collettivo, dove il grosso dei patrimoni delle oligarchie consiste, appunto, in montagne di azioni che hanno valori completamente scollegati dai reali valori economici delle aziende che le emettono e che riescono a mantenere solo grazie alla continua iniezione di liquidità gestita da questi mastodontici fondi. Questa nuova configurazione dell’accumulazione capitalistica però, inevitabilmente, ha consegnato a questi fondi un potere senza precedenti che ha cominciato a suscitare qualche mal di pancia anche tra una fetta di coloro che, a livello di ricchezza personale, da questo meccanismo – fino ad allora – in realtà ci avevano guadagnato eccome, com’è il caso proprio degli stessi Elon Musk e Peter Thiel; ma quello che spesso sfugge agli analfoliberali è che il fine ultimo del vero capitalista non è la ricchezza, ma il potere. Le cose non sono facili da distinguere, perché nel capitalismo il potere corrisponde sostanzialmente alla quantità di ricchezza accumulata, ma il fine vero, appunto, è il potere e quando, per qualche ragione, alla quantità di ricchezza accumulata non corrisponde direttamente una quota più o meno simile di potere, qualcosa si comincia a incrinare, che è esattamente quello che è cominciato ad avvenire: i grandi fondi garantivano di accumulare ricchezza gonfiando la bolla finanziaria, ma a quella ricchezza non corrispondeva un pari potere, perché a detenere il potere erano sostanzialmente i fondi stessi, che erano arrivati a piegare ai loro voleri tutto il partito democratico, le amministrazioni che esprimevano e la stragrande maggioranza dei governi degli alleati vassalli degli USA – come è stato plasticamente dimostrato durante l’ultimo G7 dove il CEO di BlackRock, Larry Fink, si è preso il palcoscenico e si rivolgeva ai vari capi di Stato come a un branco di bimbi scemi dicendogli esattamente cosa dovevano concedergli per non saltare tutti per aria e cioè, per inciso, tutti i servizi pubblici essenziali e tutte le principali infrastrutture, a partire da tutto quello che è necessario per effettuare la transizione ecologica.
Comunque, quello che è avvenuto è che pezzi sempre più consistenti di élite economica e di oligarchie USA hanno visto in Donald Trump, che da questi fondi è sempre stato avversato, l’opportunità per riequilibrare a loro vantaggio i rapporti di forza all’interno del grande capitale statunitense e da lì la partita, effettivamente, si è fatta piuttosto interessante: attorno all’idea di riequilibrare i rapporti di forza con i giganti della gestione dei risparmi si è formato un blocco sociale trasversale ampio, variegato ed estremamente influente e che, soprattutto, poteva contare su un referente politico che aveva il vento in poppa; ed ecco allora che tra le fila dei democratici qualcuno ha cominciato a suggerire che, per questo livello di scontro, la vecchia anatra zoppa di Rimbambiden non era più all’altezza. Poi è arrivato l’attentato fallito di Butler, che ha accelerato a dismisura questa dinamica già in corso da tempo e ha costretto a passare dalle parole ai fatti: la storica rinuncia alla corsa per il secondo mandato di Rimbambiden va inserita in questo tipo di dinamica e di conflitto; ora