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Tag: controffensiva

PUTIN ACCOLTO DA IMPERATORE NEL GOLFO – Il Nord Globale è in preda al panico

Fermi tutti! Fermi tutti, che qui c’è da brindare; è tornata – più in forma che mai – la mia crush numero 1: Nathalie Tocci! Dopo averci deliziato per mesi e mesi con una quantità infinita di vere e proprie perle di doppiopesismo suprematista e previsioni strampalate di ogni genere, sistematicamente smentite tempo zero dalla realtà, la Tocci – ultimamente – aveva iniziato a battere un po’ la fiacca e, per spiazzarci ancora di più, era arrivata addirittura a scrivere cose non dico condivisibili, ma – tutto sommato – perlomeno ragionevoli sullo sterminio in corso a Gaza. Ma quando poi, venerdì mattina, abbiamo aperto la prima pagina de La Stampa, lo spiazzamento si è trasformato in vero e proprio stato confusionale; accanto alla sua graziosa fotina, infatti, campeggiava un titolo sconcertante: Perché adesso in Ucraina rischia di vincere Putin. E’ stata rapita? Lo zio Vladimiro gli ha segretamente fatto impartire un vecchio trattamento Ludwig? L’ha sostituita con una sosia?

Nathalie Tocci

Fortunatamente, però, era solo un falso allarme: superate le prime righe, infatti, ecco che riappare subito la vecchia Natalona che tutti noi abbiamo imparato ad amare, determinata come non mai a sacrificare ogni minimo residuo di dignità in nome della propaganda e del suprematismo. D’altronde la posta in gioco è alta; la Tocci, infatti, che – va detto – ha sempre tifato escalation senza se e senza ma, convinta che le minacce di Putin fossero sempre e solo bluff e che il dovere dell’Europa fosse distruggere la Russia senza tanti fronzoli, lamenta il fallimento di una strategia europea che definisce eccessivamente cauta e attendista. E’ l’abc di ogni suprematista che si rispetti: l’Occidente collettivo è una civiltà superiore e, in quanto tale, non può perdere; se perde è perché ha deciso, per eccesso di ingenuità, di essere troppo docile e gentile, come d’altronde dimostra anche la guerra a Gaza. Proprio la civiltà dei guanti di velluto, diciamo. La Tocci, quindi, torna a lamentare la “stanchezza” dell’Occidente nei confronti di una guerra che – ovviamente – sarebbe in grado di vincere con la mano destra legata, e accusa “chi pensa che da questa stanchezza possa uscire qualcosa di buono”, ovvero “un negoziato che porti un compromesso tra Kiev e Mosca, magari mandando a casa il presidente ucraino Zelensky”.
Poveri illusi! Non tengono in conto, sottolinea la nostra Nathalie, che “per arrivare a un compromesso serve l’accordo tra le due parti. E a questa soluzione il presidente russo Vladimir Putin non pensa proprio” e non tanto perché ormai la Russia ha asfaltato sul campo di battaglia l’Occidente collettivo e quindi ormai, prima di trattare, vuole finire l’opera – che ne so – prendendosi pure Odessa, o per lo meno Kharkiv – che è un’ipotesi tutto sommato verosimile. No, no! Secondo la Tocci, semplicemente, “Putin ha bisogno di uno stato di conflitto perpetuo per sorreggersi”; infatti, sottolinea, “Se dovesse finire la guerra, il regime sarebbe chiamato a fare i conti con” – udite udite – “centinaia di migliaia di morti”: cioè, non 100 mila, che è già una barzelletta, e nemmeno 200, ma proprio