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Tag: corte

L’Occidente scarica Netanyahu, ma importa l’apartheid

La guerra di Israele contro i bambini palestinesi è probabilmente arrivata a una svolta: gli avvenimenti sono in rapida e continua evoluzione e quindi, per gli ultimi aggiornamenti, vi rimandiamo alle live che stiamo preparando sul tema; ma mentre registriamo questo video, un paio di considerazioni intanto possiamo farle. Durante tutta la scorsa settimana, Israele, col sostegno di Washington, ha provato a fregare Hamas: avevano proposto un accordo inaccettabile che, sostanzialmente, sarebbe equivalso a una resa incondizionata, mentre il regime genocida di Tel Aviv, dopo aver riscattato i suoi prigionieri, avrebbe avuto carta bianca per finire di radere al suolo Gaza e mettere così definitivamente fine all’ipotesi di uno Stato palestinese autonomo e sovrano; per convincere Hamas a suicidarsi e portarsi nella bara con se l’intero popolo palestinese, Tel Aviv usava il ricatto dell’invasione di Rafah, ma – a ben vedere – lo giocava malino. Sin da subito infatti, per tenere buone le fazioni più fondamentaliste del governo, Netanyahu è stato costretto ad ammettere che in un modo o nell’altro, o prima o dopo, l’invasione di Rafah sarebbe avvenuta comunque; Hamas, quindi, non aveva nessun motivo di firmare l’accordo trappola.
Nel frattempo però, con la mediazione di Egitto e Qatar, si stava lavorando a una riformulazione dell’accordo stesso: questa volta le garanzie erano decisamente più sostanziose; le varie tappe che scandivano lo scambio dei prigionieri avrebbero permesso ad Hamas di verificare, passo dopo passo, che Israele rispettasse i patti e, tra i patti, c’era sin da subito anche il ripristino delle infrastrutture essenziali e – alla fine del percorso – non solo un cessate il fuoco stabile, ma addirittura un’ambiziosa fine totale dell’assedio della Striscia. Insomma: la rivolta degli schiavi del carcere a cielo aperto di Gaza, per quanto tragica, quantomeno avrebbe determinato una riforma del regime carcerario; a queste condizioni, alla fine quindi Hamas ha ceduto. Israele, sostanzialmente, a quanto pare manco è stato coinvolto; come abbiamo detto più volte, a tratti ormai sembra essere universalmente considerato il bimbo scemo e viziato che va trattato con un po’ di tatto perché, nel frattempo, gli abbiamo regalato un’arma automatica bella carica, ma che nel frattempo va tenuto un po’ alla larga dalla stanza dove stanno gli adulti perché non può che fare danni. E infatti i danni, immancabilmente, sono arrivati: poche ore dopo che Hamas aveva pubblicamente dichiarato di accettare l’accordo, Tel Aviv decide di violarlo e di dare un segnale chiaro che è pronta a invadere Rafah; prima con l’intensificarsi degli attacchi aerei e, poi, anche con una piccola incursione via terra che, mentre registriamo questo video, potrebbe essere sia solo l’inizio dell’invasione vera e propria, sia – invece – l’ennesima bizza omicida del bimbo scemo e viziato.

Benjamin Netanhyau

Nel frattempo, la resistenza però non è rimasta a guardare: War Monitor, giusto un’ora fa, ha riportato la notizia (tutta da verificare) di 30 razzi che da Gaza sono partiti alla volta del Consiglio regionale di Eshkol; in precedenza, altri razzi erano usciti da Gaza in direzione Karem Abu Salem. La cosiddetta comunità internazionale pure non ha reagito benissimo alla bravata dei fasciosionisti: Guterres ha intimato a Israele di bloccare immediatamente ogni escalation; anche Borrell ha parlato di una catastrofe umanitaria da evitare a ogni costo e le voci, tutte da confermare, che sostengono che l’amministrazione Biden avrebbe imposto uno stop temporaneo all’esportazione di armi per mandare un segnale politico chiaro si sono continuate a rincorrere. Fatto sta che, al momento di questa registrazione, la situazione sul campo sembra essere in una fase di attesa; nel frattempo, i vertici israeliani sono volati al Cairo per riaprire il dialogo e Kirby, portavoce della Casa Bianca, ha affermato di essere ottimista che l’invasione può essere evitata e un accordo definitivo raggiunto. Insomma: se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno e rimanere cautamente ottimisti, la trappola che Israele aveva teso ad Hamas sembra essere definitivamente fallita e, al suo posto, Tel Aviv si ritroverebbe a dover sottoscrivere un accordo che finalmente, per la prima volta, non le dà carta bianca sul destino del conflitto.
