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Tag: emirati arabi

Boom economico e tecnologie all’avanguardia: il clamoroso autogol delle sanzioni alla Russia

Nella migliore delle ipotesi – o nella peggiore (dipende dai punti di vista) – l’economia russa nel 2024 crescerà 3 volte più rapidamente di quella dell’eurozona – +1,5, contro +0,5% – e il gap continuerà anche per tutto l’anno successivo, il 2025, durante il quale l’eurozona dovrebbe crescere dell’1,2%, e la Russia del 2, poco meno del doppio. Ad affermarlo non è qualche propagandista filo – putiniano estratto a sorte dalle liste di proscrizione del Corriere della serva, ma qualcuno che non è certo imputabile di remare contro le magnifiche sorti e progressive dell’Occidente collettivo: si chiama Amundi ed è di gran lunga il principale fondo di investimenti del vecchio continente, il braccio armato delle oligarchie finanziare europee o, almeno, di quello che ne resta dopo due anni di guerra per procura alla Russia. In soldoni, “Significa che Stati Uniti, Europa, Giappone e Australia non sono in grado di sanzionare un paese in modo efficace” avrebbe affermato il capo degli investimenti di Amundi, Vincent Mortier, durante una conferenza stampa; “Possiamo deplorarlo” ha sottolineato, “ma è una realtà”. Certo, le sanzioni sono servite a congelare il patrimonio di un certo numero di persone – ha continuato Mortier – ma gli effetti sulle importazioni e le esportazioni russe nel complesso sono stati, tutto sommato, irrilevanti. Il mese scorso il Fondo Monetario Internazionale aveva rivisto al rialzo le stime sulla crescita della Russia nel 2023 , di parecchio: dall’1,5% di luglio al 2,2; nell’aprile scorso stimavano una crescita dello 0,7%.