centinaia e centinaia di migliaia. Cioè, non solo tutti quelli schierati in Ucraina, nessuno escluso, ma pure quelli rimasti a casa, che sono morti dal dispiacere. E viste le basi fattuali così solide su cui fonda il suo ragionamento, ecco che la Tocci, spregiudicata, decide di fare un passo oltre e si lancia in un’altra delle sue fantastiche previsioni: se, infatti, un compromesso adesso è impensabile – sostiene la Tocci – le cose potrebbero cambiare tra un anno, una volta terminata la lunga corsa per le presidenziali USA, soprattutto se alla Casa Bianca arrivasse Trump; allora un accordo sarebbe il regalo di investitura di Putin all’amico The Donald. Ma non fatevi illusioni, perché “naturalmente, per Putin, questo sarebbe soltanto una pausa temporanea”, giusto “il tempo di riarmarsi, e poi proseguirebbe la rincorsa dell’obiettivo rimasto invariato sin dall’inizio della guerra” che indovinate un po’ quale sarebbe? Ma ovviamente “il controllo di Kiev” scrive Natalona, ma non solo, perché – a quel punto – perché fermarsi? Perché “non proseguire” dice la Tocci “con la casella successiva, cioè la Moldavia e poi, magari, avventurarsi in territorio NATO, nei Baltici”? E poi ancora più in là, dritti verso Lisbona e, da lì, in canotto verso il nuovo continente. Ma chi gliel’avrà messa in testa questa gigantesca sequela di puttanate? E perché proprio adesso, quando – dopo qualche intervento ragionevole sulla guerra a Gaza – stava lentamente riuscendo a ricrearsi un minimo di credibilità?
Washington, martedì 5 dicembre: il Congresso degli Stati Uniti è in procinto di discutere il pacchetto da 100 e oltre miliardi messo assieme dall’amministrazione Biden; in larga parte, dovrebbero servire a permettere all’Ucraina di tenere occupato Putin ancora un po’ senza dichiarare definitivamente la bancarotta, almeno fino al voto per le presidenziali USA del prossimo novembre e, tra le fila del partito repubblicano, le perplessità si sprecano. Ovviamente sanno benissimo che tirare il freno a mano adesso significherebbe, potenzialmente, permettere a Putin di aumentare a dismisura il suo bottino di guerra e, anche, che questo comporterebbe un danno enorme per gli interessi strategici USA, ma sanno anche che, dopo due anni di umiliazioni sul campo, il loro elettorato di questa guerra per procura ne ha le palle piene e per recarsi alle urne vuole vedere tornare in cima all’agenda politica qualcosa che li riguarda da vicino, a partire dalla lotta senza se e senza ma a quelle che ormai definiscono apertamente le invasioni barbariche dei migranti latinos dal confine meridionale – che vorrebbero blindato e con licenza di uccidere. Ecco allora che il segretario alla difesa Lloyd Austin prova l’ultima carta: un lungo incontro riservato con i senatori più riottosi per provare a cercare una quadra prima che inizi il voto; ma è un fallimento totale. Dopo appena 20 minuti – riporta il buon vecchio Stephen Bryen su Asia Times – ecco che i senatori repubblicani escono in fretta e furia dalla sala, inviperiti. Cos’è successo? Secondo le prime ricostruzioni, appunto, i repubblicani volevano impegni formali sostanziosi sul muro col Messico, ma sono stati rimbalzati. Ma c’è dell’altro: secondo Tucker Carlson, Lloyd Austin li avrebbe letteralmente minacciati:

