IRAN VS PAKISTAN: la guerra si allarga all’Asia e diventa ATOMICA?
Avevate paura che il conflitto si allargasse a tutto il Medio Oriente? Che inguaribili e pucciosissimi ottimisti! In Medio Oriente, in realtà, il conflitto era regionale da ben prima del genocidio di Gaza; ora, semmai, quello che c’è da temere è che vada ben oltre.
La prima drammatica avvisaglia c’era stata il 3 gennaio scorso, quando nella città Iraniana di Kerman il più grande attentato terroristico della storia della repubblica islamica aveva causato oltre 80 vittime e poco meno di 200 feriti, un attacco che veniva da est e che allargava l’area del conflitto dal solo Medio Oriente anche al resto dell’Asia – perché in questa fase nun ce volemo fa’ manca’ proprio niente – e che, a quanto pare, era solo l’antipasto. Martedì scorso, infatti, l’Iran ha annunciato di aver portato a termine un attacco in territorio pakistano contro una roccaforte del gruppo salafita di Jaish ul-Adl – l’Esercito della Giustizia: il Pakistan ha reagito richiamando il suo ambasciatore a Teheran e invitando quello Iraniano di istanza a Islamabad, che si trovava temporaneamente anche lui a Teheran per lavoro, a restarsene a casina sua; e ha annunciato ritorsioni che, puntualmente, sono arrivate all’alba di ieri: “Il Pakistan ha attaccato un villaggio di frontiera Iraniano con dei missili” ha annunciato la tv di stato di Teheran, aggiungendo che “3 donne e 4 bambini sono stati uccisi, tutti di nazionalità non Iraniana”. Ora, il Pakistan non è un paese qualsiasi: è una potenza nucleare che due anni fa è stata travolta da un golpe parlamentare per cacciare il politico più popolare della sua storia – accusato di essere troppo vicino a Cina e Russia – e che ora è nel bel mezzo di una vera e propria catastrofe economica. Cosa mai potrebbe andare storto?
Ogni luogo è noto per una specialità: a Tropea ci sono le cipolle, nelle valli del Chianti il vino, in Trentino le mele; ecco, nella regione del Belucistan ci sono le organizzazioni terroristiche; non che sia un attitudine innata, eh? Infatti non è solo la parte più povera del Pakistan, ma sconfina anche nelle parti più povere rispettivamente di Afghanistan e Iran: una combo di tutto rispetto che, da sempre, attira le intelligence dell’impero più del miele; terra di un grande movimento di massa di matrice etnonazionalista che, in linea di principio, ha più di qualche ragione, il Belucistan negli anni è diventato un vero parco giochi per CIA, Mossad e il britannico MI5. Iran, Pakistan e pure Afghanistan, sulla carta dichiarano di collaborare per tenere a bada la miriade di gruppuscoli presenti nell’area, ma la carta spesso è buona solo per pulircisi il culo: se in Iran e nel nuovo Afghanistan a guida talebana lo Stato in questa battaglia risulta piuttosto compatto, in Pakistan infatti la situazione è leggermente più complicata. Dire che la classe dirigente pakistana – infatti – è divisa è un eufemismo: 2 anni fa c’è stato il colpo di stato parlamentare contro Imran Khan e, da allora, è in corso una specie di piccola guerra civile a bassa intensità strisciante; una “guerra civile di altro tipo” la definisce Sushant Sareen, senior fellow della Indiana Observer Research Foundation. “La crisi politica in corso in Pakistan” scrive “è, senza dubbio, la sfida più seria allo Stato dalla sua nascita, anche più di quella che portò alla nascita del Bangladesh nel 1971. Allora, infatti, c’era l’establishment pakistano da un lato e una provincia e un gruppo etnico sfruttato perseguitato e discriminato dall’altro, ma l’establishment era compatto. Oggi l’establishment è in guerra con se stesso”: in particolare, sostiene Sareen, la vicenda di Imran Khan avrebbe diviso il paese, con l’uomo della strada sostenuto dalla magistratura e, in particolare, dalla corte suprema da un lato e l’esercito dall’altro; “I pilastri dello Stato” scrive Sareen “sono schierati uno contro l’altro”. Ma anche all’interno dell’esercito stesso le divisioni, ormai, sono al massimo storico: “Tradizionalmente” scrive Sareen “l’élite punjabi ha sempre sostenuto incondizionatamente i vertici dell’esercito, ma adesso una parte consistente è schierata saldamente dalla parte di Imran Khan. Tra loro, militari, ex militari e le loro famiglie, oltre ad avvocati, giornalisti, cantanti, sportivi, attori e influencer di ogni genere”; “L’intero esercito di troll che l’esercito pakistano aveva formato per condurre la sua guerra d’informazione contro l’India” continua Sareen “ora ha puntato tutte le sue armi contro l’attuale leadership militare”, che uno a questo punto si chiede: embe’? Che ce frega a noi della guerra civile in Pakistan? E che c’azzecca con l’Iran?