il rischio, però, è che alla narrazione bollita degli analfoliberali ne segua una ancora più bollita di matrice analfosovranista. I capitani di ventura che si sono coalizzati attorno a Trump, infatti – dai petrolieri ai guru delle criptovalute, dai padroni della gestione dei dati (come Thiel) a quelli che hanno fatto i miliardi grazie agli schemi piramidali più spregiudicati – continuano comunque a dipendere dalla bolla speculativa tenuta in piedi dalla liquidità dei grandi fondi. Non darei quindi troppo peso alle boutade di JD Vance su un potenziale ridimensionamento del ruolo del dollaro, magari illudendosi che questo preluda a un fantomatico neo-isolazionismo statunitense che rinvia l’escalation bellica: questa, a mio avviso, è tutta fuffa propagandistica priva di basi materiali concrete; semplicemente, si tratta di una riconfigurazione dei rapporti di forza tra le diverse fazioni del grande capitale nell’ambito della quale la volontà del centro imperiale di saccheggiare tutti gli alleati vassalli rischia anzi, inevitabilmente, di farsi ancora più feroce e plateale. D’altronde l’élite trumpiana è sostanzialmente l’erede diretta della classe dirigente che ha circondato Reagan e Paul Volcker, il famigerato ex presidente della FED che – con una politica dei tassi di una violenza senza precedenti – ha proprio avviato una fase di rientro dei capitali a Wall Street che ha seminato il panico in tutto il resto del mondo. Il processo da tenere sott’occhio mi pare evidente sia questo, mentre tutte i conflitti tra chi spinge per il fossile e chi per le rinnovabili, tra chi vorrebbe proibire l’aborto e chi invece sogna un eterno lungo pride, tra chi vorrebbe abbattere ogni confine e chi invece vorrebbe costruirci muri alti 12 metri, mi pare appartengano più alla sfera della rappresentazione teatrale della politica, dove si fa a gara a chi la spara più grossa, ma poi, sostanzialmente, dietro agli slogan di concreto si fa poco o niente, da una parte e dall’altra; e questo processo che, ovviamente, assume dimensioni epocali nel centro imperiale, mi sembra evidente che riguardi, in scala ridotta, anche le periferie.
Il quotidiano francese L’Humanité, due giorni fa, è entrata in possesso di un documento riservato che descrive nel dettaglio un piano “per installare al potere in Francia un’alleanza tra estrema destra e destra conservatrice”; “Un progetto politico” commenta L’Humanité “redatto come un business plan di una start-up, che dettaglia un piano organico e sistematico in una serie di tappe coordinate sapientemente, con tanto di target da avvicinare, talenti da reclutare” e via dicendo. Il nome in codice del piano è Pericle che oltre a rifarsi al grande leader populista ateniese, in francese sarebbe anche un acronimo per “patrioti radicati resistenti identitari cristiani liberali europei sovranisti”. Il piano prevede un contributo finanziario a fondo perduto di ben 150 milioni da investire nell’arco di una decina di anni; e a tirare fuori la grana sarebbe lui: Pierre Edouard Sterin che, quando lavoravo a Report, ho avuto l’occasione di conoscere personalmente. Pierre Edouard Sterin, infatti, deve la sua fortuna a questa robetta qua:

si chiamano SmartBox e sono gli ormai famigerati cofanetti che regaliamo quando vogliamo fare uno spregio a qualcuno e che contengono buoni per piccoli pacchetti turistici che quando uno li consuma non vede l’ora di tornare a lavorare. Il modello di business di SmartBox è molto semplice: chiede alle strutture una commissione che è circa il doppio di quella richiesta dai grandi portali per le prenotazioni, che certo non fanno beneficenza; il risultato è che gli albergatori convenzionati se hanno qualche minima speranza di poter affittare una stanza all’ultimo minuto, ti dicono di essere al completo anche quando non lo sono affatto e gli unici che non ti dicono di essere al completo sono quelle strutture talmente pessime che, a parte che i poveracci ai quali rifilate una SmartBox, non vedranno mai mezzo cliente. Sin dall’inizio, Sterin aveva chiarissima l’intenzione di mettere parte del denaro accumulato con questa roba a servizio di un progetto politico di estrema destra; e per accelerare l’accumulazione di questo capitale necessario ad avviare una nuova controrivoluzione, prima – da vero patriota – ha spostato la sede fiscale in Belgio per sfuggire alle tasse messe sui super-ricchi da Hollande e poi ha licenziato tutti i lavoratori delle controllate locali che ha acquisito in Irlanda e poi anche in Italia. Quando l’ho incontrato a Parigi mi ha detto espressamente che il suo progetto politico era – come un Milei qualsiasi – ridurre al minimo l’intervento dello Stato francese nell’economia privatizzando i servizi essenziali come la sanità e l’istruzione e che, nel perseguire questo cammino, il suo desiderio più grande era nientepopodimeno che diventare santo; con Pericle ora si pone l’obiettivo di “lottare contro i mali principali del nostro paese” che sono “il socialismo, lo wokismo, l’islamismo e l’immigrazione” e, per raggiungere questi obiettivi, sta lavorando per mettere insieme un migliaio di “persone allineate, in grado di rappresentare la spina dorsale del nuovo governo che conquisterà il potere nel 2027”.
Ecco: il blocco sociale che sta mettendo fine alla dittatura delle élite globaliste è trainato da questa gente qua; sarebbe il caso di non farsi troppe illusioni. Il dominio dell’uomo bianco sul resto del pianeta, dopo 5 secoli, è ormai agli sgoccioli e non saranno le élite che hanno dominato per 5 secoli a indicare la via d’uscita, a prescindere da quanto vi piacciano le loro narrazioni strampalate; se vogliamo trovare una via d’uscita (prima che sia troppo tardi) ci dobbiamo organizzare da soli e, per farlo, ci serve un media che invece che ai deliri degli Sterin, dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Giuseppe Cruciani