“Il segretario alla Difesa Lloyd Austin” – ricostruisce il Messengers – “avrebbe sostenuto che se i legislatori non riusciranno ad approvare ulteriori aiuti all’Ucraina, ciò molto probabilmente porterà le truppe statunitensi sul terreno in Europa a difendere gli alleati della NATO in altri paesi che la Russia potrebbe prendere di mira”; insomma, gli aveva letto l’editoriale che poi avrebbe pubblicato anche il suo ufficio stampa in Italia Nathalie Tocci. Carlson, come sempre, aggiunge, anche un altro po’ di pepe: Lloyd Austin infatti – sostiene – avrebbe detto esplicitamente che “Se non stanziamo più soldi per Zelensky, manderemo i vostri zii, cugini e figli a combattere la Russia”; insomma, “O paghi gli oligarchi o uccideremo i tuoi figli” sintetizza Carlson, con Musk sotto che gli chiede “Ma ha davvero detto così?”. “Lo ha fatto davvero” replica Carlson. “E’ confermato”. Ora, io di Carlson mi fido più o meno come della Tocci ma, comunque si sia svolto davvero il colloquio segreto, un paio di cose risultano chiare:
uno – la minaccia, comunque sia stata formulata, non ha convinto i repubblicani, che infatti – alla fine – hanno bocciato il pacchetto di aiuti;
due – la minaccia, invece, ha convinto Nathalie Tocci, che l’ha trasformata nel suo ennesimo illuminante editoriale indipendente e privo di condizionamenti.
D’altronde, fallita miseramente la controffensiva ucraina, l’unica speranza che i sostenitori senza se e senza ma della guerra per procura contro la Russia hanno di salvare almeno un pezzettino di faccia è portare avanti una controffensiva mediatica in grande stile. Il primo tassello di questa controffensiva consiste nel riformulare gli obiettivi della guerra: se fino a due settimane fa l’obiettivo era, attraverso la controffensiva, riprendersi tutti i territori conquistati dalla Russia dopo il 24 febbraio – e magari, già che ci siamo, pure la Crimea – e poi mettere fine al regime di Putin, ora che – con poco meno di un annetto di ritardo – si è costretti a prendere atto del fallimento, non rimane che rivedere gli obiettivi retroattivamente; ed ecco così che la debacle diventa una mezza vittoria perché, comunque, abbiamo impedito a Putin di conquistare Kiev.

Euromaidan

Ma chi l’ha detto che Putin voleva conquistare Kiev? Certo Zelensky, Biden, la Tocci, ma Putin – di sicuro – no (e anche noi abbiamo avuto sempre più di qualche dubbietto, diciamo); la storiella è sempre stata che s’è ritrovato di fronte una resistenza ucraina che non si aspettava – per carità, tutto può essere -, ma la resistenza che s’è ritrovato di fronte mica era la resistenza ucraina dei patrioti armati di fucili di legno che ci rifilavano ovunque all’inizio. E’ la resistenza della NATO che, in 8 anni dal colpo di stato dell’Euromaidan, ha trasformato l’esercito ucraino, in assoluto, in uno dei più cazzuti del vecchio continente, e mica era un segreto eh? Cioè, magari non lo sapevano Jacoboni e David Parenzo, ma Putin tendenzialmente sì, ecco. Ciononostante, gli uomini impiegati dalla Russia erano pochini e la loro avanzata non era stata anticipata da qualche campagna democratica di bombardamento a tappeto in stile NATO; quindi, o Putin e tutti i suoi generali e tutta la sua intelligence sono scemi, oppure – probabilmente – il piano non era esattamente quello che gli attribuisce la propaganda occidentale e io, se fossi un hooligan della propaganda suprematista, su questa cosa che sono tutti scemi non ci punterei troppo, ecco, perché se sono scemi loro, te – che ti sei fatto a prendere a pizze in faccia per due anni – probabilmente proprio proprio un aquila non sei, ecco.
Ma al di là di tutte le deduzioni che possiamo fare – che comunque, ovviamente, rimangono sempre opinabili – ora finalmente sembra emergere qualcosa che tanto opinabile non è: come sottolinea il buon vecchio Mearsheimer, infatti, ormai “esistono prove sempre più convincenti che dimostrano che Russia e Ucraina erano coinvolte in seri negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina subito dopo il suo inizio”. La prima testimonianza eccellente di questi negoziati risale allo scorso ottobre; a parlare è l’ex cancelliere tedesco Gerard Schroeder, secondo il quale Mosca aveva proposto un piano di pace molto concreto in 5 punti: “Il rifiuto dell’Ucraina di aderire alla NATO, due lingue ufficiali in Ucraina, l’autonomia del Donbass, le garanzie di sicurezza per l’Ucraina e i negoziati sullo status della Crimea”. Altro che conquista di Kiev, quindi: “Durante i colloqui” ricorda però Schroeder “gli ucraini non hanno accettato la pace perché non gli era stato permesso. Dovevano prima coordinare tutto ciò di cui parlavano con gli americani”; ma Schroeder, si sa, è uomo di Gazprom e non è indipendente come Nathalie Tocci. A novembre, però, ecco che arriva un’altra conferma; a parlare, a questo giro, è nientepopodimeno che Davyd Arakhamia, leader parlamentare di Servitori del Popolo, il partito di Zelensky: “I russi” avrebbe dichiarato “erano pronti a porre fine alla guerra se avessimo accettato la neutralità e ci fossimo impegnati a non aderire alla NATO” ma “quando siamo tornati da Istanbul” ricorda Arakhamia “Boris Johnson è venuto a Kiev e ha detto che non avremmo firmato nulla con loro e che combattevamo e basta”.

