Giangiacomo Feltrinelli e i GAP: il modello Al Qaeda per il movimento rivoluzionario
Si poteva fare la rivoluzione in Italia negli anni Settanta, sulla scia dei tentativi che negli stessi anni prendevano corpo in tante realtà del terzo mondo? Si poteva prendere la resistenza italiana come modello e aggiornarlo con la teoria dei focos di Che Guevara per una via italiana al socialismo diversa da quella teorizzata dal movimento operaio ufficiale? Che spazio avrebbe dovuto avere la lotta armata? Quali rischi, infine, c’erano nel nostro paese che la reazione alle lotte operaie prendesse la strada diretta del colpo di Stato? Tutte domande che oggi sembrano fuori dal tempo, ma che in realtà non furono pochi a porsi a partire dall’autunno caldo. Forse il primo a porsele in maniera seria fu l’editore Giangiacomo Feltrinelli, che a questi dubbi dette un seguito organizzativo con la fondazione dei Gruppi di azione partigiana (GAP).
I GAP furono attivi a partire dai primi mesi del 1970 quando Feltrinelli intraprese la strada dell’irreperibilità, se non della clandestinità vera e propria, in seguito al tentativo da parte della magistratura di coinvolgerlo nella strage di piazza Fontana. Sul finire degli anni Sessanta, infatti, l’editore – parallelamente alla denuncia del pericolo di un golpe reazionario in Italia – finì sempre più nel mirino delle forze dell’ordine e della magistratura che tentarono di coinvolgerlo sia nelle bombe della primavera del 1969, sia nella strage di piazza Fontana. Il nome di Feltrinelli cominciò a circolare con insistenza negli uffici di questure e tribunali: il 4 dicembre 1969 venne interrogato per l’attentato del 25 aprile alla Fiera di Milano e inquisito per favoreggiamento dei presunti responsabili e, poco dopo, venne coinvolto anche nelle indagini sulla strage del 12 dicembre. Seppure in forme diverse da quanto immaginato dalla magistratura, in effetti Feltrinelli aveva preso molto seriamente, muovendosi di conseguenza, il pericolo di un colpo di Stato; l’editore percepì il pericolo concreto e reale di una deriva a destra del Paese e – probabilmente – lo percepì in modo più acuto di altri, tanto da pensare che, in caso di golpe, sarebbe stato uno dei primi a essere arrestato – sarebbe stato il primo della lista, citando un film di Roan Johnson: una componente non di poco conto nelle motivazioni che spinsero Feltrinelli alla fondazione dei GAP.
Per farci capire cosa fossero i GAP lo storico Davide Serafino ha ripescato la testimonianza inedita di un ex GAPpista mai identificato, Vittorio Battistoni, che ebbe un ruolo solo apparentemente secondario (fondamentalmente era un tecnico che si occupava, tra le varie cose, di congegni ed esplosivi), ma in realtà di primaria importanza per una formazione come quella dei GAP e che lavorò a stretto contatto con Feltrinelli fino alla mattina del 14 marzo 1972, quando Feltrinelli trovò la morte mentre maneggiava, appunto, l’esplosivo per un attentato. I GAP non ebbero mai una struttura solida e ben organizzata: i vari nodi locali in cui erano articolati presentarono caratteristiche molto diverse tra loro sia nel tipo di militanti, sia nelle pratiche, sia nei compiti svolti, sia – in parte – anche nell’orizzonte politico, in cui gli aspetti tardo resistenziali e fuochisti sul modello sudamericano convivevano con aspetti più moderni, legati alla guerriglia nelle metropoli sul modello brigatista. Dal punto di vista strettamente organizzativo i GAP ebbero una struttura reticolare, composta da nodi locali che facevano capo a un nodo centrale, rappresentato da Feltrinelli e della stretta cerchia dei suoi collaboratori; ma la rete GAPpista rappresentò qualcosa di più ampio e articolato, e coinvolse certamente un numero maggiore di militanti rispetto a quanto si è sempre pensato – e rispetto a quanto avrebbe scoperto la magistratura.
