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Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!
Le ex democrazie occidentali non son minacciate dall’esterno, ma dall’interno: dal potere oligarchico sempre più illiberale, dalla distruzione dello stato sociale, e della crisi demografica. Questa crisi interna si riversa all’esterno aumentando il caos internazionale e tentando le nostre elitè dal risolvere queste contraddizioni attraverso la guerra, come successo nella prima guerra mondiale. La cultura e l’economia neoliberista sono il sintomo di questo lento ma pericolosissimo declino.
Siamo sicuri che l’attuale unione europea a 27 sia l’istituzione giusta per affrontare queste sfide e governare questa transizione?
Il risveglio geopolitico dell’Europa: così l’aveva definito Josep Borrell subito dopo il deflagrare del conflitto Russo-Ucraino. Lo aspettavamo da tempo: sembrava arrivata l’ora per le sempre più deboli e irrilevanti nazioni europee di invertire finalmente questo declino e tornare ad essere protagoniste sul palcoscenico globale. Negli ultimi decenni infatti, rinunciando completamente a ogni forma di pensiero strategico, cullandosi in un torpore museale da fine della storia e puntando tutto su un’ inedita politica di “potenza dell’impotenza”, gli Stati europei hanno sistematicamente avvantaggiato i loro rivali strategici.
Purtroppo, però, a quasi due anni dallo scoppio della guerra, abbiamo avuto la conferma che le attuali classi dirigenti nazionali e comunitarie non sono in grado di attuare questo risveglio. A partire proprio dai più ferventi europeisti, che si vagheggiano sognanti di Stati Uniti d’Europa, ma alla prova dei fatti non fanno altro che rendere ogni giorno sempre più irreversibile la nostra sottomissione agli Stati Uniti d’America e alle loro oligarchi finanziarie. Ed ecco così che oltre all’irrilevanza sul palcoscenico internazionale, si accompagna inevitabilmente anche il declino delle condizioni di vita interne, a partire dell’impoverimento costante dalle classi medie-basse e dalla distruzione degli strumenti di Welfare conquistati nel 900.
Esiste un modo per invertire questa deriva?
Ai suoi albori, la costruzione europea era stata pensata come un processo di pacificazione tra Stati storicamente in guerra che avrebbe generato una dinamica virtuosa e una vocazione universale alla pace. Impegnandosi sulla via dell’unificazione e di una pace duratura, la pax europea sarebbe stata la premessa per la pax universalis. Gli stati europei, invasi e occupati durante la seconda guerra mondiale, appaltarono la propria sicurezza strategica agli Stati Uniti, abbandonarono apparentemente ogni retorica imperialista e svilupparono una mentalità prevalentemente economicista. Tuttavia, il nobile afflato alla pax-universalis, assolutamente fisiologico dopo due guerre mondiali, poggiava su alcuni difetti strutturali e molte ingenue illusioni. In primis, sebbene l’europa effettivamente abbia evitato conflitti fratricidi per qualche decennio, nel resto del mondo gli Stati hanno continuato a farsi la guerra, e a ragionare in termini di potenza e sfere di influenza. Inoltre, lo straniero che occupa gentilmente il nostro suolo con centinaia di basi militari e testate nucleari ha continuato e continua a ragionare in termini imperialistici, e non ha affatto abbandonato il linguaggio delle armi. La storia insomma è andata avanti e oggi, dopo un periodo di relativa calma dopo la guerra fredda, ci ritroviamo in una situazione di collasso delle economie nazionali, di smantellamento dello stato sociale a causa di attacchi ai debiti nazionali da parte delle speculazioni finanziare, e in un mondo sempre più conflittuale, dove numerosi Stati si stanno riorganizzando per mettere in discussione il vecchio ordine mondiale unipolare. Le istituzioni che rappresentano il diritto internazionale, vero capolavoro dello spirito politico filosofico europeo, stanno perdendo di efficacia, delegittimate dall’uso strumentale che ne è stato fatto in questi anni. Infine, negli ultimi trent’anni i pacifici stati europei hanno condotto o appoggiato guerre per la democrazia e bombardamenti umanitari nei Balcani, in Africa, in Medioriente e adesso anche in Europa orientale.