Francia a un passo dall’esplosione? – ft. Vittorio Caligiuri

Dopo le elezioni di domenica la Francia risulta divisa in tre parti eguali: l’estrema destra, la sinistra e il centro liberista dell’attuale presidente in carica Macron. A vincere le elezioni è stato, inaspettatamente, il Fronte Popolare, forte di una grande mobilitazione popolare a suo favore da parte di vasti segmenti dell’opinione pubblica. Il rischio è ora che una pattuglia di “responsabili” decida di staccarsi dalla lista di sinistra in cui è stata eletta per andare a sostenere un nuovo governo centrista assieme alla lista di Macron e ai Repubblicani. Il dubbio aleggia sopra i Verdi e in particolare il Partito Socialista; si teme che una mossa simile consegnerebbe, nelle elezioni presidenziali del 2027, il paese a Marine Le Pen. Buona visione!

#Francia #elezioni #FrontePopolare #Antifa #Melenchon #LePen #Macron

Oligarchie USA e finto-sovranisti europei – La guerra al Sud globale si farà così

Puntata speciale con Giuliano, Gabri e Ale che si confrontano sui temi politici fondamentali della settimana. La Le Pen sta lisciando il pelo alle oligarchie USA al fine di farsi eleggere in Francia e governare senza inciampi. Il mercato immobiliare statunitense dimostra la nascita di una nuova bolla che potrebbe creare una dialettica conflittuale all’interno delle oligarchie USA. Nel frattempo, Vietnam, Malesia e Thailandia non sembrano più disposti a giocare il ruolo di burattini degli Stati Uniti.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare!

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Rimbambiden benedice la Le Pen e affida alla destra reazionaria il compito di svendere l’Europa

Oohhh, ora sì! Ne sentivamo veramente il bisogno! Come titolava a 6 colonne Libero ieri, finalmente Nasce la nuova destra: “Salvini e Le Pen” riporta la testata di Angelucci, il KingMaker della destra arraffona e svendipatria italiana, “rompono con i tedeschi di AfD, rimuovendo l’ultimo ostacolo per la formazione di una grande alleanza anti-sinistra che punti a governare l’Europa”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso delle tensioni fra ultradestra italiana e francese e quella tedesca in ascesa sarebbe stata nientepopodimeno che l’intervista pubblicata sabato scorso su La Repubblichina all’uomo indicato dall’AfD come il suo candidato alla presidenza della commissione europea, Maximilian Krah: “Non dirò mai che chi aveva un uniforme delle SS era automaticamente un criminale” aveva affermato. Non aspettavano altro: nell’arco di poche ore, Rassemblement National della Le Pen ha annunciato ufficialmente di aver tagliato definitivamente i ponti con l’AfD e che nel parlamento che verrà ridisegnato con le elezioni europee del 9 giugno non siederà più nello stesso gruppo parlamentare degli ex amici tedeschi; e, subito dopo, immancabilmente gli ha fatto eco la Lega di Matteo Salvini.
E’ l’esito scontato, anche se probabilmente più rapido e repentino del previsto, delle parole pronunciate la settimana scorsa dal portavoce delle oligarchie euroatlantiche, il presidente del parlamento europeo in carica Charles Michel, che avevamo già riportato in quest’altro video qua: “Nei partiti che vengono definiti di estrema destra” aveva dichiarato “vi sono personalità con cui si può collaborare”; il parametro da adottare per fare la selezione alla porta ovviamente non ha niente a che vedere con il nazifascismo e le SS che, anzi, negli ultimi due anni sono stati ripetutamente sdoganati tra leggende metropolitane sui lettori di Kant e vecchi stragisti antisemiti salutati come eroi della patria in giro per i parlamenti dell’Occidente collettivo. Quella è semplicemente la scusa: una trappola ben architettata che hanno teso all’impresentabile Maximilian Krah e nella quale, da sprovveduto quale è, è precipitato serenamente senza rendersene minimamente conto. Il discrimine vero, ovviamente, è tutt’altro e l’aveva sottolineato esplicitamente Michel stesso: l’importante, aveva affermato, è che siano “pronti a collaborare per sostenere l’Ucraina, e a rendere l’Ue più forte” che, tradotto, significa “che siano schierati dalla parte giusta nella guerra che l’imperialismo ha dichiarato ai paesi sovrani di tutto il mondo e che siano pronti a rinunciare ancora di più alla sovranità dei rispettivi paesi (dove – nonostante tutto – vigono ancora sistemi almeno parzialmente democratici) per trasferire ancora più potere a una struttura sovranazionale completamente post democratica come l’Unione europea e mettere, così, definitivamente al sicuro l’adesione all’agenda ultra-atlantista senza rischiare che venga messa almeno parzialmente in discussione dal voto popolare”; due paletti che l’AfD, al momento, non sembra essere troppo propensa a rispettare.

