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Kiev fallisce la nuova offensiva su Kursk, i russi contrattaccano: cosa è andato storto? ft. Francesco dall’Aglio

Ancora una volta Zelensky cerca una vittoria politica lanciando una mini offensiva in territorio russo, puntando sulla centrale nucleare di Kurčatov e sulla città di Kursk. Qualcosa però va storto e i russi accelerano la pressione sulla regione, liberando alcuni insediamenti e avvicinandosi sempre più a Sudzha. Con il nostro Francesco dall’Aglio cercheremo di capire cosa sta succedendo sui fronti, dove le truppe russe mantengono saldamente l’iniziativa.

Dario Fabbri: “la Russia sta stra-perdendo”… ma di cosa parla?

video a cura di Davide Martinotti

Secondo Dario Fabbri, sul piano tattico la guerra la sta vincendo la Russia, ma sul piano strategico la Russia sta straperdendo, non solo perdendo. La Russia oggi è tremendamente dipendente dalla Cina. Un esempio su tutti riportato da Fabbri: da qualche anno nelle carte del ministero degli esteri cinese c’è la translitterazione degli ideogrammi dei toponimi siberiani con termini che erano manciù… Prima la translitterazione dei nomi delle città come Vladivostok o Novosibirsk erano prese dal russo, mentre ora il nuovo nome è tratto dal mancese, perché quelle città sono state fondate dai mancesi. Ciò che Pechino sta dicendo a Mosca è che le città della Siberia sono città mancesi, ma fino a 20 anni fa tutto questo era impensabile”. C’è qualcosa di vero in tutto questo? Ne parliamo in questo video!

Trascrizione

Come la Finanza USA si sta arricchendo a dismisura con le tue bollette – ft. Alessandro Volpi

Quando all’inizio del 2022 la speculazione aveva spinto il prezzo del gas a decuplicare nell’arco di poche settimane, per placare la rabbia popolare i governi europei avevano promesso di smontare i meccanismi che permettevano a una manciata di squali della finanza di arricchirsi a dismisura sulla pelle di aziende e famiglie; poi la crisi è parzialmente rientrata e le promesse sono cadute, come sempre, nel dimenticatoio. Oggi siamo nel mezzo di un’altra crisi energetica e i nodi tornano al pettine: gli USA, oltre a banchettare sul cadavere dell’Europa imponendo la sostituzione del gas russo più economico e pulito con quello USA più costoso e inquinante, stanno nuovamente riempiendo le tasche delle loro oligarchie finanziarie attraverso la speculazione sui derivati contrattati ad Amsterdam. Ne abbiamo parlato col capo assoluto della crociata contro la rapina generalizzata della grande finanza, il nostro mitico Alessandro Volpi.

Putin ha vinto la guerra? Zelensky abbandona il Titanic! – ft. Alberto Fazolo

Torna il consueto appuntamento del sabato con Alberto Fazolo e Gabriele Germani per parlare di situazione sul campo in Ucraina, discutendo le mappe e le nuove armi mostrate da Kiev. Al netto degli avanzamenti tecnici, il conflitto volge sempre più marcatamente a favore di Mosca, preparando il terreno per delle trattative Putin-Trump molto interessanti. Non mancano delle tensioni, proprio a seguito di questo fracasso, nel fronte occidentale.

Marxismo in Cina e la via cinese al socialismo

Video a cura di Davide Martinotti

Cheng Enfu, tra i maggiori esponenti del marxismo cinese e internazionale, promotore e animatore – con riviste e forum internazionali – della più importante comunità marxista mondiale, raccoglie diversi saggi scritti negli ultimi decenni. Preceduto da un importante saggio su dieci punti di vista sul marxismo, questo corposo libro si snoda attraverso 7 capitoli a loro volta suddivisi in diverse sezioni:
1. Il moderno sistema economico della Cina;
2. L’economia cinese nel quadro di una Nuova Normalità;
3. I cinque nuovi concetti di sviluppo della Cina;
4. La riforma del sistema di distribuzione cinese;
5. Riforma del rapporto tra mercato e governo in Cina;
6. L’apertura graduale del mercato finanziario interno in Cina;
7. L’apertura dell’economia cinese.

