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BEN NORTON: ecco perché dobbiamo NAZIONALIZZARE le PIATTAFORME digitali

Fermi tutti! Fermi tutti che qui c’abbiamo un altro bel carico da 11: dopo l’intervista a Michael Hudson, rilanciamo con un altro mostro sacro della guerra culturale contro l’imperialismo neoliberista; per la prima volta in assoluto dell’internetsfera italoparlante – almeno che io sappia – Ottolina Tv è orgogliosa di presentarvi un piccolo estratto della lunga intervista che abbiamo registrato ieri con il mitico Ben Norton, il caporedattore di Geopolitical Economy Review, in assoluto tra i nostri canali Youtube preferiti e continua fonte di ispirazione.

Ben Norton

Con Ben abbiamo provato ad approfondire alcuni degli spunti principali che erano già emersi nell’intervista a Michael Hudson: in una parola, il superimperialismo delle oligarchie finanziarie USA e il suo lungo, tortuoso, contraddittorio, ma inesorabile declino. Come ci ripete da anni Emiliano Brancaccio – alla faccia delle leggende metropolitane sull’azionariato diffuso e vaccate simili – l’80% dei titoli azionari del pianeta sono detenuti dal 2% degli investitori – della serie quando parliamo del 99 contro l’1%, pecchiamo di ottimismo. E questo è il primo tassellino; ma l’edificio dell’imperialismo oligarchico di tassellini ce n’ha anche altri: un altro, fondamentale, è che questi titoli azionari, fondamentalmente, stanno tutti negli USA. La capitalizzazione complessiva di Piazza Affari, la borsa italiana, pesa per meno del 30% del PIL italiano; Francoforte per meno del 50% del PIL tedesco; Wall Street, invece, quasi il doppio del PIL USA: oltre 50 mila miliardi, quanto le borse di tutto il resto del pianeta messe assieme. Ma non è ancora finita, perché uno potrebbe anche dire eh, vabbeh, è regolato meglio, è più efficiente, si quotano tutti lì che, per carità, è anche vero, senonché questa retorica meritocratica da bambacioni analfoliberali fa a cazzotti con un altro dato abbastanza impressionante: a Wall Street, infatti, in tutto sono quotate 2800 aziende – meno di 6 volte quelle quotate a Francoforte o a Piazza Affari – mentre il rapporto tra la capitalizzazione complessiva di Piazza Affari e quella di Wall Street è 1 a 100; significa che, in media, un’azienda quotata a Wall Street ha 30 volte i capitali di una quotata a Piazza Affari. Ma c’è un altro dato impressionante, perché i primi 7 titoli per capitalizzazione a Wall Street, da soli, pesano poco meno di un terzo di tutto il mercato; i primi 7 titoli in Italia pesano per meno – assai meno – di un decimo del totale e per arrivare a un terzo della capitalizzazione totale devi mettere assieme oltre 50 aziende quotate, il 10% del totale. Non so se è chiaro questo dato: per arrivare a un terzo della capitalizzazione della borsa italiana, devi sommare la capitalizzazione di 50 aziende su 430 totali; negli USA basta sommarne 7 su 2800 totali. Queste 7 aziende da sole capitalizzano, appunto, qualcosa come 15 mila miliardi: 30 volte tutta Piazza Affari, ma anche 7 volte tutta Francoforte e 5 volte tutta Parigi, alla faccia della democrazia e della classe media.
L’intero capitalismo globale, in soldoni, ruota attorno alle azioni di 7 aziende; ma cosa faranno mai di così prezioso queste 7 aziende? Hanno il monopolio dell’era digitale e del capitalismo delle piattaforme: Alphabet, Meta, Amazon, Microsoft: come dice Norton, forniscono servizi pubblici essenziali, come l’elettricità e l’acqua. Quando il capitalismo industriale puntava alla crescita della produttività, questi monopoli naturali venivano nazionalizzati; la logica ce l’ha spiegata perfettamente Michael Hudson: l’obiettivo era abbassare i costi della produzione e mettere l’intera economia in condizione di funzionare nel modo più efficiente possibile riducendo al minimo i costi, e quindi impedendo alle oligarchie di fregarsi una rendita garantita sulla pelle di tutto il resto della società. Al netto di tutte le contraddizioni, potremmo dire bei tempi; ora, invece, l’intero capitalismo globale si fonda – appunto – sulla speculazione che viene fatta sui pezzi di carta abbinati a questa estrazione di una rendita gigantesca. Varoufakis lo chiama tecnofeudalesimo ed è quel sistema che, dice Varoufakis, ha ucciso il capitalismo e che, rispetto al feudalesimo original, c’ha pure un’aggravante in più perché, almeno all’epoca, ognuno faceva il feudatario a casa sua. C’era già un po’ più di pluralismo, diciamo; adesso i feudatari impongono la loro dittatura sull’intero pianeta. Non era mai successo prima: anche quando si era affermato il capitalismo – prima che arrivasse la democrazia moderna e i monopoli naturali venissero nazionalizzati – i monopoli capitalistici privati si appropriavano con la violenza di una rendita, ma solo a casa loro. Ognuno a casina sua. Ora ci sono i monopolisti privati che si appropriano di un monopolio naturale su tutto il pianeta, o almeno in quella parte di pianeta che ha deciso di rinunciare alla sua sovranità: ed è proprio qui che inizia il bello.