Ciononostante, vista più da lontano, per quanto Israele sia in mezzo a un empasse, però, e per quanto non sia mai stato così isolato rispetto alle opinioni pubbliche di tutto il pianeta, il regime genocidario sionista – da un certo punto di vista – ha anche palesemente ottenuto un successo straordinario: tra le forze antipopolari, infatti, il suo sistema fondato sull’apartheid ha cominciato a esercitare una potente egemonia culturale; se fino a qualche anno fa il problema erano gli USA che esportavano il loro modello oligarchico e finto-liberale a suon di bombe, ora siamo al quadro successivo, con Israele che esporta nel mondo il suo modello fondato sull’apartheid a suon di mazzate, di agguati squadristi, di repressione e anche di minacce in stile mafioso. Le istituzioni dell’Occidente collettivo infatti, senza eccezione, è come se avessero adottato all’unisono una sorta di circolare virtuale universale che garantisce la totale impunità dei suprematisti sostenitori del genocidio, qualsiasi atto di aggressione compiano, e che vieta categoricamente ai media di parlarne. Una piccola preview l’avevamo vista un paio di settimane fa; sicuramente vi ricorderete. Era il 25 aprile e un’inviata della RAI era a Roma, dove si stavano confrontando due manifestazioni contrapposte: una di persone normali che, come inevitabile, avevano pensato di omaggiare gli eroi della resistenza italiana manifestando la loro vicinanza alla resistenza palestinese unite dal contrasto a ogni forma di genocidio; e l’altra di persone confuse che, invece, volevano approfittare delle celebrazioni per rivendicare la legittimità dello sterminio dei bambini palestinesi. Piena zeppa di infiltrati fascisti che, tra governo Meloni e sostegno incondizionato dei governi dell’Occidente collettivo a ogni forma di neonazismo in circolazione – dai lettori di Kant del battaglione Azov ai coloni criminali sionisti – stanno vivendo una vera e propria golden age, la seconda manifestazione ha letteralmente aggredito l’altro gruppo; e la povera inviata che, evidentemente, nonostante lavori per un servizio pubblico totalmente appiattito sulla narrazione della propaganda sionista, anche lei aveva le idee un po’ confuse e non aveva interpretato benissimo l’agenda pro – sterminio dei suoi datori di lavoro, aveva riportato l’accaduto parlando, appunto, di aggressione e dallo studio la sua capa, invece di censurare l’aggressione fascista del fan del genocidio, l’ha redarguita sottolineando che non c’era stata nessuna aggressione, come ovviamente lei, dallo studio in mezzo alle luci sparate a palla e le truccatrici, poteva testimoniare direttamente.
Ma era solo l’antipasto: il lasciapassare alle aggressioni dei sostenitori del genocidio, infatti, ha assunto dimensioni veramente inedite pochi giorni dopo, sull’altra sponda dell’Atlantico, quando delle squadracce di picchiatori suprematisti hanno aggredito un pacifico accampamento di manifestanti anti – sterminio con tanto di spranghe in mano e maschere sul volto: mentre le squadracce aggredivano i manifestanti con spray al peperoncino, bastoni e anche oggetti esplosivi pirotecnici di ogni tipo, le forze dell’ordine rimanevano in un angolo impassibili. Probabilmente erano un po’ stanchine; d’altronde, da tempo ormai erano impegnati giorno e notte a menare ed arrestare indiscriminatamente centinaia di giovani studenti pacifici per aver osato dubitare della missione purificatrice dei fondamentalisti sionisti: erano così anchilosati che non sono intervenuti neanche quando gli squadristi, davanti ai loro occhi, si sono scagliati in massa su uno studente, l’hanno buttato per terra e l’hanno preso allegramente a calci nella testa tutti assieme (immagino per favorire l’apprendimento delle sacre scritture). Come ha dichiarato su al Jazeera il giornalista investigativo Joey Scott (che ha assistito all’attacco squadrista), temporeggiando, le forze dell’ordine hanno voluto mandare un segnale chiaro alle squadracce che si aggirano per il paese che non rischiano ritorsioni ed anzi sono ben viste perché, così, aiutano l’amministrazione nella sua battaglia di civiltà: combattere l’antisemitismo, che viene tirato in ballo anche quando a protestare sono gli stessi ebrei che, nelle mobilitazioni anti – sterminio degli USA, hanno avuto sin da subito un ruolo di primissimo piano.
