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Tag: intelligence

PUTIN vs CIA: la guerra delle spie

Il New york Times ha appena confutato uno dei tasselli fondamentali della propaganda occidentale sulla guerra in Ucraina; in una straordinaria inchiesta giornalistica condotta intervistando in condizioni di anonimato circa 200 funzionari americani, europei, e ucraini, i giornalisti Adam Entous e Michael Schwirtz hanno dimostrato, documenti alla mano, come la CIA e la NATO siano presenti in Ucraina fin dal 2014 e con il preciso scopo di spiare la Russia, destabilizzarla e condurre operazioni di intelligence sul suo territorio: La guerra delle spie: come la CIA aiuta segretamente l’Ucraina a combattere Putin è il titolo dell’inchiesta, e la conclusione a cui giungono i due giornalisti americani è che “Per oltre un decennio, gli Stati Uniti hanno coltivato una partnership segreta di intelligence con l’Ucraina”. Ma la guerra in Ucraina non era iniziata il 24 febbraio 2022 con la folle e ingiustificata decisione di Putin di invadere un paese sovrano? E non era evidente a tutti come la propaganda russa sulla presunta espansione della NATO ad est e sulle presunte provocazioni occidentali ai propri confini non fosse altro che il delirio di un perfido autocrate che si sentiva minacciato dalle nostre libertà e dai nostri valori democratici? Insomma: il New York Times ha fatto fare l’ennesimo bagno di realtà a tutti coloro che ancora, nel XXI secolo, si ostinano a credere a queste sceneggiature hollywoodiane da 4 soldi utili soltanto a non farci capire nulla di quello che succede e a prendere decisioni che vanno contro i nostri interessi nazionali.
Quello che emerge dall’inchiesta è che, dal 2014 in poi, la CIA e i servizi segreti britannici avevano allestito una fitta rete di basi segrete sotterranee in Ucraina al confine con la Russia – basi tutt’ora operative – e l’idea era quella di monitorare costantemente ciò che faceva il Cremlino tracciando le rotte dei satelliti, monitorando la logistica e, in generale, rubando ogni tipo di informazione che erano capaci di rubare. Non solo: lì la CIA addestrava spie che dovevano infiltrarsi in Russia e, in generale, in tutti cosiddetti Stati canaglia; il nome dell’operazione era Goldfish e tra coloro che sono stati addestrati c’è anche il generale Kyrylo Budanov, attuale capo dell’agenzia di intelligence militare ucraina. Insomma: avevano ragione i Draghi, i Letta e i Parenzo di turno; non si capisce proprio perché quel paranoico di Putin temesse così tanto un’imminente entrata dell’Ucraina nella NATO. La NATO e la CIA, infatti, sono già ben presenti in Ucraina dal 2014, ma la cosa forse più incredibile – e che confuta, una volta per tutte, anche la spudorata propaganda americana sul colpo di Stato del 2014, presentato al pubblico occidentale come l’ennesima rivoluzione arancione mossa dall’amore del popolo ucraino per l’Occidente e la libertà – è che, secondo l’inchiesta, la partnership tra la CIA e servizi segreti ucraini sarebbe iniziata proprio nella notte del 24 febbraio 2014, ossia due giorni dopo il golpe che cacciò il presidente filo – russo in carica Viktor Janukovyč.