Francesco dall’Aglio

A confermare il vero scopo della Russia e il ruolo dell’Occidente collettivo c’ha pensato pure l’ex premier israeliano Natali Bennett, presente ai negoziati: “Tutto ciò che ho fatto” avrebbe affermato “è stato coordinato fino all’ultimo dettaglio con Stati Uniti, Germania e Francia. E la decisione è stata quella di continuare a colpire Putin”. I partner occidentali, quindi, hanno deciso di bloccare l’accordo e “io ho pensato che si sbagliassero” ha concluso Bennet; è esattamente la stessa identica cosa che il nostro Francesco Dall’Aglio ha sostenuto – durante le nostre dirette – ogni benedetta settimana da quando è iniziato il conflitto e che ora, finalmente, diventa sostanzialmente ufficiale – ma, evidentemente, non abbastanza per spingere la Tocci a prendere consapevolezza della realtà e a smarcarsi un po’ dai deliri dell’amministrazione Biden. Purtroppo per la propaganda analfoliberale, però, continuare a sostenere vaccate che cozzano palesemente con la realtà non sembra ormai più essere una strategia vincente; nonostante il bombardamento mediatico ininterrotto, il grosso della popolazione mondiale – anche nel cuore dell’Occidente collettivo – ormai il giochino l’ha capito eccome; ma allora perché continuare imperterriti sulla stessa strada, rilanciando con questa buffonata di Putin che, una volta conquistata Kiev, invade pure i paesi Baltici?
Per capirlo, basta vedere le immagini dell’arrivo di Putin, giovedì scorso, negli Emirati Arabi Uniti: ad aspettarlo c’erano “il picchetto d’onore, bandiere russe ovunque, l’inno russo eseguito dall’orchestra, il saluto dell’artiglieria” sottolinea Ria Novosti, e anche gli aerei acrobatici che hanno disegnato una gigantesca bandiera russa nel cielo ; un’accoglienza un po’ diversa da quella che, pochi giorni prima, aveva trovato il presidente tedesco Stenmeier in Qatar. Se l’erano dimenticato; è rimasto lì ad aspettare per mezz’ora. I media occidentali hanno rosicato di brutto: “L’accoglienza disgustosamente sontuosa del despota Putin ha titolato il britannico Sun. “Vladimir Putin” scrive La Bretella Rampina sul Corriere della serva “umilia i suoi nemici con la tournée nel Golfo”; “tutto” rilancia Libero “per mandare all’Occidente una sorta di pernacchia metaforica”. Dopo il tour nel Golfo, Putin ha ricevuto a Mosca il presidente iraniano Raisi e, poche ore prima, era stato il turno del principe ereditario dell’Oman che, con Putin a fianco, avrebbe affermato di fronte alle telecamere che “L’ingiusto ordine mondiale dominato dall’Occidente deve finire”; “è necessario” ha continuato il principe “creare nuovi meccanismi per le relazioni internazionali che non impongano alcuna ideologia”. “Gli Stati Uniti” ha dichiarato Putin “hanno cercato di utilizzare la globalizzazione come strumento per garantire il proprio dominio nel mondo”; “ora, tuttavia” ha continuato “il vecchio modello con un processo drammatico e irreversibile sta per essere sostituito da un nuovo ordine multipolare”. E la Russia darà il suo contributo per la creazione di un nuovo modello economico globale veramente democratico, basato sulla concorrenza leale tra tutti gli attori. Il palcoscenico era il forum annuale organizzato da VTB Bank: seconda banca del paese, a quest’ora si sarebbe dovuta ritrovare in ginocchio a causa delle sanzioni; nel 2023 registrerà i profitti più alti della sua storia. Bene, ma non benissimo, diciamo.