I GAP furono presenti a Genova con un’importante diramazione nella cittadina di Chiavari, da cui proveniva anche lo stesso Battistoni; poi a Milano, a Trento, a Torino e in Toscana (anche se su quest’ultima realtà le informazioni sono frammentarie) e, per molti versi, appare verosimile – almeno nei suoi caratteri generali – l’opinione di uno dei principali collaboratori di Feltrinelli, cioè l’ex partigiano Giambattista Lazagna, secondo cui i GAP erano una sigla universale utilizzata da Feltrinelli per i gruppi clandestini a lui collegati, che poi l’editore cercò di dotare di una strategia comune. Il modello di Al Qaeda applicato alla rivoluzione socialista, insomma. Il nodo GAPpista più importante, variegato e complesso fu quello genovese, che coinvolse militanti provenienti da esperienze molto diverse: vi era l’area resistenziale, composta da ex partigiani genovesi e piemontesi, tra cui vi erano Lazagna – legato a Feltrinelli anche da un rapporto di fiducia e di amicizia personale – e alcuni militanti del Gruppo 22 ottobre, come Rinaldo Fiorani, che presero parte alle attività sia del gruppo di piazzale Adriatico sia dei GAP, tanto che le due realtà, a un certo punto, parvero confondersi in un gioco di specchi l’una con l’altra.
Il peso del passato resistenziale di Genova e i riferimenti politici e culturali a una tradizione comunista e, più genericamente, laica e di sinistra, molto radicata nel territorio, ebbero un ruolo importante nella nascita e nello sviluppo dei GAP nel capoluogo ligure; a Genova fu determinante non solamente la tradizione resistenziale propriamente detta – cioè quella legata alla Resistenza del 1943-45 – ma anche quella legata ai fermenti che si erano sviluppati intorno all’idea di Resistenza tradita: nella scelta di coloro che presero parte al Gruppo 22 ottobre e ai GAP, un ruolo di primo piano lo ebbero, infatti, anche il ricordo degli scioperi del 1944 contro l’occupazione tedesca, le mobilitazioni in occasione dell’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, alcuni importanti momenti di lotta che avevano attraversato le fabbriche genovesi nel dopoguerra quando gli operai, in risposta a chiusure e licenziamenti, erano arrivati anche a lunghe occupazioni e, soprattutto, i giorni di giugno-luglio 1960 quando Genova era insorta contro il governo Tambroni.
Quella resistenziale, però, non fu l’unica componente dei GAP genovesi: ve ne fu un’altra, non meno importante, che era legata ai circuiti culturali, intellettuali e universitari cittadini; questa componente è quella meno nota, anche perché buona parte dei militanti che provenivano da questa area non venne mai coinvolta – o lo fu solo di striscio – dalle inchieste giudiziarie, ma ebbe un ruolo importante nella costruzione della rete GAPpista. In Liguria era poi attivo, oltre al nodo genovese, anche quello di Chiavari (composto, secondo Battistoni, da lui stesso, dal medico Emilio Perissinotti e da altri compagni) che non fu solamente una succursale del primo, ma ebbe un ruolo e una funzione a sé stanti. Infine, a riprova della ramificazione e della complessità della rete GAPpista ligure, vi era la componente sottoproletaria del Gruppo 22 ottobre che, a un certo punto, sintonizzò la propria attività con quella dei GAP veri e propri. Nel capoluogo ligure i GAPpisti furono più attivi che altrove anche a causa di una presenza meno ingombrante dell’area della sinistra rivoluzionaria, che fu una realtà più marginale rispetto a quelle di città come Torino, Milano, Roma e Padova, capaci anche di esprimere alcuni dirigenti nazionali di gruppi come Lotta continua o Potere operaio. A Trento, nella costruzione della rete GAPpista fu determinante la presenza di Lc e, ancora di più, di un grande veicolo di modernizzazione come fu l’Istituto di Sociologia: buona parte dei militanti GAPpisti, infatti, era vicina a Lotta continua, gruppo con cui, in realtà, Feltrinelli – a livello nazionale – non ebbe mai grandi rapporti.