Viktor Janukovyč

Insomma: negare il coinvolgimento diretto dei servizi segreti americani in quel colpo di Stato anti – democratico è diventato impossibile. “L’inchiesta del New York Times” scrive Michele Manfrin su L’Indipendente “non fa quindi che confermare le preoccupazioni più volte espresse nel corso degli anni da Putin e dalla Russia circa le azioni e le intenzioni occidentali, specie statunitensi, nei riguardi dell’Ucraina, Paese confinante con la Russia e con cui ha legami storici profondi, da sempre dichiarato la linea rossa da non oltrepassare da parte della NATO”, una linea rossa che gli americani hanno accuratamente, anno dopo anno, voluto oltrepassare; e tutto ciò per dar vita ad una guerra che, nonostante non possa portare a nulla di buono per il popolo ucraino, il governo Biden ha voluto prolungare il più possibile, in quanto – come confermano le parole del capo della CIA William J. Burns – per gli interessi americani questa guerra rappresenta “un investimento relativamente modesto con significativi ritorni geopolitici per gli Stati Uniti e notevoli ritorni per l’industria americana”. In questa puntata ripercorreremo, grazie al New York Times, le tappe principali dell’insediamento della CIA in Ucraina e delle principali operazioni di intelligence condotte; parleremo anche delle contromosse di Putin e di come il conflitto in Ucraina rappresenti ancora un pezzo fondamentale degli interessi nazionali americani. Lo stesso, naturalmente, non può dirsi per gli interessi nazionali europei, ma si sa: per usare le parole dell’americana Viktoria Nuland, Assistente Segretario di Stato e regista degli eventi di Euromaidan, “FUCK THE EUROPE”.
Dopo le dichiarazioni di Macron, in queste ore non si fa altro che parlare del possibile invio di truppe NATO in Ucraina e della possibile decisione di Putin di reagire utilizzando armi atomiche: per quanto riguarda l’ipotetica guerra atomica, si tratta della solita isteria apocalittica di massa utile solo a farci spegnere il cervello, e per quanto riguarda le truppe NATO in Ucraina, invece, come ha confessato anche Scholz pochi giorni fa, la verità è che sono presenti sul campo già da un bel pezzo. E non si tratta solo delle migliaia tra tecnici, funzionari e addestratori NATO mandati dal 2022 per insegnare all’esercito ucraino ad utilizzare le armi che gli mandiamo; si tratta di qualcosa di molto più radicato nel tempo: “Immersa in una fitta foresta” si legge nell’inchiesta del New York Times “la base militare ucraina sembra abbandonata e distrutta. Ma questo è in superficie. Non lontano, un passaggio discreto scende in un bunker sotterraneo dove squadre di soldati ucraini tracciano i satelliti spia russi e origliano le conversazioni tra i comandanti russi. Su uno schermo, una linea rossa seguiva il percorso di un drone esplosivo che attraversava le difese aeree russe da un punto dell’Ucraina centrale a un obiettivo nella città russa di Rostov.” La base qui descritta è solo una di una dozzina di postazioni segrete – quasi completamente finanziate ed equipaggiate dalla CIA – costruite negli anni lungo il confine russo, e risalgono ad un programma di partnership tra servizi segreti americani ed ucraini del 2014 e portato avanti sotto l’amministrazione di tre diversi presidenti statunitensi, un programma che anche prima dello scoppio del conflitto aveva reso l’Ucraina il più importante partner di Washington nelle operazioni di spionaggio contro Vladimir Putin. E così, mentre entriamo nel terzo anno di una guerra che ha fatto centinaia di migliaia di vittime e che si rivela, ogni giorno che passa, più inutile e disperata per l’esercito ucraino, la cooperazione di intelligence tra Washington e Kiev è diventata invece un pilastro della rete spionistica degli Stati Uniti e della loro guerra a tutto campo a Putin e rappresenta, pertanto, sia una delle ragioni per cui la guerra è scoppiata, sia del perché gli americani non vogliono in alcun modo farla finire.
I rapporti tra le due forze di intelligence cominciano nel 2014 dopo la cacciata di Janukovyč, e nel 2016 la CIA ha iniziato anche ad addestrare un commando d’élite ucraino – noto come Unità 2245 – che ha catturato i droni e le apparecchiature di comunicazione russe in modo che i tecnici americani potessero fare il reverse engineering e decifrare i sistemi di crittografia di Mosca: inizialmente, racconta il New York Times, la CIA era più prudente nel compiere operazioni apertamente aggressive e temeva di provocare troppo il Cremlino; gli ucraini allora, spazientiti per quella che consideravano un’indebita cautela di Washington, hanno iniziato a organizzare omicidi e altre operazioni letali violando apertamente i termini pattuiti con la Casa Bianca. Infuriati, si legge nell’inchiesta, i funzionari americani in un primo momento minacciarono di interrompere la collaborazione, ma in seguito, non vedendo alcuna reazione violenta da parte di Putin – che, invece, ancora sperava di poter costruire buoni rapporti con l’Occidente – aiutarono gli ucraini a calcare sempre di più la mano: “I rapporti si sono rafforzati sempre di più perché entrambe le parti ne hanno visto il valore, e l’ambasciata statunitense a Kiev è diventata la migliore fonte di informazioni, segnali e tutto il resto, sulla Russia” avrebbe dichiarato un ex alto funzionario americano al Times; “Non potevamo più farne a meno.” Venuto a conoscenza di quanto stava accadendo, Putin ha più volte pubblicamente incolpato le agenzie di intelligence occidentali di aver manipolato Kiev, di avere trasformato l’Ucraina in uno Stato nemico funzionale alla sete di sangue e dominio americano e di aver seminato tra la popolazione ucraina sentimenti anti – russi. Per questo – si legge nell’inchiesta – secondo un alto funzionario europeo, già nel 2021 il presidente russo avrebbe pensato ad un’invasione su larga scala, in particolare dopo aver incontrato il capo di uno dei principali servizi di spionaggio russi che gli avrebbe rivelato che la CIA, insieme all’MI6 britannico, avevano di fatto trasformato l’Ucraina in una testa di ponte per le operazioni contro Mosca.
Oltre alle basi, il New York Times riporta anche come la CIA avrebbe supervisionato un programma di addestramento, svolto in due città europee, per insegnare agli agenti dei servizi segreti ucraini come assumere, in modo convincente, false sembianze e rubare segreti in Russia e in altri Paesi non allineati; gli ufficiali di questa operazione, chiamata Operazione Goldfish, sarebbero stati poi dislocati in diverse basi operative costruite lungo il confine russo. Questa operazione avrebbe avuto un tale successo che la CIA avrebbe poi voluto replicarla anche con altri servizi segreti europei: il capo della Russia House, il dipartimento della CIA che supervisiona le operazioni contro la Russia, avrebbe organizzato per questo un incontro segreto all’Aja, dove i rappresentanti della CIA, dell’MI6 britannico, dell’HUR, dei servizi olandesi e di altre agenzie avrebbero concordato nel dar vita a una coalizione di intelligence segreta contro Putin. Insomma: l’inchiesta del New York Times ha messo altro un altro tassello nella lunga storia della guerra per procura della NATO in Ucraina e dell’imperialismo americano in Europa: che un giorno Putin si sia alzato dal letto, abbia indossato i baffetti da Hitler e abbia deciso di dichiarare guerra all’Occidente per viscerale odio nei confronti delle democrazie, è una storiella a cui neanche i più assidui lettori di Repubblica credono più; il problema, però, è che – come diceva anche Alberto Fazolo nell’intervista che ci ha recentemente rilasciato – lo scopo degli Usa non è la riconquista dei territori ucraini, dei quali non è mai importato un bel nulla a nessuno e che non verranno comunque mai riconquistati. Lo scopo è destabilizzare la Russia il più a lungo possibile, trascinarla in un’interminabile guerra di logoramento fino all’ultimo ucraino e in una corsa agli armamenti da cui alla lunga, come nel caso della guerra fredda, potrebbe uscire sconfitta.