E ora una brevissima interruzione pubblicitaria: i nostri media provano a fuggire a questo destino – che per i loro editori è drammatico e irreversibile – cercando di cambiare retroattivamente la storia: mi sa che servirebbe un media che la storia cerca di capirla per quello che è per evitare di farsi prendere sempre e solo a sberle per l’eternità. Per costruirlo, serve un editore un po’ diverso: tu; aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è… Spe’ che sono emozionato, che non lo dicevo da tanto…
E chi non aderisce è Nathalie Tocci

[LIVE MONDOCINA] La controffensiva palestinese vista da Pechino

Diretta streaming del 09/10/2023 ore 13.30 – Contro il logorio della vita moderna, all’ora di pranzo fai un break con OttolinaTv!
Cerca di capire insieme a noi che intenzioni ha l’unica grande potenza responsabile del pianeta per evitare che la democrazia israeliana democraticamente provi a sterminare definitivamente i palestinesi.
Con noi oggi due graditissime new entry che da oggi in poi faranno parte della famiglia di MondoCina: Michele Gelato e Alessandro D’Angelo da Shenzhen. Altri due zuzzurelloni che hanno preso alla lettera il classico invito degli analfoliberali (“si vi piace la Cina, perchè non ci andate a vivere?”) assieme al sempre presente Davide Martinotti di Dazibao.

La controffensiva palestinese: come Hamas ha asfaltato il mito dell’invincibilità di Israele

Contessa sapesse, gli schiavi hanno osato addivittuva vibellavsi
Questa, in estrema sintesi, la reazione dei media occidentali ai fatti di Gaza di sabato scorso; di tutti, all’unisono, a partire da quelli che negli ultimi due anni hanno provato a infinocchiare la maggioranza silenziosa pacifista e democratica sollevando qua e là qualche critica alla guerra per procura della NATO contro la Russia in Ucraina.

Gli amici della sinistra distruggono Israele”, titolava ieri ad esempio la Verità; “ci siamo svenati per Kiev, ora che faremo con l’unica democrazia dell’area?”

La realtà ovviamente è che destra e sinistra, che ormai sono solo etichette che svolgono una funzione di puro marketing per spartirsi il mercato elettorale, fanno finta di dividersi sulle cazzate, ma tutte insieme appassionatamente sostengono senza se e senza ma un regime di apartheid fondato sull’occupazione militare e la discriminazione su base etnica, e lo fanno a partire dall’assunto condiviso che la comunità umana è divisa in due categorie: gli uomini liberi, e i sub-umani, gli unter-mensch, come li definivano i nazisti. La differenza, rispetto ad allora, consiste nella definizione di chi appartiene all’una o all’altra categoria e nella retorica ideologica con la quale si cerca di legittimare ogni forma di violenza e sopruso: dalla pagliacciata antiscientifica della teoria della razza, alla pagliacciata della retorica democratica.

Da questo punto di vista il suprematismo bipartisan contemporaneo altro non è che una nuova declinazione del nazifascismo che, nel frattempo, ha preso qualche lezione di galateo e che ha incluso tra le sue fila una nuova piccola minoranza che prima era stata esclusa.

Son progressi.

Anche nelle modalità attraverso le quali si esercita questo dominio violento degli umani sui subumani non si possono non registrare alcuni importanti progressi: ai vecchi campi di concentramento, organizzati scientificamente per lo sterminio senza se e senza ma, si è sostituita una forma moderna di campi di concentramento democratici e progressisti, dove i reclusi sono lasciati liberi anche di sopravvivere. Se ci riescono: in un’area che è circa un quarto di quella del solo comune di Roma, nella striscia di Gaza oltre 3 milioni di persone vivono recluse per la stragrande maggioranza con meno di due dollari al giorno di reddito. La mistificazione della realtà però in queste ore ha raggiunto un nuovo livello: “Ai residenti di Gaza dico”, ha scritto Netanyahu su twitter, “andatevene adesso, perché opereremo con la forza ovunque”.

Eh, è ‘na parola; come in ogni buon campo di concentramento che si rispetti, infatti, i residenti di Gaza sono a tutti gli effetti prigionieri, e “andarsene”, molto banalmente, non gli è concesso.