Maximilian Krah

Ed ecco quindi, casualmente, che arriva il casus belli e l’opportunità per fare, come titolava il suo editoriale di ieri sempre su Libero Mario Sechi, “la mossa giusta per contare di più” che, sostanzialmente, significa fare a livello europeo quello che Giorgia lamadrecristiana ha già portato a termine nel laboratorio politico italiano: sostituirsi alla sinistra ZTL come la fazione del partito unico della guerra e degli affari più affidabile agli occhi dell’imperialismo a guida USA e delle sue oligarchie in questa lunga stagione di guerra totale contro il resto del mondo. Ma prima di provare a capire cosa significa e cosa può comportare questo epocale spostamento del baricentro politico dell’intero vecchio continente, vi ricordo di mettere un like a questo video per aiutarci a combattere la nostra di guerra (quella contro la dittatura degli algoritmi) e, se non lo avete ancora fatto, anche di iscrivervi a tutte le nostre pagine social e attivare tutte le notifiche; un’operazione che a voi costa pochi secondi di tempo, ma che per noi può fare davvero la differenza e aiutarci a costruire un vero e proprio media che, invece di fare da cassa di risonanza alle boiate della sinistra ZTL e della destra svendipatria, dà voce agli interessi del 99%.
“La mossa di Le Pen e Salvini è giusta” scrive Mario Sechi nel suo editoriale di ieri che trasuda entusiasmo da tutti i pori: “è un’opportunità, tutta da costruire e con poco tempo per spiegarla. Il risultato lo vedremo presto: siamo nella fase in cui si fanno le scommesse, siamo tra il razionale e l’irrazionale. E’ il fascino del voto, fate il vostro gioco” (Mario Sechi, Libero). La quantità di fuffa messa sul tavolo dai pennivendoli della destra fintosovranista per cercare di dare una qualche forma di nobiltà alle spericolate acrobazie politiche che sta cercando di compiere per accreditarsi come il più fedele dei cani da guardia dell’impero agli occhi del padrone di Washington, ricorda i tempi migliori delle supercazzole di Vendola e Bertinotti; ci manca giusto la mossa del cavallo e abbiamo fatto l’en plein. Un parallelismo che non dovrebbe sorprendere troppo, tutto sommato: proprio come allora, infatti, la sinistra cosiddetta radicale si doveva inventare teorie astruse per giustificare il sostegno a governi che, con la loro foga riformatrice in chiave ferocemente neoliberista, ne contraddicevano alla radice la stessa ragion d’essere; ora la mission impossible di dover giustificare – a suon di parabole e frasi ad effetto – il sostegno a un’ipotesi di governo in netto contrasto con l’euroscetticismo e il Pivot to Russia professato fino ad oggi, tocca alla destra fintosovranista e svendipatria.
Come sottolineiamo continuamente, nell’ambito dell’imperialismo unitario, tanto nel centro imperiale USA quanto – a maggior ragione – nella periferia europea, non c’è nessunissima alternativa concreta di governo che possa essere espressa dalle urne; lo stato profondo dell’imperialismo unitario ha optato, per ragioni strutturali che ci sforziamo continuamente di sviscerare, per una guerra totale contro il resto del mondo e le elezioni non possono che essere una sorta di concorso interno al partito unico della guerra e degli affari per decidere quale fazione dovrà governare questa lunga e travagliata fase. Di default, il referente più accreditato sarebbe quel guazzabuglio della maggioranza Ursula, un’accozzaglia talmente informe da garantire che non venga mai messo in discussione il pilota automatico che guida la politica della colonia europea; il vecchio e paludato establishment, con il suo sterminato curriculum in tema di utilizzo di doppi standard, presenta inoltre anche l’innegabile vantaggio di conoscere il galateo e di avere un volto presentabile, requisito piuttosto utile per poter continuare a ricorrere alla barzelletta dello scontro tra società aperte e responsabili, da un lato, e sconsiderati e feroci regimi autoritari dall’altro. Fino ad oggi, questa favoletta per analfoliberali ha sempre rappresentato un potente dispositivo egemonico che faceva credere a una parte consistente di popolazione che anche se era chiamata a sopportare giganteschi sacrifici (mentre le sue élite economiche non facevano che arricchirsi) alla fine, perlomeno, era per una buona causa; ma questo dispositivo egemonico – e, cioè, questo artificio retorico che fa credere a chi è bastonato che, alla fine, sia per il suo bene – nonostante tutti gli sforzi della propaganda, mano a mano che le bastonate diventavano più forti non ha fatto che perdere il suo appeal. Ma non solo: per quanto, con ogni probabilità, del tutto velleitarie nel cuore stesso della sinistra delle ZTL, mano a mano che la totale subordinazione all’agenda delle oligarchie USA ne faceva precipitare i consensi si sono cominciate a vedere alcune crepe.