Negli USA, ormai, sono considerati antisemiti anche ebrei ortodossi come questi che sono stati aggrediti mentre erano tranquilli nella loro auto da questa simpatica signora indemoniata e palesemente alterata che gli è saltata addosso cercando di strappargli la bandiera palestinese e che poi s’è messa pure a minacciare le forze dell’ordine che sono intervenute per separarli, ma che – in base alla circolare sul diritto incondizionato dei sionisti di fare un po’ come cazzo vogliono – l’hanno lasciata andare via serenamente. Questa strumentalizzazione delirante del pericolo antisemita è anche la formula magica che l’amministrazione USA ha cercato di usare per giustificare gli arresti di massa delle ultime settimane, che stanno trasformando la terra della libertà in un regime teocratico filo – sionista, una palese e inquietante involuzione antidemocratica che, pochi giorni fa, è diventata legge grazie all’Antisemitism Awareness Act, approvato dal congresso a larghissima maggioranza; una legge totalmente delirante che impone allo Stato di adeguarsi automaticamente alla definizione di antisemitismo che viene elaborata da un’associazione intergovernativa priva di qualsivoglia legittimità democratica: è la International Holocaust Remembrance Alliance che, ad esempio, considera antisemitismo anche accusare Israele di genocidio o anche genericamente di razzismo. Grazie a questa legge, sostanzialmente si riconosce a una minoranza eletta un diritto che non viene riconosciuto a nessun altro: quello di non essere criticata, a prescindere. E attenzione: non è un diritto che si riconosce agli ebrei, ma è un diritto che si riconosce ai sionisti, quindi non a una minoranza etnica, ma ai sostenitori di una determinata ideologia. In base a questa definizione di antisemitismo, secondo l’amministrazione USA anche la Corte internazionale di giustizia, giusto per fare un esempio, è antisemita e ora rischia di diventarlo anche la Corte penale internazionale che, a differenza della Corte di giustizia – che è comunque un organismo ufficiale dell’ONU e quindi ha sempre avuto un qualche occhio di riguardo anche per il Sud globale – è sempre stata, a ragione, accusata di essere un vero e proprio braccio armato dell’imperialismo e che infatti ha sempre e solo emesso mandati di cattura verso nemici dell’imperialismo – da Putin a Gheddafi – e mai, nemmeno una volta, contro i peggiori criminali che l’agenda imperialista, invece, l’hanno portata avanti a suon di palesi e plateali crimini di guerra.