Il mito del dollaro: come lo strumento dell’egemonia USA si è trasformato in una trappola mortale

La dittatura del dollaro è bella, ma, alla lunga, fa male: è questa, in soldoni, la tesi di fondo del nuovo pamphlet di Ottolina Tv scritto a 4 mani da Vadim Bottoni e dal nostro direttore Giuliano Marrucci e dedicata, come recita il sottotitolo, alla storia dell’ascesa (prima) e del declino (poi) dell’arma per eccellenza che ha permesso negli ultimi 50 anni agli USA di imporre la loro egemonia su tutto il pianeta. “Un instant book pensato da tempo” come lo definisce argutamente il sempre ottimo Alessandro Volpi nella prefazione; il testo infatti, sottolinea sempre Volpi, prende le mosse da una serie di episodi recentissimi, a partire dal vertice BRICS di Kazan, “ma li inserisce in un contesto di lungo periodo”, che è esattamente l’idea che sta alla base dei pamphlet di Ottolina Tv: fissare periodicamente gli elementi strutturali che emergono dal lavoro quotidiano di analisi e di approfondimento che come redazione facciamo a partire dalla cronaca, da un lato per cercare di dotarci degli strumenti che ci permettono di dare un ordine all’infinita serie di eventi epocali e solo apparentemente caotici che accadono continuamente sotto il nostro naso, dall’altro per sottoporre continuamente alla prova dei fatti i principi generali che pensiamo di aver individuato. Da questo punto di vista, questo pamphlet sul Mito del Dollaro è la continuazione ideale di quello precedente sulla Riscossa Multipolare, nel quale il Marrucci aveva provato a ricostruire perché attraverso la dittatura del dollaro gli USA erano riusciti a superare la crisi strutturale degli anni ‘70, a permettere alla grande borghesia internazionale di vincere a mani basse la lotta di classe contro il lavoro e il 99% e a rafforzare la sua egemonia durante tutta la fase gloriosa della globalizzazione neoliberista; con questo volume i nostri due autori ricostruiscono invece le gigantesche contraddizioni che l’aver elevato il dollaro a pilastro portante del sistema imperiale ha scatenato, fino a diventare – oggi che gli USA, per combattere la grande guerra contro la transizione al nuovo ordine multipolare, avrebbero bisogno di rilanciare in grande stile la propria capacità industriale – una vera e propria trappola che, mentre continua a ingrossare le tasche di una ristrettissima oligarchia, impedisce al sistema Paese di ritornare agli antichi fasti.

Una lunga battaglia per rendere la speculazione finanziaria del tutto autonoma dall’economia reale: è questa la lente attraverso la quale Vadim Bottoni ripercorre la storia economica statunitense degli ultimi 50 anni. Se gli accordi di Bretton Woods erano serviti a offrire agli USA gli strumenti per mettere la finanza al servizio della sua impetuosa crescita industriale, lo scoppio delle contraddizioni di quel modello che, all’inizio degli anni ‘70, avevano portato all’accerchiamento del potere del grande capitale a stelle e strisce, ha imposto un completo ribaltamento di paradigma: tutto doveva essere piegato alla necessità di fare del dollaro il pilastro fondamentale dell’architettura monetaria e finanziaria globale dominata dagli Stati Uniti e per farlo, appunto, i mercati finanziari USA dovevano emanciparsi completamente dalle ristrettezze imposte dall’economia reale. Il punto è che affinché il monopolio globale del dollaro sia garantito e sia sufficiente a tenere in piedi tutto il sistema, i mercati finanziari USA si devono “trasformare in una gigantesca spugna in grado di assorbire la liquidità del resto del mondo”: ed ecco così che a partire dall’amministrazione Carter, anno dopo anno, amministrazione dopo amministrazione, gli USA introducono continuamente nuove regole e nuovi meccanismi per fare in modo che i prodotti finanziari si possano moltiplicare sostanzialmente senza limiti, e quando poi qualcosa va male, ecco che magicamente interviene il senso di responsabilità. E’ la retorica del too big to fail, lo stratagemma narrativo col quale, sin dal lontano 1984 (l’anno del salvataggio con soldi pubblici della Continental Illinois, allora la settima banca del Paese), amministrazioni di ogni colore riescono ad imporre ai contribuenti USA la logica della privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite: da allora, come scrive Vadim nel titolo di uno dei capitoli, alla “risposta a ogni crisi” causata proprio dall’eccessiva finanziarizzazione, si è risposto immancabilmente e senza eccezione con “ancora più finanza”.