Vladimir Putin

Secondo Putin, si tratta di stime eccessivamente caute: “Abbiamo sempre detto con cautela che la crescita sarebbe stata intorno al 2,5%. Ora possiamo affermare con sicurezza che supereremo senz’altro il 3%. Nel frattempo la Commissione europea, invece, ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita dell’eurozona: dallo 0,8 ad appena lo 0,6%. “Se facciamo il punto sulla guerra in Ucraina” ha concluso Mortier “per gli USA l’impatto è stato neutrale; Turchia, Asia Centrale e Asia in generale ne hanno beneficiato; e l’unica a soffrire direttamente e fortemente è stata l’Europa”. Ma te guarda alle volte il caso, eh? Fortunatamente, però, ora che ad ammettere che le sanzioni contro la Russia sono state principalmente sanzioni contro l’Europa ci s’è messo anche il gotha del capitalismo finanziario europeo stesso: la Commissione, finalmente, ha deciso di intervenire. Come? Ma con altre sanzioni – ovviamente – e con meccanismi più rigidi che dovrebbero garantire che anche quelle vecchie, finalmente, siano implementate come si deve ma che – come sottolinea giustamente il nostro amato Andrew Korybko – anche a questo giro potrebbero non fare altro che “uccidere definitivamente la competitività delle nostre stesse aziende tecnologiche”. Cosa mai potrebbe andare storto?
Certo, dal punto di vista economico le sanzioni alla Russia sono state come darci una martellata sui coglioni, ma chissà almeno quanti danni gli abbiamo fatto dal punto di vista militare! Eh, come no… Tantissimi proprio: “La Russia sta iniziando a far valere la sua superiorità nella guerra elettronica” titola l’Economist; “Gran parte dell’attenzione su ciò di cui l’Ucraina ha bisogno nella sua lunga lotta per liberare il suo territorio dalle forze d’invasione russe si è concentrata sull’hardware: carri armati, aerei da combattimento, missili, batterie di difesa aerea, artiglieria e grandi quantità di munizioni. Ma una debolezza meno discussa” sottolinea l’autorevole rivista inglese “risiede invece nella guerra elettronica; e i sostenitori occidentali dell’Ucraina finora hanno mostrato scarso interesse nell’affrontarla”.
La discrepanza tra le capacità ucraine e quelle russe era evidente sin dall’inizio del conflitto, ma – sottolinea l’Economist – “ha avuto a lungo un impatto limitato. Ora però che le linee di contatto sono diventate relativamente statiche, la Russia è stata in grado di posizionare le sue formidabili risorse dove possono avere il maggiore effetto”. “Già a partire dal marzo scorso” ricostruisce l’Economist “l’Ucraina ha cominciato a notare come i suoi proiettili Excalibur guidati dal GPS avevano improvvisamente iniziato ad andare fuori bersaglio, a causa del disturbo russo” e lo stesso era cominciato a succede alle bombe guidate JDAM e anche ai razzi a lungo raggio GMLRS che nella maggioranza dei casi – sottolinea l’Economist – “ora vanno fuori strada”: parliamo di armi intelligenti a cui sono stati dedicati decine e decine di titoli dalla propaganda occidentale e che avrebbero dovuto cambiare per sempre l’andamento del conflitto ma che ormai, grazie alla tecnologie per la guerra elettronica sviluppate negli anni dai russi, non fanno quasi mai il loro dovere. E ancora peggio sembrerebbe andare con gli sciami di droni: “l’Ucraina” scrive l’Economist “ha addestrato un esercito di circa 10.000 piloti di droni che ora sono costantemente impegnati in un gioco del gatto e del topo con operatori di guerra elettronica russi sempre più abili” che sono in grado di “confondere i loro sistemi di guida o bloccare i collegamenti radio con i loro operatori” e fanno fuori qualcosa come “oltre 2.000 droni la settimana”. Ma non solo, perché i russi sarebbero in grado “di acquisire con una precisione di un metro le coordinate del luogo da cui il drone viene pilotato, per trasmetterle poi ad una batteria di artiglieria” che a quel punto avrebbe un bersaglio facile.
Quello che manca all’Ucraina in questa guerra impari contro gli armamenti per la guerra elettronica dei russi, svela l’Economist, è “il sostegno degli alleati occidentali”: “La guerra tecnologica” spiega l’Economist “rientra infatti in una categoria di trasferimento tecnologico limitato da un regime di controllo delle esportazioni rigidamente vigilato dal Dipartimento di Stato” e “c’è una certa riluttanza, soprattutto da parte degli americani, a mostrare la mano alla Russia, anche perché le informazioni utilizzabili, ad esempio sulle frequenze o sulle varie tecniche utilizzate, dalla Russia potrebbero finire anche in mano ai cinesi”. Quello che speravano gli alleati occidentali, piuttosto, era che anche i russi prima o poi potessero trovare delle difficoltà a fornire il fronte continuamente di nuovi strumenti per la guerra elettronica, che sono sì progettati e prodotti in Russia, ma dentro – spesso e volentieri – hanno anche tecnologia a stelle e strisce che non dovrebbe arrivare più e invece – misteri della fede – arriva eccome; come sottolinea infatti Bloomberg, nonostante la Russia sia il paese più sanzionato della storia delle sanzioni “anche impedire a tecnologia sensibile di raggiungere la Russia si è rivelato più complesso del previsto”. Attraverso “triangolazioni tramite paesi come il Kazakhstan, la Serbia e la Turchia” la Russia, infatti, sarebbe stata in grado “di mettere le mani sui cosiddetti articoli ad alta priorità” inclusi in questa lunga lista aggiornata dall’Unione nel settembre scorso (https://finance.ec.europa.eu/system/files/2023-09/list-common-high-priority-items_en.pdf ) e che possono essere “utilizzati per scopi militari”. “I recenti dati commerciali visti da Bloomberg” sottolinea l’articolo “mostrano che le esportazioni da quelle nazioni, oltre che da Armenia, Azerbaigian e Uzbekistan, sono sì diminuite parzialmente nella seconda metà di quest’anno, ma rimangono perlopiù superiori ai livelli prebellici”. Ancora più importanti nella fornitura di questi articoli ad alta priorità alla Russia risulterebbero essere Cina ed Hong Kong, dai quali proverrebbe – sottolinea Bloomberg – “oltre l’80% degli acquisti esteri russi. E la Russia” continua Bloomberg “sarebbe stata in grado di costruire anche nuove vie commerciali attraverso paesi come la Thailandia e la Malesia”. L’unico paese che ha costituito un altro canale prezioso per le triangolazioni e che si è detto disposto a introdurre norme più restrittive sarebbero gli Emirati Arabi; purtroppo però, sottolinea Bloomberg, “non forniscono dati commerciali tempestivi, rendendo difficile valutare i progressi”.
Contro le scappatoie che hanno reso le sanzioni totalmente inefficaci – allora – la Commissione ha proposto di provare a stringere la cinghia, proponendo una nuova serie di regole “che impedirebbero agli importatori di rivendere alla Russia i cosiddetti articoli ad alta priorità”, ma non solo: la proposta prevede infatti anche di obbligare le aziende importatrici a depositare dei soldi in un conto ad hoc dal quale la Commissione sia in grado di prelevare automaticamente qualora venissero contestate delle violazioni.