Yoav Gallant

Ma, evidentemente, è un braccio che comincia a presentare qualche insofferenza nei confronti del cervello impazzito: un paio di settimane fa, infatti, senza che la Corte si sia mai espressa in merito, sui media israeliani è cominciata a circolare l’ipotesi che, a breve, sarebbero arrivati mandati d’arresto internazionali contro figure israeliane di primissimo piano, a partire addirittura proprio da Netanyahu stesso e dal comandante in capo dello sterminio, il ministro della difesa Yoav Gallant; Netanyahu ha reagito subito a questi rumors dichiarando pubblicamente che l’emissione di mandati di arresto equivaleva al tentativo di minare il diritto di Israele all’autodifesa e che questo è inaccettabile perché “costituirebbe un pericoloso precedente che minaccia i soldati e i funzionari di tutte le democrazie”. “Non crediamo che ne abbiano la giurisdizione” ha rincarato subito dopo la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre, annunciando come gli USA non avrebbero mai sostenuto un’indagine da parte dellaCorte; oggi sappiamo che questo alterco era solo la punta dell’iceberg. Lunedì sera, infatti, il buon vecchio Kim Dotcom ha pubblicato sul suo account X questa lettera: risale al 24 aprile, è indirizzata al procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja ed è accompagnata dalla firma di 12 senatori statunitensi (probabilmente il grado più basso dell’evoluzione umana attualmente presente nella politica internazionale). La prima firma è quella di Tom Cotton, già celebre per questa figura di merda epica di fronte al CEO di TikTok; seguono le firme, tra gli altri, del gotha della destra reazionaria e suprematista del Tea Party, da Ted Cruz a Marco Rubio. Insomma: promette benissimo, ma – ciononostante – il contenuto della lettera è superiore anche alle più rosee aspettative. “Caro signor procuratore” scrivono, “le scriviamo riguardo alla notizia che la Corte penale internazionale starebbe valutando l’ipotesi di emettere un mandato di cattura internazionale nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu e altri ufficiali israeliani”; con un’azione del genere, sottolineano i nostri 12 cavalieri dell’apocalisse, la Corte internazionale “punirebbe Israele per essersi legittimamente difeso contro l’aggressore sostenuto dall’Iran” e questo allineerebbe la Corte “con il principale stato sponsor del terrorismo e il suo proxy”. “Emettere un mandato d’arresto per i leader di Israele” continua la lettera “non sarebbe solo ingiustificato, ma tradirebbe la vostra ipocrisia e i vostri doppi standard” dal momento che “non avete mai emesso un mandato di cattura nei confronti di quel genocida del Segretario Generale della Repubblica Popolare di Cina, Xi Jinping, o di nessun altro funzionario cinese”. Ma il bello deve ancora venire: “Se emetterete un mandato di arresto per la leadership israeliana, lo interpreteremo non solo come una minaccia alla sovranità israeliana, ma anche a quella statunitense”, che è come dire, appunto – come abbiamo sempre sostenuto – che Israele non è altro che un’exclave dell’impero USA incaricata di mantenere l’ordine coloniale in Medio Oriente; e qui, poi, c’è una chicca che, sinceramente, avevo rimosso: “Il nostro paese, con l’American Service-Members’ Protection Act” scrivono “ha dimostrato fin dove siamo disposti ad arrivare per proteggere quella sovranità”.
Ma cosa è l’American Service-Members’ Protection Act? Se non lo sapete, non vi preoccupate; anch’io, che quando c’è da dire male di Washington sono sempre in prima linea, l’avevo completamente rimosso, probabilmente perché è un atto così vergognoso e platealmente criminale che la propaganda ha fatto letteralmente di tutto per tenerlo al di fuori del dibattito pubblico: la legge, approvata dal Congresso nel 2002 ai tempi dell’amministrazione Bush jr che si accingeva, nell’ambito della war on terror, a commettere una serie infinita di crimini di guerra, dà al presidente il potere di usare “tutti i mezzi necessari e appropriati per ottenere il rilascio di qualsiasi membro del personale statunitense o alleato detenuto o imprigionato da, per conto o su richiesta della Corte penale internazionale”. Non a caso l’atto è stato soprannominato The Hague Invasion Act – la legge sull’invasione dell’Aja – perché, appunto, incredibilmente dà automaticamente il potere al presidente anche di invadere l’Olanda, se solo questo venisse ritenuto il modo migliore per liberare dalla grinfie della Corte soldati e funzionari USA – come di qualsiasi altro paese ritenuto alleato. Forse ora è chiaro perché la Corte ha sempre e solo perseguito nemici di Washington; un atto talmente folle che quando ancora l’Europa aveva qualche velleità di autonomia, nei primi anni 2000, lo condannò apertamente. Ora i 12 senatori dell’apocalisse lo ritirano in ballo per minacciare esplicitamente la Corte e non si fermano qui; anche nel linguaggio, l’ultimo paragrafo della lettera sembra scritto direttamente da Totò Riina: “Prendete di mira Israele” minacciano “e noi prenderemo di mira voi”. “Se andate avanti con la vostra azione, sanzioneremo tutti i vostri impiegati e tutti i vostri associati, e bandiremo voi e le vostre famiglie dagli Stati Uniti. Siete stati avvisati”.