Al crollo dei mercati azionari del Black Monday del 1987, ad esempio, si è risposto introducendo i cosiddetti derivati di seconda generazione che permettono di moltiplicare all’infinito le scommesse sugli andamenti di qualsiasi sottostante possibile immaginabile e spostando le contrattazioni dai mercati ufficiali a nuovi mercati ombra completamente deregolamentati; ovviamente il tutto sempre con la garanzia che, alla malaparata, a parare il culo alla baracca sarebbero stati i contribuenti, come quando nel 1991, con l’emendamento all’articolo 33 del Federal Reserve Act, si stabiliva che “anche le banche d’investimento, gli hedge fund e le società di private equity, nel caso di rischio default, potevano essere salvate con soldi pubblici, anche nel caso in cui avessero gestito fondi offshore che avevano operato fuori da ogni regola”. “L’unica vera controindicazione” di questo meccanismo che faceva incetta di tutti i capitali accumulati dagli stati con un surplus commerciale, sottolinea Bottoni, era “il rischio del passaggio di pacchetti azionari di controllo delle principali imprese nazionali strategiche in mani estere”: ed ecco, allora, così che “nonostante la retorica liberista, nel 1988 viene adottata una misura di protezionismo finanziario come l’emendamento all’Omnibus Trade Act che attribuisce al governo federale la facoltà di bloccare l’acquisto da parte di investitori esteri di una partecipazione maggioritaria in società ritenute, arbitrariamente, strategiche”. Insomma: tutti i dollari accumulati devono tornare nei mercati statunitensi, ma solo per fare quello che fa comodo all’egemonia statunitense.

L’iper-finanziarizzazione con la quale si è cercato di rimediare ai danni del Black Monday del 1987, una decina abbondante di anni dopo, ha portato alla colossale bolla delle dot.com, incentrata, appunto, su un mercato allora sostanzialmente deregolamentato come quello del Nasdaq, dove verso la fine dello scorso millennio, per le aziende tecnologiche pompate dai media si è arrivati a capitalizzazioni di borsa che erano in media 40 volte gli utili; lo scoppio della bolla, a partire dal marzo 2000, ha portato nell’arco di 18 mesi a un crollo dell’indice composito del Nasdaq di oltre l’80%. Una bella fetta di quella liquidità, ancora una volta, è stata dirottata verso i derivati, che dal 2000 al 2008 sono passati da un valore complessivo di 100 trilioni ad – addirittura – 600 trilioni, in gran parte veicolati attraverso le banche che, a partire dagli accordi di Basilea, “da una valutazione di carattere quasi artigianale sul livello di rischio del singolo cliente” diventano sempre di più “una vera e propria catena di montaggio, dove mutui concessi indiscriminatamente sulla base di semplici moduli prestampati vengono raggruppati alla cieca e diventano la base per prodotti finanziari da vendere su scala industriale”: è il famigerato meccanismo delle cartolarizzazioni che, dopo lo scoppio della crisi del 2008, ha reso sostanzialmente impossibile risalire ai colpevoli. La crisi del 2008 ha una portata talmente devastante che impone una revisione radicale del vecchio paradigma e spinge le banche centrali ad abbracciare una lunga fase di politiche monetarie espansive, ma è troppo tardi: l’iper-finanziarizzazione dei decenni precedenti ha fatto in modo che per quanta liquidità immetti nel sistema, l’economia reale rimane a secco. Quella liquidità, allora, prende un’altra strada: i colossi del risparmio gestito, ed ecco così che nasce quello che viene definito l’asset manager capitalism, il capitalismo finanziario a immagine e somiglianza degli interessi delle Big Three che, nell’arco di poco tempo, accumulano patrimoni da gestire che superano i PIL delle grandi potenze industrializzate e li trasformano nei veri padroni del mondo. Questi colossi del risparmio gestito, poi, a loro volta veicolano il grosso della liquidità verso le azioni di una manciata di mega-corporation dell’high tech: sono le famigerata Magnifiche 7, da Apple a Nvidia, che da sole capitalizzano il 50% in più di quanto non capitalizzino tutte le borse dell’Unione europea messe assieme; grazie alla loro gigantesca liquidità, le Big Three oggi hanno trasformato i titoli dove hanno deciso di puntare negli asset più sicuri disponibili sul mercato, con prezzi stabilmente in crescita a prescindere dal reale andamento economico.