Il primo ministro socialdemocratico tedesco, ad esempio, spinto dai malumori crescenti di una fetta consistente della sua borghesia nazionale, prima ha opposto qualche flebilissima resistenza all’invio delle armi più distruttive in Ucraina – dai Leopard ai Taurus – e poi ha anche abbozzato qualche forma di dialogo con il nemico pubblico numero 1, la Repubblica Popolare Cinese; qualche mal di pancia, poi, è emerso per il sostegno incondizionato allo sterminio dei bambini palestinesi perpetrato dal regime fasciosionista di Tel Aviv: prima, in particolare, da parte del governo di centrosinistra spagnolo e poi, addirittura, dall’amministrazione del sempre pimpantissimo Manuelino Macaron che, giusto ieri, ha espresso il suo sostegno alla richiesta da parte del procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja di un mandato di cattura per Bibi Sterminator Netanyahu e il suo fedele ministro dello sterminio, Yoav Gallant. Ma soprattutto – come abbiamo sottolineato a più riprese – nel caso specifico di Macron, questo sussulto di dignità sulla questione genocidio non è un episodio isolato: il protagonismo degli ultimi mesi del sempre pimpantissimo Manuelino, infatti, non è passato certo inosservato; in principio furono le parole che Manuelino pronunciò nel viaggio di ritorno dalla Cina, quando Manuelino si azzardò a sottolineare che “Per troppo tempo l’Europa” non avrebbe perseguito con sufficiente convinzione la strada per la costruzione di una sua “autonomia strategica”, che non dovremmo farci coinvolgere “in una logica di blocco contro blocco“ e che non dovevamo lasciarci coinvolgere in scenari di “crisi che non sono nostre”, alludendo chiaramente alle tensioni nel Pacifico e nello Stretto di Taiwan. Poi c’è stata la sparata sull’invio di truppe in Ucraina, che in molti hanno letto come un atto di fedeltà suprema alla guerra USA contro la Russia, ma in realtà, molto probabilmente, anche qui la realtà è decisamente più complessa: dopo essere stato – in assoluto – il paese europeo che ha mandato meno aiuti a Kiev, la fuga in avanti sull’invio di truppe, in realtà, poteva anche essere letta come un tentativo di forzare la creazione di una difesa comune europea con la Francia e il suo ombrello nucleare al centro e in grado di garantire, appunto, una certa autonomia strategica. Dopo ancora è arrivato il famoso rapporto di Enrico Baionetta Letta, uomo legato a doppio filo alle élite d’oltralpe che, sostanzialmente, invocava la creazione di un monopolio finanziario privato autonomo europeo, ovviamente a guida francese; traiettoria che, subito dopo, il sempre pimpantissimo Manuelino ha ribadito aprendo all’ipotesi di operazioni di fusione e acquisizione tra grandi banche europee con un occhio di riguardo, in particolare, a operazioni che vedano coinvolti gruppi spagnoli e francesi.
Intendiamoci: non si tratta certo di atti di insubordinazione sovranista all’imperialismo unitario. Lo schema all’interno del quale si muove Macron è comunque sempre quello della globalizzazione neoliberista e della finanziarizzazione spinta dell’economia a favore delle oligarchie transnazionali; e infatti il suo nuovo protagonismo ha trovato grande risalto nella grande stampa finanziaria internazionale che gli ha dedicato prime pagine su prime pagine, da Bloomberg all’Economist, che oltre ad aver sottolineato più volte tutte le sue perplessità nei confronti della svolta neoprotezionista degli Stati Uniti, ricordiamo essere anche legata a doppio filo proprio alla finanza francese in quanto di proprietà della Exor della famiglia Agnelli/Elkann, tra i principali azionisti – tra l’altro – della ormai sostanzialmente francese Stellantis. Ciononostante, appunto, segnala una qualche ripresa della volontà di grandeur francese e, in continuità con il gaullismo (che, comunque, rappresenta una componente importante dello stato profondo francese), anche di volontà – appunto – di ritagliarsi un posto al sole in un sistema imperialistico riformato e non completamente appiattito sulle esigenze di Washington e di Wall Street. Ora, intendiamoci, si tratta chiaramente, in buona parte, di ambizioni velleitarie: ciononostante, per una Washington che comunque – nonostante il suo fondamentalismo eccezionalista – non può non riconoscere il progressivo declino del sistema superimperialista incentrato sul suo dominio, sicuramente rappresentano motivo di più di qualche preoccupazione, soprattutto in prospettiva; l’attivismo del sempre pimpantissimo Manuelino, infatti, può anche essere letto come la necessità di costruire una exit strategy sostenibile per le sue oligarchie nazionali – e non solo nel caso il gigantesco schema Ponzi che è l’economia ultra-finanziarizzata degli USA (e che sta in piedi se e solo se nessuno riesce a mettere in discussione l’egemonia globale del dollaro) a un certo punto dovesse crollare: d’altronde, per capire che aleggi questo retropensiero basta guardare al cambio repentino di una rivista come Limes che, ormai, parla di fine dell’impero USA in termini quasi più perentori di quanto non facciamo noi e che, non a caso, è degli stessi proprietari dell’Economist.