V’è venuta la voglia di sentirla tutta, eh? Apposta facciamo così: abbiamo imparato dai padroni del tecnofeudalesimo coi quali siamo in combutta; per vedere l’intervista integrale, infatti, non dovete fare altro che visitate il nostro canale Youtube in inglese. Ne vale la pena. Ben Norton ci ha aiutato, infatti, a tradurre questa analisi in qualcosa di estremamente concreto: ci ha raccontato di come in Cina quest’appropriazione privata dei monopoli naturali viene contrastata ogni giorno dal Partito Comunista al governo e di come questo renda l’intero sistema enormemente più efficiente. Liberata dalle rendite degli oligarchi, la Cina – infatti – è diventata l’unica vera superpotenza manifatturiera del pianeta, in grado di generare più ricchezza di sostanzialmente tutto il resto del mondo messo assieme, e ci ha anche raccontato di come, ispirandosi ai successi cinesi, sia piuttosto chiaro quello che anche noi in Occidente potremmo e dovremmo fare per rompere questo girone infernale: nazionalizzare le piattaforme e mettere fine al tecnofeudalesimo, una parola d’ordine concreta che, per essere portata avanti in modo efficace, ha bisogno di una battaglia culturale a tutto tondo. Per portarla avanti, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che non abbocchi alle vaccate della propaganda delle oligarchie e che metta al centro gli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Jeff Bezos

CONTADINI contro OLIGARCHIE – Se “col TRATTORE in Tangenziale, andiamo a…” occupare BLACKROCK

La rivolta sacrosanta dei trattori ha preso di mira numerosi obiettivi: ha preso di mira i governi nazionali che vogliono scaricare almeno una parte della crisi economica che hanno contribuito a causare con le loro stesse mani su pezzi di mondo produttivo già stremato; ha preso di mira le istituzioni europee che vogliono scaricare i costi della transizione ecologica sulle ultime ruote del carro mentre si prodigano per garantire che la stessa transizione, per le oligarchie, sia solo un’altra succulenta occasione di sommare nuove fonti di rendita a quelle vecchie e, almeno nel caso italiano, ha preso di mira pure le associazioni di categoria che, in questo gioco dello scaricabarile dall’alto verso il basso invece di difendere la parte più debole, si occupano spesso di proteggere esclusivamente i soggetti più forti. Al netto delle contraddizioni, sono tutti obiettivi non solo legittimi, ma doverosi e che, però, rischiano di spostare i riflettori da quello che probabilmente dovrebbe essere il principale degli obiettivi: similmente a qualsiasi altro settore produttivo che, al netto delle contraddizioni, crea comunque una qualche forma di valore e di ricchezza tangibile, anche per i produttori agricoli – infatti – il nemico pubblico numero 1 non sono altro che le solite oligarchie finanziarie che, invece, di valore non ne creano nessuno e si appropriano senza limiti di tutta la ricchezza prodotta da tutti gli altri. Al netto delle gerarchie interne ai produttori – che non vanno mai dimenticate perché, per quanto sotto attacco del grande capitale, un imprenditore agricolo che ha anche solo una decina di dipendenti non è certo la stessa cosa del bracciante agricolo stagionale che lavora per lui in condizioni di semischiavitù – tutte le componenti del mondo produttivo, infatti, hanno nei grandi monopoli finanziari un nemico comune; i grandi monopoli finanziari, infatti, estraggono sotto forma di rendita il grosso della ricchezza prodotta a tutti i livelli: a monte perché sono i principali azionisti del monopolio degli input produttivi fondamentali – dalle sementi ai prodotti chimici – e, a valle, attraverso la dittatura della grande distribuzione organizzata.
Ma non solo: i grandi monopoli finanziari, infatti, estraggono ricchezza attraverso il controllo dell’input produttivo più importante di tutti e, cioè, il credito e, da un po’ di tempo a questa parte, anche da tutti quegli strumenti derivati che erano nati per permettere ai produttori di assicurarsi dalle conseguenze di un cattivo raccolto e che, invece, oggi sono diventati pure loro sempre di più strumento della speculazione più spregiudicata; metti insieme tutti questi passaggi ed ecco che al mondo produttivo vero e proprio non rimangono che le briciole e, appunto, non è altro che l’ennesimo esempio del furto sistematico di ricchezza operato dalle oligarchie dei rentier nei confronti dell’economia reale. E, come in tutti gli altri casi, le istituzioni che operano sempre più da semplice comitato d’affari in difesa degli interessi più inconfessabili delle oligarchie non fanno che assecondare, se non addirittura accelerare, questo vero e proprio furto e pretendono pure di ammantarlo di buoni propositi, tra una tinteggiata di verde qua e là. Ora, ovviamente anche la ripartizione delle poche briciole che rimangono ai produttori è tutt’altro che egualitaria e anche tra le loro fila si combatte quotidianamente una guerra feroce che però, appunto, ha tutte le caratteristiche di una guerra tra poveri, anche se non tutti poveri allo stesso modo; mette quindi enormemente tristezza vedere come una parte consistente di sinistra non trovi di meglio che guardare il dito dello scontro interno ai produttori, indugiando autocompiaciuta nella produzione in serie delle solite etichette di buzzurri complottisti negazionisti fascistoidi, e trascuri completamente la luna del furto sistematico operato dalle oligarchie col supporto della politica e dei governi.