Secondo quanto riportato in questa infografica prodotta da Track Aipac, un’iniziativa indipendente che cerca di ricostruire tutti i finanziamenti della lobby israeliana ai membri del Congresso, i 12 senatori dell’apocalisse, per autoconvincersi dell’opportunità di questa loro iniziativa leggermente sopra le righe, hanno ricevuto nel tempo dall’Aipac circa 6 milioni di buone motivazioni; questo episodio, se l’autenticità del contenuto della lettera venisse confermato ufficialmente (cosa che, in cuor mio, tutto sommato voglio ancora nutrire una minima speranza non accada) ci racconta un paio di cose importanti: la prima è che, se ancora avevamo dei dubbi, l’ordine internazionale fondato sulle regole di cui parlano gli imperialisti occidentali e i loro pennivendoli può essere considerato – dalla struttura al retroterra culturale che traspare anche nel linguaggio – un ordine, a tutti gli effetti, di carattere mafioso dove l’unica regola che, quando serve, vale davvero è sempre e solo quella del sopruso e del ricorso alla violenza fisica e al puro arbitrio. La seconda è che aspettarsi che gli USA, di loro sponte, impediscano davvero a Israele di portare a termine il suo genocidio è totalmente velleitario: sarebbe un po’ come pretendere che un serial killer, di sua sponte, si seghi un braccio per impedire alla sua mano di continuare a premere il grilletto; con questo, però, non voglio dire che lo sterminio totale e definitivo del popolo palestinese sia inevitabile e che, quindi, tanto vale smetterla di logorarsi e tornare agli spritz. Anzi! Voglio, invece, dire proprio che se oggi traspare qualche titubanza è solo ed esclusivamente merito delle forze che, nella società, si stanno opponendo al massacro: dall’asse della resistenza agli altri Stati che sono in conflitto con l’imperialismo, ma, soprattutto, alle masse popolari che si stanno mobilitando sempre di più contro la complicità dei rispettivi governi.
La mobilitazione e la lotta contro l’esportazione dell’apartheid, quindi, non sono che all’inizio e per portarle a termine abbiamo bisogno di un vero e proprio media che, invece di tappare la bocca ai giornalisti che chiamano aggressione un’aggressione, dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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GAZA: lo Stato italiano potrebbe essere condannato per genocidio

“Questa guerra durerà a lungo” confessa il superconsulente delle forze armate israeliane Gabi Siboni su La Stampa; “Ma cosa intende esattamente per lungo?” chiede Lucia Annunziata: almeno “un paio d’anni” risponde Siboni. E questo solo “per raggiungere il nostro primo stadio”, dopodiché – continua – “per riuscire a ottenere quello che vogliamo, dovremo rimanere a Gaza 50 anni”.

A quasi due settimane dalla storica sentenza preliminare della Corte di Giustizia dell’Aja che, per la prima volta, abbatte il muro della totale impunità dell’occupazione criminale di Israele, gli esponenti di spicco dell’entità sionista continuano a ostentare tutta la loro sicurezza e a sfidare apertamente il diritto internazionale, e anche il buon gusto; d’altronde, tutto sommato, continuano a godere di un sostegno incondizionato al genocidio da parte del giardino ordinato che, pur di difendere l’ultimo avamposto dell’imperialismo a guida USA, rischia di catapultarci tutti in una nuova Norimberga. Nel tentativo di screditare la Corte di Giustizia internazionale e tutte le istituzioni multilaterali che non sono sfacciatamente eterodirette da Washington, il mondo libero e democratico, infatti, ha deciso di contribuire attivamente all’holodomor di Gaza ritirando di botto i finanziamenti all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU incaricata dell’assistenza umanitaria dei palestinesi, di gran lunga la più importante delle organizzazioni che stanno cercando di evitare che – prima ancora di morire sotto le bombe delle forze di occupazione – i palestinesi vengano decimati dalla fame, dalla sete e dalle malattie. L’Aja aveva imposto esplicitamente a Israele di garantire l’arrivo di aiuti umanitari adeguati; contribuire a impedirlo come, insieme ad altri 15 governi occidentali, sta facendo Giorgiona la svendipatria significa, in punta di diritto, andare contro la Corte e andare a braccetto con chi è formalmente indagato per genocidio: “Questo sposta la maggior parte di questi stati occidentali dalla loro attuale semplice complicità con i genocidio di Israele, attraverso la vendita di armi, gli aiuti e la copertura diplomatica, a una partecipazione diretta attiva al genocidio stesso” ha affermato il celebre professore di diritto statunitense Francis Boyle.