Andrew Korybko

“Almeno metà dei soldi depositati” riporta Bloomberg “verrebbe trasferita a un fondo fiduciario per l’Ucraina” e vederseli sottrarre potrebbe essere estremamente facile perché le aziende non risponderebbero soltanto per se, ma anche nel caso non avessero prontamente segnalato comportamenti illeciti da parte di aziende terze con le quali sono in affari; un pacchetto di manovre che – commenta l’analista Andrew Korybko – rischiano di “uccidere la competitività delle aziende tecnologiche europee” – un problema che sarebbe stato sollevato, riporta Bloomberg, anche da “inviati diplomatici di un gruppo dei principali stati membri”. A preoccupare, in particolare, la potenziale arbitrarietà dell’applicazione della regola sul congelamento dei beni depositati, dal momento che non passerebbe preventivamente da un tribunale, ma non solo: a preoccupare i potenziali partner commerciali, infatti, sarebbe anche il fatto che “chiunque si ritrovasse a fare affari con le società tecnologiche dell’Unione” commenta Korybko “dovrebbe essenzialmente permettere alla Commissione di spiare le sue attività al fine di monitorare il rispetto delle sanzioni”. Di fronte a tutti questi rischi – sottolinea Korybko – i clienti potrebbero essere scoraggiati “e optare invece per accordi molto più semplici e senza vincoli con aziende cinesi”. D’altronde che je frega?
A spingere per questa nuova ondata di restrizioni e ovviare, così, al fallimento di tutte le sanzioni con sanzioni ancora più nocive sono paesi che hanno poco da perdere perché – a parte una bella montagna di ideologia pro Washington – di aziende tecnologiche che producono “articoli ad alta priorità” semplicemente non ne hanno. A partire, ad esempio, dai paesi baltici – la punta di lancia degli USA contro gli interessi dei concorrenti europei: “Il loro interesse” sottolinea Korybko “è esclusivamente quello di limitare l’accesso della Russia a tutti i costi, compreso far perdere quote di mercato ai partner europei a favore della Cina”. L’industria tecnologica che – già di per sé – in Europa non è che sia particolarmente in forma, non sarebbe comunque l’unica ad essere penalizzata da questo dodicesimo pacchetto di sanzioni: un’altra mossa geniale, infatti, consisterebbe nell’aggiungere alla lista delle importazioni dalla Russia sottoposte a sanzioni anche i diamanti; Washington lo ha già fatto da mo’, l’Unione europea – invece – per ora ha declinato. Tutta colpa del Belgio: come ricorda il Brussels Time, infatti, “Si stima che circa l’86% dei diamanti grezzi del mondo passino ancora da Anversa almeno una volta”. Quello dei diamanti è un mercato che, a livello globale, vale oltre 100 miliardi e oltre un terzo dei diamanti di tutto il mondo arrivano proprio dalla Russia; tagliare le gambe così ad Anversa non sarebbe esattamente un ottimo affare e – soprattutto – sarebbe totalmente inutile. Gli indiani, infatti, non aspettano altro: già oggi la cittadina di Surat, 300 chilometri a nord di Mumbai, è la capitale mondiale della lavorazione dei diamanti e – in attesa di scippare ad Anversa tutto quello che proviene dalla Russia – al commercio e alla lavorazione dei diamanti ha dedicato quello che è stato descritto dai media l’edificio in assoluto più grande del mondo: 5 mila uffici che occupano la bellezza di 700 mila metri quadrati di superficie, collegati da oltre 130 ascensori; tanto a pagarlo saremo noi, sempre pronti a martellarci i coglioni quando si tratta di fare un regalino a zio Biden.
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