Il signor Burns

“L’unico modo per sconfiggere l’Unione Sovietica” diceva una volta Reagan “è farle costruire carri armati al posto di trattori”. E nella stessa suicida corsa agli armamenti gli USA vorrebbero costringere noi europei a scapito di qualsiasi logica che non sia puramente capitalista e guerrafondaia, e il tutto costruito su una retorica russofobica e apocalittica priva di qualsiasi appiglio sulla realtà. Non permettiamoglielo: abbiamo il dovere di ribellarci a chi vorrebbe di nuovo mandarci in guerra per aumentare i propri profitti e salvaguardare i propri interessi imperialistici, ma per farlo, abbiamo bisogno di un media veramente libero e indipendente che stia dalla nostra parte, dalla parte dell’Italia, dell’Europa e del 99 per cento. Aiutaci a costruirlo – e iscriviti al nostro canale in inglese – e aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è William J. Burns

SAMIR AL QARYOUTI: perchè lo sterminio di Gaza sarebbe avvenuto anche senza l’attacco di Hamas

Ottoliner buongiorno e bentornati all’appuntamento con le interviste di OttolinaTv.

Oggi torniamo a parlare dell’operazione diluvio di Al Aqsa e lo facciamo con una tesi piuttosto radicale: anche senza l’attacco di Hamas, lo sterminio dei bambini arabi di Gaza sarebbe avvenuto comunque.

in foto: Samir Al Qaryouti

A sostenerlo non è ammiocuggino, ma Samir Al Qaryouti, giornalista di vecchio corso, e uno degli esponenti più autorevoli della comunità palestinese in Italia. Secondo Al Qaryouti infatti, mentre la fantomatica intelligence israeliana era in tutt’altre faccende affaccendata e s’è lasciata cogliere clamorosamente impreparata, nonostante le svariate segnalazioni provenienti in particolare dal regime collaborazionista di Al Sisi, quella di Hamas e della resistenza palestinese avrebbe funzionato benissimo.
Secondo Al Qaryouti, infatti, Hamas stava lavorando da tempo alla preparazione di un’operazione eclatante che sarebbe dovuta avvenire nell’arco di uno, due anni. Nel frattempo però, come confermerebbero alcuni documenti riservati israeliani dei quali la resistenza sarebbe entrata in possesso proprio durante il diluvio di Aqsa, sostiene sempre Al Qaryouti, anche il Governo Netanyahu stava preparando un’operazione in grande stile su Gaza, a prescindere dai fatti del 7 ottobre. approfittando magari di un casus belli qualsiasi. tanto il mainstream internazionale un modo per sostenere i crimini di israele alla fine lo trova sempre. Hamas però avrebbe scoperto questo disegno, e avrebbe deciso di anticipare l’azione, cogliendo così di sorpresa l’intelligence e l’esercito israeliano che erano si stati informati sui preparativi di Hamas, ma appunto si aspettavano che l’attacco sarebbe arrivato mesi e mesi dopo.

Ovviamente noi non abbiamo minimamente gli strumenti per confermare questa tesi e tutto sommato, le dietrologie ci appassiona fino a un certo punto. Il punto però è che i sostenitori del genocidio sin dall’inizio hanno cercato di imporre la narrazione gisutificazionista secondo la quale lo sterminio dei bambini arabi a Gaza non sarebbe altro che un inevitabile, per quanto drammatico, effetto collaterale dell’esercizio del sacrosanto diritto alla difesa e invece, come la giri la giri, altro non è che il tentativo disperato dell’ultima vera esperienza coloniale di rimandare il suo inesorabile appuntamento con la storia, sulla pelle di bambini e civili.