A venire violato in maniera piuttosto esplicita infatti, continua Boyle, sarebbe il divieto della Convenzione sul genocidio del 1948 di “infliggere deliberatamente al gruppo” e, cioè, ai palestinesi “condizioni di vita calcolate per provocare la sua distruzione fisica totale o parziale” e l’aggravante, a questo giro, è che la decisione sarebbe stata presa per motivi più che futili: il ritiro dei finanziamenti all’UNRWA, infatti, si fonda su un unico elemento che ha dell’incredibile: l’accusa da parte di Israele nei confronti di 12 funzionari – tra i 13 mila impiegati dall’agenzia – di complicità con l’operazione diluvio di Al Aqsa, un’accusa alla quale l’agenzia ha reagito tempestivamente, in un eccesso di accondiscendenza, licenziando in tronco le persone coinvolte senza che vi fosse lo straccio di una prova; solo la parola di chi sta perpetrando il genocidio. Vista la funzione vitale e la posizione delicatissima che ricopre l’agenzia in questa fase si è scelto, insomma, di evitare in ogni modo polemiche, anche se sulla pelle di 12 persone (che al momento, ovviamente, risultano completamente innocenti) dopo che, per mesi, hanno rischiano la vita sotto le bombe criminali di Israele – che con il personale e le strutture dell’UNRWA non ci è andato certo di scartino, radendo al suolo scuole, rifugi, ospedali e registrando il record assoluto di vittime tra i lavoratori delle organizzazioni umanitarie in un conflitto moderno: 152 secondo la CNN, ed era 10 giorni fa. Purtroppo, l’eccesso di zelo dell’agenzia è servito comunque a poco; i sostenitori del genocidio hanno deciso di fare un doppio sgarbo a ogni idea di stato di diritto: il primo decretando la colpevolezza preventiva di 12 persone e il secondo facendo ricadere questa sentenza preventiva ingiustificata sull’intera struttura e, a cascata, sull’intera popolazione di Gaza. Chi ci accusava di nutrire troppe speranze dopo la sentenza dell’Aja quindi aveva ragione?
In parte, sicuramente sì, almeno fino a ieri perché negli ultimi 2 giorni, in realtà, qualcosa s’è cominciato a muovere; il primo segnale è arrivato nientepopodimeno che dal Giappone: a inviarlo, in questo caso, non è stato un governo, ma un’azienda privata gigantesca. E’ la Itochu Corporation, un supermegaconglomerato da oltre 100 mila dipendenti attivo in millemila settori diversi, compresa la difesa; nel marzo scorso aveva firmato un accordo a tre con la Nippon Aircraft Supply e il colosso israeliano della tecnologia militare Elbit Systems: “Tenendo conto dell’ordinanza della Corte internazionale di giustizia del 26 gennaio e del fatto che il governo giapponese sostiene il ruolo della Corte” ha annunciato in una conferenza stampa due giorni fa il direttore finanziario del gruppo Tsuyoshi Hachimura “abbiamo già sospeso le nuove attività relative al memorandum d’intesa e prevediamo di concluderlo entro la fine di febbraio”. Nelle stesse ore, nel parlamento regionale della Vallonia, in Belgio, la rappresentante del partito ambientalista Ecolo, Hélène Ryckmans, ha presentato un’interrogazione sull’esportazione di polvere da sparo che da Anversa raggiunge il porto di Ashdod, una quarantina di chilometri a nord di Gaza; all’inizio dell’anno, infatti, la fabbrica di munizioni di Liegi della PB Clermont aveva ottenuto la licenza per le esportazioni che ora si chiedeva venisse revocata, e la risposta è stata tempestiva: “L’ordinanza del 26 gennaio della Corte internazionale di giustizia” ha dichiarato in conferenza stampa il ministro regionale dell’edilizia abitativa Cristophe Collignon “nonché l’inaccettabile deterioramento della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza hanno portato il Ministro – Presidente a sospendere temporaneamente le licenze valide”. Per quanto ne so, in 75 anni di occupazione e in 20 di carcere a cielo aperto a Gaza, non era mai successo; nonostante le decine di risoluzioni dell’ONU, fino ad oggi il giardino ordinato aveva sempre dato, senza distinguo, tutto il suo sostegno incondizionato ai crimini dell’entità sionista, eppure non dovrebbe sorprenderci: è esattamente quello che aveva previsto il nostro Triestino Mariniello commentando a caldo la sentenza una decina di giorni fa.