Emmanuel Macron

Mettere fine a questo rinnovato protagonismo di Macron e smorzare le ambizioni indipendentiste francesi è quindi, con ogni probabilità, uno degli obiettivi di Washington; ed ecco così che, improvvisamente, la Le Pen – contro la quale per decenni tutto l’establishment europeo, al momento della bisogna, si è sempre compattato senza sbavature – magicamente diventa potabile. Per diventarlo, ovviamente, ha dovuto superare alcune prove di fedeltà: la prima risale ormai a un paio di mesi fa, quando la Marine ha spiazzato tutti annunciando il suo “appoggio incondizionato all’eroica resistenza ucraina”; un cambio di atteggiamento che però da solo, ovviamente, non poteva bastare. Bisognava che Marine ricalcasse la traiettoria già intrapresa dalla prima della classe del trasformismo della destra fintosovranista europea, la nostra Giorgia Nazionale, e che tagliasse in modo eclatante i ponti con quelle forze che ai dictat di Washington continuano ostentatamente a non volersi sottomettere, a partire, appunto, dall’AfD.
L’AfD, infatti, rappresenta per Washington uno dei principali spauracchi politici del vecchio continente e, da un certo punto di vista, è anche un bene, perché se è vero che ai tempi del declino dell’impero il fintoliberalismo globalista è il nemico principale, i danni che può fare una forza politica che non ha fatto nemmeno i conti col nazifascismo in una Germania in crisi e sotto attacco economico come tra le due guerre mondiali sono sinceramente incalcolabili. Ma, ovviamente, non è questa cautela a muovere i leader del mondo libero; d’altronde, il nazifascismo – in soldoni – altro non è che l’espressione più feroce delle logiche comuni a tutte le forze imperialiste e, al netto dei deliri ideologici, deve il suo sovrappiù di ferocia, in buona misura, al fatto di essersi fatto strada quando le altre potenze si erano già spartite il pianeta. Alla Germania e ai suoi alleati allora non rimaneva che trasformare in loro colonie il mondo slavo che però, rispetto a un qualsiasi paese africano o dell’estremo Oriente, aveva due svantaggi: il primo era che ci assomigliano un po’ di più; e quindi per noi che, volenti o nolenti, siamo ancora comunque profondamente razzisti, vedere le stesse identiche violenze che gli altri hanno perpetrato contro popoli non bianchi, di default ci fa più impressione. Il secondo è che erano armati (altrimenti li avevano già colonizzati) e quindi il tentativo di conquista coloniale, da un semplice massacro di popoli considerati inferiori, si è trasformato in una guerra di dimensioni spaventose. E, tra l’altro, oggi il sacrificio di quelle popolazioni noi manco lo riconosciamo: facciamo finta che a combattere e vincere la guerra siano stati gli USA e celebriamo solo le vittime che ci tornano più comode – che tra l’altro, a ben vedere, a livello ideologico (che conta il giusto, ma qualcosa pur sempre conta) è anche il motivo per cui ai postfascisti de noantri (a partire dalle bimbe di Benito come La Russa & company) la svolta filoatlantista, che d’altronde ha radici piuttosto lontane, non è che sia costata poi tanto. Dalla parte dell’imperialismo più feroce erano allora e dalla parte dell’imperialismo più feroce stanno oggi; tutto sommato, da questo punto di vista, so’ pure coerenti (anche quando, magicamente, superano in filosionismo i colleghi della sinistra ZTL).
Il superomismo amorale ti fa anche cambiare idea su chi è da considerare umano e chi, invece, appartiene agli untermensch. Il problema di fondo con l’AfD – come, a suo tempo, fu anche con la Lega che, per essere ammessa nella compagine di governo, ha visto il compagno Adolfo Urso recarsi di persona a Washington per fornire personalmente la garanzia che, al momento del bisogno, si sarebbero comunque sempre schierati dalla parte dell’imperialismo – è che rappresenta un blocco sociale che, strutturalmente, dalla guerra delle oligarchie contro la Russia e contro l’economia europea ha tutto da perdere e che è ben disposta a scendere a patti con i protagonisti del nuovo ordine multipolare pur di continuare a difendere l’economia reale tedesca; fatti fuori loro, gli altri partiti dell’ultradestra europea si sono guadagnati la benedizione di Washington che, in un’ipotetica nuova maggioranza politica fondata sull’alleanza tra l’ultradestra e la destra conservatrice dei popolari, vede alcuni vantaggi importanti. In primis, il fatto che, mano a mano che il declino dell’impero continuerà a far sentire i suoi effetti, anche le garanzie prettamente formali delle democrazie liberali cominceranno ad essere percepite come troppo vincolanti per il ricorso alla forza bruta contro i sempre crescenti malumori delle masse popolari; insomma: ci sarà da menare forte e la destra destra potrebbe risultare meglio attrezzata.
Il punto è come pensiamo di organizzarci noi per reagire, senza cadere di nuovo nella trappola della sinistra delle ZTL che utilizza questi timori (che, più che legittimi, a questo punto sono doverosi) per portare avanti la stessa identica agenda fondata su guerra e rapina, solo magari con qualche nozione di galateo in più. Quello che, di sicuro, ci serve come il pane è un vero e proprio media che sia in grado di contrastare la propaganda che ci rifilano per giustificare questa discesa verso gli inferi. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Francesco Lollobrigida

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

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Appuntamento della rassegna stramba del mercoledì con non uno, ma ben due Giuliano! Appuntamento alle 08.30 per raccontarvi le notizie del giorno.

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