Spiace dirlo, ma spacciarci come i buoni e sofisticati europei che hanno capito che la pace è meglio della guerra, diventa sempre più difficile. Agli occhi del resto del mondo, in reltà non siamo altro che le ipocrite stampelle militari di un impero armato fino ai denti e con mire egemoniche. L’idea un’Europa priva di potenza e quindi potere decisionale si è quindi rivelata sbagliata e dannosa, e da questo fallimento deriva oggi l’esigenza di ripensare il fine dell’unificazione europea ai tempi del ritorno della “geopolitica”, capire che nuova forma possa assumere, e sulla base di quali principi. Questioni complesse ma di vitale importanza, che purtroppo avendo interiorizzato la mentalità dei servi che sperano solo nel prossimo pasto caldo, continuiamo a far finta che non ci riguardino. Una bella eccezione in questo senso è l’articolo La transizione geopolitica europea di Florian Louis, professore di storia alla Scuola di Alt studi di Scienze sociali di Parigi, pubblicato su Le grand Continent. Secondo Louis, sovranità strategica e cosmopolitismo in realtà possono coincidere, e pur tornando a pensare in maniera geopolitica gli europei non dovrebbero rinunciare al loro ethos pacifista e cosmopolita. Il rischio infatti è che l’aggravarsi delle fratture geopolitiche che contrappongono le grandi potenze ci conducano a un ripiego egoistico su noi stessi, impedendoci di operare di concerto su vitali interessi comuni come le migrazioni o il contrasto al cambiamento climatico.
“Per molti anni” si legge nell’articolo “l’errore degli Europei è stato pensare che il paradigma cosmopolita di cui essi stessi si reputavano l’incarnazione su scala regionale, avesse reso obsoleto il paradigma geopolitico. Se oggi hanno capito che non era così e che dovevano dotarsi dei mezzi per agire geopoliticamente in un mondo la cui evoluzione non si conformava alla loro visione irenica, ciò non deve spingerli a rinunciare all’esperienza cosmopolita acquisita, che è più che mai necessaria non solo all’Europa ma al mondo. In questo modo la transizione geopolitica Eruopea non sarà una rinuncia a ciò che siamo, ma un lucido superamento delle nostre debolezze al servizio della diffusione della nostra forza”.
Per quanto condivisibile, però, la proposta di Louis rischia di rivelarsi irrealizzabile, a meno che non vengano prima definite due questioni essenziali. Primo: che cosa si intende con Europa? quali nazioni comprende? E poi: siamo sicuri che l’attuale unione europea a 27 sia l’istituzione giusta per affrontare queste sfide e governare questa transizione? Ma il vero elefante nella stanza, in realtà, è ancora un altro: i rapporti con gli Usa. Teoricamente la lotta per l’indipendenza dagli Stati Uniti dovrebbe appassionare e metter d’accordo sia sovranisti che europeisti. I nord americani rappresentano infatti il principale ostacolo tanto per la riconquista della sovranità democratica delle singole nazioni europee, quanto per un’ipotetica Federazione, i tanto agognati Stati Uniti d’Europa, che potrebbero determinare la fine del dominio USA sul nostro continente.
A questo proposito, prendiamo atto con sconcerto che i più ferventi europeisti che parlano di questa utopica Federazione europea a 27 o più membri, sono solitamente anche i più convinti filoamericani. Alcuni sono evidentemente in malafede, altri invece cercano in tutti modi di autoconvincersi che questo è il migliore dei mondi possibili e che gli interessi dei nordamericani coincidano magicamente con i nostri.
Emblematiche in questo senso sono sempre le analisi della nostra amatissima Nathalie Tocci, la stratega preferita dalla propaganda filo-imperiale, che in un articolo pubblicato su La Stampa dal titolo Perché ci serve il gendarme Usa, arriva a scrivere: “Noi europei abbiamo vissuto nell’illusione di una pace perpetua. Ora siamo costretti a svegliarci di scatto e ci ritroviamo impreparati. La verità è che senza gli Stati Uniti, oggi l’Europa non sarebbe in grado di difendersi. […] Oggi che ci siamo svegliati non possiamo non ritenerci fortunati di far parte di un’Alleanza disposta a proteggerci.”
Il disegno dei padri fondatori europei era quello di un Europa democratica e sovrana capace di competere alla pari con le superpotenze del futuro e di trasmettere ideali di pace e cooperazione. Ma questa seconda giusta aspirazione non potrà mai essere raggiunta se non verrà prima riconquistata l’indipendenza e non verrò ridato un significato sostanziale alla parola democrazia. I giornali in questi giorni sono alle prese con il libro del generale Vannacci e gli Spot dell’Esselunga. Se anche tu vuoi fare la tua parte nel risvegliare dall’anestesia l’opinione pubblica italiana, supportaci nella costruzione di un media libero e indipendente:
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