In realtà c’azzecca eccome perché il rischio è che nessuno, in realtà, abbia la situazione sotto controllo, e non avere la situazione sotto controllo in un paese pieno zeppo di sigle terroristiche di ogni natura – e con la bomba nucleare – non è esattamente il top; diciamo che è un po’ come sperava di ridurre la Russia il mondo libero e democratico: “Oltre alla popolazione irrequieta” spiega infatti ancora Sareen, “c’è da aspettarsi anche una nuova ondata di terrore che l’esercito non avrà gli strumenti per tenere sotto controllo”. Sareen fa l’esempio di Therik-e-Taliban Pakistan, noti anche semplicemente come i talebani pakistani ma che, al contrario dei talebani doc, avrebbero più di un debole per gli islamonazisti di Daesh: “La maggior parte di questi jihadisti” spiega Sareen “un tempo erano fanti dell’establishment pakistano. Ma come i troll punjabi, anche questi santi guerrieri ora hanno deciso di puntare le armi contro l’establishment”; difficile pensare che, in decenni di collaborazione, questi gruppi terroristici, anche nel caso siano davvero entrati in collisione con il grosso dei vertici militari, non abbiano le loro quinte colonne e i loro fiancheggiatori nel palazzo. A partire dall’ISI, i famigerati servizi di intelligence pakistani, “un’agenzia di spionaggio ben nota, ma molto poco conosciuta” come l’ha definita l’ex alto ufficiale di polizia pakistano e ora docente ad Harvard Hassan Abbas nel suo “La deriva del Pakistan verso l’estremismo”: “In Pakistan” ricorda Abbas “l’ISI non si limita a occuparsi di controspionaggio e di protezione degli interessi strategici del paese, ma svolge un ruolo di primo piano anche a livello interno: crea instabilità, sfida i partiti politici, si infiltra ovunque, crea partiti politici per sostenere il regime militare e per manipolare le elezioni”. E l’ascesa dell’ISI è tutta opera degli USA: erano gli anni ‘80, il Pakistan era al posto giusto nel momento giusto per aiutare gli USA a sostenere i mujahiddin afghani contro l’Unione Sovietica e l’ISI era lo strumento più adatto; da allora l’ISI è sempre stata combattuta tra due tendenze: la vicinanza all’Islam più radicale e quella ai suoi sponsor occidentali (che non sempre sono due cose così poi diverse).
E così torniamo agli ultimi fatti di cronaca: al centro della vicenda, appunto, ci sarebbe il gruppo terroristico di Jaish ul-Adl, l’esercito della giustizia – ovviamente divina; è un gruppo salafita che si sostiene sia nato all’inizio dello scorso decennio e che fa parte della vasta galassia di organizzazioni terroristiche che rivendicano la nascita di un etnostato del Belucistan. Sulla carta, quindi, non dovrebbero essere visti di buon occhio da Islamabad, eppure… Secondo The Indian Express, ad esempio, il Pakistan “avrebbe consentito a questi gruppi terroristici separatisti di operare per volere dell’ex rivale dell’Iran, l’Arabia Saudita”: ora, ovviamente anche qui a parlare sono gli indiani che, per ovvie ragioni, sul Pakistan non sono esattamente sempre la fonte più affidabile e imparziale, ma il sospetto, diciamo – per usare un eufemismo – è piuttosto diffuso. Di nuovo, per essere chiari: nessuno qui sostiene che i vertici militari e dell’intelligence pakistana addestrino, fomentino e offrano protezione incondizionata a questi gruppi per fare contenti i sauditi e l’Occidente collettivo; il punto, ribadiamo, è che quei vertici ormai sono sempre più deboli e infiltrati, e che tra le varie quinte colonne ci sia anche chi spinge per chiudere un occhio è qualcosa di più che una semplice possibilità, e non solo in chiave anti – iraniana. I gruppi terroristici del Belucistan, infatti, sono da sempre l’ostacolo più grande alla realizzazione e messa in funzione delle varie infrastrutture finanziate dai cinesi nell’ambito del China Pakistan Economic Corridor, il singolo pacchetto in assoluto più imponente di tutta la Belt and road initiative, e che attraversa proprio tutto il Belucistan per sfociare al porto di Gwadar: un investimento gigantesco anche perché, oltre alle infrastrutture, prevede la costruzione di una gigantesca zona economica speciale a ridosso del porto destinata a diventare un hub industriale e logistico di portata globale; per la regione più povera del già poverissimo Pakistan un’opportunità incredibile che, però, i sedicenti etnonazionalisti boicottano da anni a suon di attentati. Lo so bene perché, per 4 anni, ho provato ad andarci di persona e non sono mai riuscito: l’ambasciata pakistana non mi ha mai rilasciato le autorizzazioni. Troppo pericoloso. Ovviamente, per chi vuole ostacolare l’integrazione del supercontinente eurasiatico questi gruppi sono un alleato naturale strepitoso: se non ci fossero, andrebbero inventati.