Come denuncia da mesi Save the children, manco per andarsi a curare.

E non dico in Israele: manco negli altri territori palestinesi, manco se sono bambini, manco se rischiano la vita. “Nel solo mese di maggio”, si legge in un comunicato della pericolosa organizzazione bolscevica Save the children pubblicato lo scorso settembre, “quasi 100 richieste per bambini ammalati presentate alle autorità israeliane sono state respinte o lasciate senza risposta”. Tre sono morti solo quel mese. “Tra questi, un bambino di 19 mesi con un difetto cardiaco congenito e un ragazzo di 16 anni affetto da leucemia”.

La Verità, Repubblica e Pina Picierno del PD però c’avevano judo e si sono dimenticati di denunciarlo

Adesso, si rifanno con gli interessi: “L’Europa è con Israele e il suo popolo”, ha affermato la vicepresidente piddina del parlamento europeo. “La sua lezione di libertà e progresso”, ha sottolineato con enfasi, “non sarà spenta dalla violenza e dalla barbarie”.

L’apartheid come lezione di libertà e progresso: dopo i neonazisti russi spacciati come partigiani, i nazisti vecchio stile ucraini acclamati come eroi nei parlamenti democratici e l’idea che non bisognava per forza essere nazisti per combattere contro l’Armata rossa durante la seconda guerra mondiale, il capovolgimento totale della realtà ad opera dei sacerdoti di quest’era di post verità può dirsi completamente compiuto. Li lasceremo fare senza battere ciglio?

Lo stato di Israele è fondato su un regime di apartheid. Lo è sempre stato, ma prima lo sostenevamo in pochi, i pochi militanti antimperialisti nell’occidente del pensiero unico suprematista e ovviamente tutti i leader che l’apartheid l’avevano combattuto davvero a casa loro: da Nelson Mandela a Desmond Tutu. Per tutti gli altri, era un tabù.

Oggi, però, non più; dopo decenni di tentennamenti, a chiamare le cose con il loro nome da un paio di anni ci s’è messa pure un’organizzazione umanitaria mainstream come Amnesty International. “L’apartheid israeliano contro i palestinesi”, si intitola un famoso report del febbraio del 2022, “un sistema crudele di dominio, e un crimine contro l’umanità”.

Sempre in prima linea a fare da megafono alle denunce di abusi contro i diritti umani in giro per il mondo per giustificare tentativi di cambi di regimi a suon di bombe umanitarie e svolte reazionarie in ogni paese non perfettamente allineato all’agenda dell’impero USA, pidioti e criptofascisti di ogni genere, quando è uscito questo rapporto, erano curiosamente tutti assenti.

Poco male: anche fossero stati seduti buoni ai primi banchi, non lo avrebbero capito.

Quella che definiscono ossessivamente come “l’unica democrazia del Medio Oriente” infatti, in realtà, è sin dalle sue origini nient’altro che un progetto coloniale, come lo definiva esplicitamente Theodore Herzl stesso, il padre nobile del sionismo, e affonda le sue radici nella pulizia etnica di massa della Nakba nel 1948, che ancora oggi costringe circa 6 milioni di palestinesi a vivere in una miriade di miserabili campi profughi sparsi in tutta la regione.

Nella striscia di Gaza è un apartheid al cubo: più propriamente, infatti, si tratta del più grande carcere a cielo aperto del pianeta, come lo ha definito ormai quasi 15 anni fa lo stesso premier britannico David Cameron.

D’altronde, è una cosa abbastanza visibile: i confini terrestri di Gaza infatti sono interamente ricoperti da una doppia recinzione in filo spinato, con un’area cuscinetto nel mezzo totalmente presidiata da forze armate israeliane che, di tanto in tanto giusto per ammazzare un po’ il tempo, si dilettano nel tiro al bersaglio direttamente oltre il confine. Come quando – come dimostrato da un’indagine condotta da una commissione internazionale indipendente nominata dalle Nazioni Unite – nell’arco di tutto il 2018 presero di mira le proteste note col nome di grande marcia che si svolgevano settimanalmente proprio per chiedere la fine dell’assedio di Gaza: in tutto, ferirono oltre 6000 persone e ne uccisero 183, compresi 35 bambini.