Triestino Mariniello

Nel frattempo, anche la guerra dell’Occidente collettivo contro l’UNRWA perde pezzi: lunedì scorso, infatti, Jose Albares, il ministro degli esteri spagnolo, ha annunciato che non solo il suo paese non farà parte del nutrito fan club democratico del genocidio da assedio, ma anzi aggiungerà ai finanziamenti già autorizzati altri 3,5 milioni di euro: “La situazione dell’UNRWA è disperata” ha affermato “e c’è il serio rischio che le sue attività umanitarie a Gaza vengano paralizzate entro poche settimane”. Pochi giorni prima era stato il turno di Joao Cravinho, il ministro degli esteri del Portogallo, che su X aveva affermato che era essenziale “non voltare le spalle alla popolazione palestinese in questi momenti drammatici” e aveva annunciato ulteriori finanziamenti all’UNRWA per 1 milione di euro; al di là delle valutazioni di merito, anche solo per levarsi di torno possibili accuse di genocidio – anche proprio ragionando cinicamente – mi sembrano spesi benino, diciamo. D’altronde, le accuse di Israele nei confronti dei famosi 12 dipendenti incriminati si fonderebbero su un dossier che fino ad ora Tel Aviv pare avesse condiviso solo con Washington; Blinken, ovviamente, ha affermato subito che le prove erano più che solide, ma dopo che Biden ha affermato di aver visto le foto dei bambini decapitati solo per venire smentito poche ore dopo dal suo stesso staff – appena prima che tutto il mondo venisse a sapere che quelle foto non sono mai esistite – diciamo che non è esattamente una fonte credibilissima, come confermerebbe un’inchiesta del canale pubblico britannico Channel 4. L’emittente, infatti, sarebbe entrata in possesso del dossier e il giudizio è inequivocabile: “Non contiene nessuna prova” hanno affermato; secondo Axios, tutte le prove consisterebbero in “informazioni di intelligence, che sarebbero il risultato degli interrogatori dei militanti arrestati durante l’attacco del 7 ottobre”. “Le forze israeliane” però, ricorda il sempre ottimo Jake Johnson su Consortium News “sono state ripetutamente accusate da esperti delle Nazioni Unite e gruppi per i diritti umani di usare la tortura per estorcere confessioni forzate ai detenuti palestinesi”, anche quando in ballo c’era decisamente meno che la battaglia per la soluzione finale a Gaza: è quanto ci ha raccontato in dettaglio qualche settimana fa Khaled El Qaisi, il cittadino italo – palestinese che era stato sequestrato dalle forze dell’ordine israeliane senza nessun capo di imputazione il 31 agosto scorso e che era rimasto prigioniero nelle carceri israeliane senza nessun motivo per poco meno di un mese. Insomma: decidiamo di rischiare di essere accusati formalmente di complicità in genocidio per accuse formulate sulla base di confessioni estorte attraverso la tortura; cosa mai potrebbe andare storto?
Il delirio suprematista ha raggiunto un livello tale che manco quando è in ballo la difesa dei propri interessi materiali immediati diventa lecito sollevare qualche dubbio e adottare un po’ di cautela; abbiamo bisogno come il pane di un vero e proprio media che quel delirio suprematista sia in grado di contrastarlo, giorno dopo giorno, informazione dopo informazione. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Benjamin Netanyahu