La rete GAPpista milanese fu ancora diversa da quella genovese e trentina e, probabilmente, subì più di altre la presenza invadente delle Brigate rosse. I GAP milanesi cercarono – e in parte raccolsero – adesioni non tanto nelle fabbriche, dove non avevano alcun peso, ma nei cantieri edili, dove i lavoratori (operai a tutti gli effetti, ma non i tipici operai – massa) vivevano condizioni di precarietà e di sfruttamento persino maggiori e soprattutto nei quartieri proletari: una componente operaia, quindi, fu presente nella rete milanese, ma l’incontro non avvenne tanto nelle fabbriche, quanto nei quartieri operai. I GAP, di fatto, nacquero a piazza Tirana, nel quartiere Giambellino, dove i confini tra proletariato, sottoproletariato, proletariato extra – legale e circuiti della mala erano molto più sfumati e permeabili. Nella rete GAPpista milanese, poi, ebbe un peso anche la componente legata a Potere operaio e a Lavoro illegale: questa componente fu preponderate nel nodo comasco dei GAP, composto essenzialmente da militanti di Po come Francesco Cecco Bellosi, a cui si aggiunsero alcuni compagni legati alla realtà del piccolo contrabbando transfrontaliero con la Svizzera. La rete comasca fu essenziale dal punto di vista operativo e logistico non solamente per i GAP, ma per tutte le altre realtà rivoluzionarie, per il reperimento di armi e, soprattutto, per la capacità di attivare velocemente canali di fuga sicuri per i militanti che per vari motivi dovevano allontanarsi dall’Italia. Come anticipato, i GAP ebbero anche alcune diramazioni a Torino e in Piemonte – probabilmente legate a singoli militanti piemontesi che militavano in Lc a Trento – e in Toscana, dove il nesso con la rete GAPpista era rappresentato dai legami, risalenti alla fine degli anni Sessanta, di Feltrinelli con alcuni circoli anarchici locali. Battistoni, ad esempio, ha raccontato di aver destinato una parte dell’esplosivo (frutto di un esproprio a un cantiere stradale) ad alcuni compagni che volevano usarlo per un attentato alla base americana di Camp Darby. Alcuni GAPpisti, poi, furono presenti anche a Roma dove fecero un’interferenza sul modello di Radio GAP, ma è probabile che questi, più che GAPpisti veri e propri, fossero i militanti delle strutture illegali di Po – come Morucci – che erano in contatto e dialogo diretto con l’editore e di cui colsero alcune suggestioni, come quella della radio clandestina. Infine, è probabile che la rete GAPpista contasse anche alcuni contatti in Emilia-Romagna: Battistoni ha raccontato di alcuni viaggi con l’editore a Bologna, dove i GAP avevano alcune cascine (anche se su questa componente di secondo piano della rete GAPpista non abbiamo molte altre informazioni). Diverso ancora fu il ruolo della Sardegna, dove non fu mai attiva una vera e propria brigata GAP locale, ma una serie di contatti – militanti legati più al mondo dell’indipendentismo che all’area anarchica e socialista in senso stretto – con cui l’editore, nel periodo precedente alla costruzione della rete GAPpista, aveva vagheggiato alcuni progetti di ampio respiro che non andarono in porto. Diversa cosa fu, invece, il contributo che diedero alcuni lavoratori sardi emigrati, come Giuseppe Saba, alla costruzione del progetto GAPpista.
Le varie brigate GAP furono realtà molto diverse tra loro, ebbero ruoli differenti e non svolsero gli stessi compiti; non si mossero sempre in maniera coordinata: contribuirono in maniera variabile al programma politico dell’editore e, tutt’oggi, risultano difficilmente omogeneizzabili in un unico grande gruppo di azione partigiana, tanto che appare più opportuno, per l’appunto, parlare di rete GAPpista, pronta ad attivarsi in caso di golpe e pronta a compiere azioni armate. Una rete che rappresentò un progetto politico complessivo – già delineato negli aspetti più generali – e, al contempo, l’infrastruttura ideale e reale su cui si muoveva la strategia rivoluzionaria globale dell’editore. La natura reticolare e fluida dei GAP, per certi versi, pare anticipare alcuni gruppi armati movimentisti sorti dopo il Settantasette, e sembra spiegare anche perché diversi di coloro che ne fecero parte non sarebbero mai stati sfiorati dalle indagini e, in seguito allo shock per la morte dell’editore, sarebbero riusciti a ritirarsi senza troppi rischi a vita privata. La storia dei GAP, indubbiamente, fu anche la storia del loro fondatore, Giangiacomo Feltrinelli, ma fu anche la storia di una rete – un network si direbbe oggi – di militanti e di compagni di viaggio più o meno duraturi e, più in generale, di contatti che ruotavano intorno alla figura dell’editore.