E come sottolinea il sempre ottimo Ben Norton, essendo Gaza a tutti gli effetti una prigione a cielo aperto, “in base al diritto internazionale, hanno il diritto riconosciuto dalla legge alla resistenza armata”: il riferimento in particolare è una risoluzione dell’ONU del 1977 approvata da una schiacciante maggioranza dei paesi presenti che, proprio relativamente alla causa palestinese, riconosce esplicitamente “la legittimità della lotta popolare per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e dalla sottomissione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”.

La retorica suprematista dei sacerdoti del dominio dell’uomo libero sui subumani oggi non potrebbe apparire più ridicola e infondata. Come per l’Ucraina, pidioti e criptofascisti si accorgono di una guerra sempre e solo quando arriva. Sono gli uomini liberi a subire una sconfitta da parte dei subumani e, a questo giro, la sconfitta è stata eclatante, clamorosa.

Dotato dei servizi segreti più efficienti e spregiudicati del pianeta e di un apparato militare ultramoderno e ipersofisticato, adeguatamente addestrato in oltre settant’anni di feroce occupazione militare e di militarizzazione totale del territorio, l’invincibile gigante israeliano ha subìto una ferita difficilmente rimarginabile da parte degli ultimi tra gli ultimi. Se in Ucraina il suprematismo del nord globale è stato messo davanti alla sua impotenza di fronte alla determinazione di uno stato sovrano, considerato fino ad allora nient’altro che un pigmeo economico pronto a crollare su se stesso da un momento all’altro, in Israele ieri lo choc è stato di un ordine di grandezza superiore, tanto superiore quanto superiore era la sproporzione tra le forze in campo.

Mentre scriviamo questo pippone, il bilancio delle vittime israeliane supererebbe le 650 unità: non ci è possibile verificare le informazioni, ma secondo Ramallah News, mentre gli israeliani parlano di liberazione degli insediamenti conquistati da Hamas, in realtà le forze palestinesi continuerebbero ad avanzare e i territori ad est di Gaza sarebbero soltanto una delle linee del fronte.
Secondo quanto riportato da Colonelcassad, i palestinesi avrebbero bruciato un posto di blocco all’ingresso di Jenin, e in Cisgiordania molti temono possa esplodere finalmente la tanto paventata terza intifada di cui si parla ormai da tempo.
Secondo poi quanto riportato da Middle East Eye, i palestinesi con cittadinanza israeliana si starebbero preparando per respingere gli attacchi annunciati dai gruppi dell’estrema destra sionista.
A nord, al confine col Libano, si intensificano gli scontri con Hezbollah che, secondo quanto riportato da Al Jazeera, rivolgendosi ai ribelli palestinesi avrebbe dichiarato che “la nostra storia, le nostre armi e i nostri missili sono con voi”.
E le ripercussioni del conflitto sarebbero arrivate addirittura fino ad Alessandria di Egitto, dove un agente di polizia avrebbe aperto il fuoco contro due turisti israeliani, uccidendoli.

Il gabinetto politico-militare israeliano ha ufficialmente decretato lo stato di guerra per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur, della quale si celebra proprio in queste ore il cinquantesimo anniversario, e sono in corso evacuazioni sia nell’area che circonda Gaza che a nord, al confine con il Libano.

A confermare che, a questo giro, per il gigante israeliano potrebbe non trattarsi esattamente di una gita di piacere, ci sarebbero poi le dichiarazioni di Blinken, secondo il quale Israele avrebbe richiesto nuovi aiuti militari. Probabilmente quando leggerete questo articolo, sapremo già qualcosa di più su questo aspetto. Qualsiasi siano i dettagli però, un punto è chiaro: la resistenza di un gruppo di militanti che vivono in carcere da 15 anni ha costretto una delle principali potenze militari del pianeta a chiedere aiuto. Non so se è chiaro il concetto.