L’attacco iraniano e la risposta pakistana – quindi – sono un altro tassello della famosa guerra mondiale a pezzi che vede contrapposti Nord e Sud Globale? In un certo senso sicuramente sì, ma c’è anche il rischio di correre con le sovrainterpretazioni: lo scorso dicembre Jaish ul-Adl ha attaccato un posto di polizia nella piccola città Iraniana di Rusk; lo scontro a fuoco con gli agenti di polizia iraniani è durato ore e, alla fine, ne sono morti 12. Non è un caso isolato: nel 2019, infatti, avevano rivendicato un attentato suicida durante il quale erano stati uccisi 27 membri dei Pasdaran, e in molti sospettano abbiano giocato un ruolo nell’attentato di Kerman del 3 gennaio; come sottolinea un altro ricercatore sempre dell’Observer Research Foundation, leggere l’attacco iraniano alle loro postazioni come un altro tassello del “gioco strategico in corso in Medio Oriente, potrebbe essere un po’ forzato”. “La questione di gruppi come Jaish e le tensioni tra Iran e Pakistan sulla militanza dei baluchi” continua l’articolo “sono anteriori alla guerra in corso a Gaza o al deterioramento della situazione della sicurezza nel Mar Rosso. Nel corso degli anni l’Iran ha spesso ribadito che avrebbe preso di mira i nascondigli di Jaish all’interno del Pakistan, e lo scontro a fuoco tra le truppe al confine tra i due paesi è stato un evento regolare. Questo incidente” conclude l’articolo “è da considerarsi una questione unicamente bilaterale e di gestione delle frontiere tra i due paesi”.
Idem con patate la reazione pakistana: quasi “un atto dovuto” sottolinea la testata Pakistana Dawn; a essere presi di mira, infatti, anche in Iran sarebbero stati altri nascondigli di altri gruppi terroristi del Balucistan e il comunicato ufficiale del governo sottolinea che “Il Pakistan rispetta pienamente la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica islamica dell’Iran” e aggiunge che “l’unico obiettivo dell’atto di oggi era il perseguimento della sicurezza e dell’interesse nazionale del Pakistan, che è fondamentale e non può essere compromesso”. “L’Iran è un paese fraterno” continua il comunicato “e il popolo pakistano nutre grande rispetto e affetto per il popolo iraniano. Abbiamo sempre enfatizzato il dialogo e la cooperazione nell’affrontare le sfide comuni, inclusa la minaccia del terrorismo, e continueremo a sforzarci di trovare soluzioni comuni”. Insomma: ci avete fatto fare una figura di merda e soprattutto – in questa fase dove già c’abbiamo mezzo paese contro – non potevamo sconigliare, e in qualche modo dovevamo reagire. Ora però diamoci tutta una bella calmata.
Tutto tranquillo quindi? Non esattamente: ammesso e non concesso che la scaramuccia abbia esclusivamente a che fare con i rapporti bilaterali, la frontiera e la lotta al terrorismo, il problema comunque rimane; come in Medio Oriente, anche ad est dell’Iran 50 anni di destabilizzazione sistematica hanno creato mostri. Per sconfiggerli, come minimo, ci vorrebbero stati nazionali solidi e in salute capaci di garantire il pieno controllo del territorio e di difendersi dalle infiltrazioni, soprattutto se – e sottolineo se – c’è qualcuno che quei mostri continua a coccolarli e nutrirli come fossero animali da compagnia. Purtroppo il Pakistan, come molti stati nazionali del Medio Oriente, non è mai stato meno solido e in salute di adesso e qualcuno da fuori, in questo senso, ha dato il suo contributo (e non sono certo i cinesi, che vogliono costruire ponti, strade, centrali elettriche, porti e insediamenti industriali), con la piccola aggravante qui che appunto il Pakistan, per quanto messo male, l’atomica continua ad avercela – e all’Iran, pare, mancherebbe pochino.
Insomma, tutto tranquillo un par di palle: non mi pare tanto il caso di assistere impassibili. Come minimo ci serve un media che ci faccia incazzare tutti. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Massimo Gramellini