La storia dei GAP – inevitabilmente – incrociò anche la storia delle più importanti formazioni del periodo, come Potere operaio e le Brigate rosse, con cui i GAP ebbero rapporti, scambi di informazioni, di materiali e di armi. La ricostruzione delle vicende GAPpiste consente di sottrarre la figura dell’editore al cliché del miliardario folgorato sulla via di L’Avana, del ricco mecenate della rivoluzione, e prova a rendere giustizia non solamente alla figura di Feltrinelli militante politico, ma anche a quella di coloro che scelsero di collaborare con lui. Le azioni compiute dai GAP furono, essenzialmente, sabotaggi variamente declinati: contro i cantieri delle morti bianche, contro coloro che erano considerati i finanziatori del golpe, contro i tralicci dell’alta tensione. Gli attentati ai tralicci dell’Enel – come quello di Segrate in cui Feltrinelli perse la vita – secondo il racconto dell’ex brigatista Alberto Franceschini sarebbero serviti a combattere il fanfascismo, termine coniato da Lc nel 1971 che individuava in Fanfani il punto di riferimento di una svolta autoritaria, e a colpire il politico democristiano il cui governo, nel dicembre del 1962, aveva nazionalizzato l’energia elettrica e istituito l’Enel: il progetto di interrompere l’afflusso di energia elettrica su vasta scala attraverso più attentati coordinati tra loro, avrebbe non solamente causato un blackout di grande impatto scenografico, ma avrebbe concretamente bloccato le attività produttive causando un danno notevole alle imprese, e avrebbe assunto i caratteri di un sabotaggio su grande scala (si pensi, ad esempio, all’impatto che avrebbe potuto avere un blackout in concomitanza con uno sciopero o una manifestazione). I GAP milanesi attuarono una serie di azioni per far passare a livello di massa la pratica del sabotaggio: l’obiettivo era colpire il settore con la maggior percentuale di omicidi bianchi e di infortuni sul lavoro, quello dei cantieri edili; il progetto era quello di distruggere i mezzi, gli scavatori, le betoniere e i camion. Osvaldo, uno dei nomi di battaglia di Feltrinelli, partecipò direttamente alle azioni notturne nei cantieri. Gli attentati furono rivendicati dalla brigata GAPpista Valentino Canossi, nata tra piazza Tirana, nel quartiere Giambellino, e il vicino Lorenteggio.
Ma Feltrinelli provò a rivoluzionare anche la controinformazione: lo fece attraverso Radio GAP, una radio clandestina che effettuava interferenze televisive per lanciare messaggi politici e rivendicare attentati, realizzata circa sei – sette anni prima delle primissime radio libere e almeno una decina di anni prima rispetto alle televisioni private. In un periodo in cui gli strumenti di comunicazione politica erano soprattutto i volantini, gli opuscoli e le riviste, l’idea di Radio GAP fu una notevole intuizione dell’editore che, sul momento, non venne pienamente compresa. L’ex GAPpista Battistoni ha conservato la prima Radio GAP originale, che consisteva in un alimentatore e in un trasmettitore – collegati alla batteria di un’automobile – recuperati da vecchi carri armati della seconda guerra mondiale; oltre a questo, Battistoni ha conservato alcune audiocassette con registrati i messaggi delle interferenze. Questo trasmettitore venne usato per la prima volta a Genova con la voce di Feltrinelli e poi venne adoperato decine di altre volte dallo stesso Battistoni e da altri GAPpisti. Vi furono poi altre Radio GAP che realizzarono interferenze a Genova, a Milano, a Trento e a Roma: queste radio arrivano in Italia dalla Germania attraverso una rete GAPpista che agiva nel Nord Italia in collaborazione con alcuni militanti di Lavoro Illegale, la struttura clandestina di Potere operaio.
Come anticipato, la mattina del 14 marzo 1972 – il giorno dell’attentato di Segrate – l’ex GAPpista Battistoni si incontrò con l’editore, e questo incontro pare mettere fine alle tante dicerie sulla morte di Feltrinelli che, indubbiamente, morì compiendo quello che riteneva essere il proprio dovere di rivoluzionario. Il gruppo non sopravvisse al proprio fondatore e i suoi militanti andarono incontro a destini differenti: chi si avvicinò alle nascenti formazioni armate (soprattutto alle Brigate rosse), chi si avvicinò ai gruppi della sinistra rivoluzionaria o alle strutture della sinistra tradizionale e infine chi, scosso dalla morte di Feltrinelli, si ritirò a vita privata, come – per l’appunto – Battistoni.