A complicare ulteriormente la faccenda, la questione degli ostaggi: il Guardian parla di oltre 100
e di qualche nome eccellente
. Un altro elemento inedito e un deterrente importante; abituati a combattere una guerra totalmente asimmetrica, gli israeliani non digeriscono molto facilmente qualche perdita tra le loro fila. L’esempio che salta subito alla mente è quello di Gilad Shalit: carrista israelo-francese, venne rapito da Hamas nel 2006 e 5 anni dopo, pur di ottenere il suo rilascio, il governo israeliano fu costretto a concedere la liberazione di addirittura 1000 prigionieri politici.

Insomma, a questo giro potrebbe non trattarsi semplicemente di un gesto disperato dall’esito scontato compiuto da avventurieri che non hanno niente da perdere, anche perché si inserisce in un contesto globale piuttosto incandescente, diciamo così, dove molto di quello che piace alla propaganda suprematista e che fino a ieri davamo per scontato, scontato comincia a non esserlo poi più di tanto.
Inquadrare dal punto di vista geopolitico quanto successo in questi due giorni al momento potrebbe rivelarsi un po’ ozioso e infondato; limitiamoci per ora quindi a sottolineare alcuni aspetti e a porci qualche domanda.

Il mio primo pensiero, ovviamente, è andato ai sauditi. A nostro modesto avviso, infatti, la riapertura dei canali diplomatici con l’Iran avvenuta sotto la sapiente mediazione cinese, e addirittura l’adesione a un organo multilaterale come i BRICS+, proprio fianco a fianco con l’Iran, è probabilmente il singolo evento geopolitico in assoluto più importante di questo intero anno, la cui portata, però, continua ad essere messa a dura prova dall’apertura che i sauditi sembrano aver fatto ad USA e Israele in direzione della loro adesione al famigerato accordo di Abramo. Che però appunto continua a faticare a concretizzarsi proprio a causa del nodo della questione palestinese.

Tweet del ministero esteri Saudita

Il mio primo pensiero è stato: e se l’obiettivo di Hamas fosse proprio impedire il concretizzarsi di questa fantomatica nuova distensione? Ovviamente la risposta non la sappiamo; questo però è il comunicato ufficiale del ministero degli esteri saudita a poche ore dall’inizio dell’operazione Diluvio di Al-Aqsa.
I sauditi parlano di “situazione inedita tra numerose fazioni palestinesi e le forze di occupazione israeliane”, quindi, da una parte numerose fazioni e dall’altra forze di occupazione.
Sempre i sauditi ricordano “i numerosi avvertimenti di pericolo di esplosione della situazione come risultato dell’occupazione, la negazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese e le sistematiche provocazioni contro i loro luoghi di culto”.
“Il reame”, conclude il comunicato, “rinnova l’appello alla Comunità Internazionale ad assumersi le sue responsabilità e ad attivare un processo di pace credibile che conduca alla soluzione dei due stati per raggiungere pace e sicurezza per tutta l’area e proteggere i civili”.
Nessuna condanna dell’azione di Hamas. Manco l’ombra. Non so se alla Casa Bianca l’abbiano presa proprio benissimo, diciamo.

L’altro aspetto è appunto la posizione degli USA e di questo strano annuncio sull’estensione degli aiuti militari perché che Israele ne abbia bisogno per combattere la guerriglia di Hamas, o anche di Hezbollah, sembra comunque piuttosto strano. E sopratutto: da dove se li tirerà fuori Biden i quattrini per finanziare un altro pacchetto di aiuti, quando giusto la settimana scorsa ha dovuto rinunciare a 6 miliardi di nuovi aiuti da inviare all’Ucraina?
Qualquadra non cosa, ma è decisamente troppo presto anche solo per speculare su cosa sia esattamente.
Proveremo a farlo in modo più fondato nei prossimi giorni perché è quello che un media indipendente può fare liberamente: osservare, riflettere, riportare.
A quelli a libro paga dell’imperialismo e delle oligarchie finanziarie, diciamo che gli risulta un po’ più complicato e saltano di puttanata suprematista in puttanata suprematista, senza soluzione di continuità, e senza temere contraddizioni e ribaltamenti della realtà.

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E chi non aderisce è Maurizio Belpietro.