Alessandro Volpi

A costo di risultare pedanti, quindi, con il buon vecchio Alessandro Volpi abbiamo deciso di provare a uscire da questa asfissiante guerra tra opposte strumentalizzazioni e abbiamo provato a rimettere in fila i punti fondamentali di questo processo di spoliazione generalizzata da parte delle oligarchie finanziarie e, per farlo, siamo partiti da qualcosa di apparentemente distante dal mondo agricolo. Perché l’apparenza, molto spesso, inganna. Non so se è chiara la morale della favola: tutto, e dico letteralmente tutto, è minuziosamente programmato per estrarre denaro dall’economia reale e utilizzarlo per sostenere la bolla speculativa dei titoli azionari. E’ quello, sostanzialmente, l’unico vero grande prodotto del capitalismo avanzato dell’Occidente collettivo; millenni di duro lavoro e di evoluzione tecnologica e scientifica per incentrare l’intera economia sul valore immaginario di qualche pezzo di carta, ed è proprio da questo punto di vista che si riesce a capire il ruolo fondamentale dei supermegafondi: avere abbastanza liquidità per sostenere all’infinito l’aumento virtuale di valore di questi pezzi di carta, sottraendo risorse all’economia reale. Per farlo, ai megafondi vengono affidati tutti i nostri risparmi; il risparmio gestito in Europa, che è ancora un mercato minuscolo rispetto a quello USA, ha superato la soglia psicologica dei mille miliardi di euro, in gran parte gestiti da fondi USA: BlackRock, Vanguard, seguiti da JP Morgan e Fidelity che, però, hanno tra i maggiori azionisti di nuovo BlackRock e Vanguard. Se la cantano e se la suonano.
Ma cosa c’entra questa digressione con la questione agricola? Purtroppo c’entra, eccome, perché nella top 6 dei fondi, accanto al monopolio USA, c’è anche un operatore europeo: si chiama Amundi e indovinate un po’? E’ di proprietà di Credit Agricole, e sapete per cosa era nata Credit Agricole? Per dare ai contadini il credito necessario per portare avanti la loro attività produttiva: insomma, doveva rastrellare un po’ di risparmi improduttivi per dare ossigeno alla produzione e permettere agli agricoltori di fare investimenti e svilupparsi; in soldoni, esattamente il contrario di quello che accade oggi. Sono queste le grandi innovazioni che, ancora oggi, ci fanno essere orgogliosi di vivere nel nostro giardino ordinato e ci convincono a tenere lontana con ogni mezzo necessario la giungla selvaggia che ci circonda: trasformare un’assicurazione per gli agricoltori in oggetto di speculazione cosicché gli oligarchi ci guadagnano i miliardi e i contadini che si devono assicurare non se lo possono più permettere, ma se poi si incazzano…. “reazionari”, “fascisti”. Anche guardandola dal punto di vista dei nostri campi e dei nostri orti, quello che abbiamo di fronte – come dice Hudson – è davvero uno scontro di civiltà, altro che la fuffa islamofoba di Huntington: da una parte procedere verso il ritorno al feudalesimo e alla dittatura degli oligarchi, dall’altra asfaltare coi trattori le oligarchie parassitarie e tornare alla traiettoria avviata con le rivoluzioni borghesi e poi bruscamente abbandonata dagli ex rivoluzionari stessi non appena hanno capito che, per continuare su quella strada, a rinunciare a qualche privilegio sarebbe toccato pure a loro. Contro ogni forma di privilegio, per un’informazione a immagine e somiglianza degli interessi concreti del 99%, abbiamo bisogno di un vero e proprio nuovo media, indipendente, ma di parte, rigoroso, ma nazionalpopolare. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal

E chi non aderisce è Johnny il contrario del giornalismo Riotta

“Sono Ottimista. L’Europa collasserà” – lo scoppiettante esordio di MICHAEL HUDSON su Ottolina Tv [INTEGRALE]

Cerca qualcuno che ti guardi come Il Marru guardava Michael Hudson durante l’ora e mezza abbondante di intervista. “Sei ottimista sul ruolo che potrebbero ricoprire l’Europa e l’Italia in questa costruzione di un nuovo ordine multipolare nel quale tutti speriamo?” gli abbiamo chiesto: “Certo,” ha risposto “sono molto ottimista…” “… perché l’Europa collasserà e dopo dovrà scegliere: Socialismo o Barbarie. E io sono ottimista che sceglierà il Socialismo e dimostrerà che quando Margaret Thatcher affermava che non esiste nessuna alternativa si sbagliava. L’alternativa esiste e si chiama SOCIALISMO”. La prima volta del più grande economista vivente doppiato in italiano per costruire non solo un MEDIA, ma una vera e propria RIVOLUZIONE CULTURALE dalla parte del 99%. Per farlo abbiamo bisogno del tuo sostegno: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è MARGARET THATCHER ?‍♀️

“Sono Ottimista. L’Europa collasserà” – lo scoppiettante esordio di MICHAEL HUDSON su OttolinaTV

Ottoliner ben ritrovati; oggi per ogni ottoliner che si rispetti, è un gran giorno. Finalmente, a circa due anni dalla nascita del nostro progetto, abbiamo con noi l’economista che probabilmente più di ogni altro ci ha guidato e ispirato: il leggendario Michael Hudson, l’autore di Superimperialism, il libro che per primo ha svelato a tutto il mondo la nascita dell’imperialismo finanziario USA e della dittatura globale del dollaro. Ieri abbiamo rapito Michael per oltre due ore; il risultato verrà pubblicato a breve in versione integrale. Oggi, però, ci premeva darvi subito un piccolo ma succulento anticipo e non potevamo che concentrarci su quello che, probabilmente, è l’aspetto più attuale e urgente dell’analisi di Hudson; di fronte al conflitto epocale tra Occidente collettivo e Sud globale, infatti, anche a questo giro sembra regnare sovrana la confusione e c’è chi sproloquia di fantomatici conflitti inter – imperialistici, come se tra il capitalismo finanziarizzato delle oligarchie USA e lo stato sviluppista cinese non ci fosse poi chissà che differenza. Lo scontro in atto, in sostanza, sarebbe uno scontro tra soggetti tutto sommato equivalenti, dettato esclusivamente dalla stessa volontà di potenza e quindi, in soldoni, non ci riguarderebbe; anzi, alla fine – padrone per padrone – meglio la democrazia statunitense, con la sua libertà di espressione e di organizzazione politica e sindacale, del turbocapitalismo cinese. Hudson da anni conduce una battaglia intellettuale senza esclusione di colpi per cercare di spiegare perché questa impostazione sia sostanzialmente una gigantesca puttanata e oggi, per la prima volta, il perché lo potete sentire direttamente da lui in italiano, grazie al doppiaggio del nostro mitico Diego Cossentino. Il capitalismo industriale dell’economia politica classica non è il paradiso: non ci assomiglia neanche lontanamente; il paradiso non esiste.
La storia, il progresso e la democrazia moderna però sì, esistono eccome e per riprendercele dobbiamo ultimare il lavoro che le rivoluzioni borghesi avevano iniziato ormai qualche secolo fa e sbarazzarci definitivamente dei parassiti. Per farlo ci serve un vero e proprio media, uno di quelli che, ad esempio, è in grado di portare per la prima volta sul web italiano un gigante come Michael Hudson, per uscire dal pantano del pensiero dominante e del declino e ridare voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Margaret Thatcher