E proprio mentre l’asset sicuro per eccellenza, i titoli di stato del tesoro USA, per la prima volta cominciano a fare paura: l’anno scorso, infatti, Fitch s’è unita a Standard & Poor e, per la prima volta, ha declassato il rating dei titoli del debito USA; e anche Moody’s, che è l’unica delle tre ad averli mantenuti al massimo, ha comunque rivisto l’outlook – e, cioè, le previsioni – da stabile a negativo. Questo, a prescindere dalle sparate retoriche dei MAGA e di Trump, fa dei colossi del risparmio gestito l’asset fondamentale che permette ancora oggi agli USA di continuare ad attrarre capitali da tutto il mondo; peccato, però, che il loro interesse, sottolinea Bottoni, sia incompatibile con l’altro interesse esistenziale dell’impero, vale a dire quella reindustrializzazione necessaria per emanciparsi dalla dipendenza da quelli che gli USA considerano necessariamente i suoi più acerrimi nemici (a partire dalla Cina) e per tornare a costruire una base industriale sufficiente per affrontare la Grande Guerra che hanno dichiarato contro il resto del mondo per provare a ostacolare la transizione a un nuovo ordine multipolare. “Di fronte a questa lunga sequenza di contraddizioni apparentemente irrisolvibili” sottolinea Bottoni “l’esito sembrerebbe essere piuttosto ineluttabile e scontato: l’imperialismo statunitense, fondato sul dominio del dollaro, ha gli anni contati”, ma, tronca gli entusiasmi Bottoni “una nuova configurazione imperiale in realtà è sempre possibile: basta trovare un numero di vassalli sufficientemente ampio da permettere di replicare, anche se su scala un po’ ridotta, quello stesso identico meccanismo di rapina generalizzata delle risorse della periferia per alimentare il centro imperiale”; “D’altronde” si aggancia Marrucci “non è la prima volta che le oligarchie USA riescono efficacemente a superare una situazione di accerchiamento sia sul fronte interno, sia su quello esterno”: il riferimento, ovviamente, è alla genesi della grande controrivoluzione neoliberista che, a partire dagli anni ‘70, ha permesso agli USA di uscire da un impasse che sembrava potenzialmente esistenziale e che Marrucci ha descritto in dettaglio nel precedente pamphlet.

Rispetto ad allora, però, le condizioni sono drasticamente cambiate: la prima differenza macroscopica è, appunto, che il baricentro della capacità produttiva globale si è spostato radicalmente verso est; la seconda è che anche solo per motivi meramente tecnici, a differenza di allora, l’economia globale per funzionare non ha più necessariamente bisogno di un unica valuta di riserva globale. Per sostituire all’unipolarismo del dollaro un nuovo sistema valutario multipolare, però, il Sud globale ha bisogno di intraprendere un percorso lungo, complicato e ricco di contraddizioni per rendere le rispettive valute sufficientemente stabili e liquide e per costruire alternative concrete tangibili alle istituzioni che costituiscono l’architettura monetaria e finanziaria globale monopolizzata dal dollaro e dall’egemonia USA, un percorso che richiede una maturità politica che le classi dirigenti del grosso del Sud globale ad oggi non sono state in grado di dimostrare. Fortunatamente, però, “a facilitare il compito delle cosiddette potenze revisioniste” sottolinea Marrucci “ci sta pensando la stessa Washington”: il riferimento è alla scelta scellerata di trasformare, a suon di sanzioni unilaterali che, ormai, colpiscono una quantità sterminata di Paesi, sempre di più il dollaro in una vera e propria arma, una scelta che necessariamente ha indebolito l’affidabilità del dollaro stesso come valuta di riserva globale e che ha aperto enormi contraddizioni anche all’interno dei vassalli più fedeli dell’impero; da qui prende l’avvio una delle parti più originali del volume, dove Marrucci entra nel dettaglio delle dinamiche che, a livello strutturale, dividono lo stesso campo imperialista e che fino ad oggi sono state ricomposte esclusivamente in virtù di una sottomissione incondizionata dei vassalli al centro imperiale, a partire da quelle che Marrucci definisce le due grandi anomalie del blocco imperialista Germania e Corea del Sud. Un’ intuizione quasi profetica: nell’arco di pochi giorni dalla pubblicazione del libro, sotto il peso di queste contraddizioni apparentemente irrisolvibili prima è definitivamente crollato il governo tedesco e poi, in Corea del Sud, abbiamo addirittura assistito a un tentato golpe che ha lasciato basito l’intero pianeta. Non è un caso: le categorie e la cassetta degli attrezzi messi insieme in questo volume, infatti, sembrano essere quello che ci serviva per provare a vedere una qualche forma di ordine razionale dietro all’apparenza caotica degli eventi che accadono sotto ai nostri occhi in questa fase di cambiamenti turbolenti ed epocali. Insomma: un testo fondamentale per ogni vero ottoliner che vuole costruire insieme a noi i presupposti per una vera riscossa multipopolare. A questo punto possiamo davvero costruire un media veramente libero e indipendente che racconti il mondo per quello è veramente e non per quello che vorrebbero raccontarci per nascondere queste dinamiche politiche ed economiche reali dietro una montagna di manipolazione e spazzatura. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Barack Obama

Erdogan sfida Putin per ricostruire l’impero ottomano? – ft. Michela Arricale

Giorni convulsi per la politica turca tanto interna quanto estera: si spazia dal recente interventismo in Siria fino allo scioglimento del nodo curdo che passa per un accordo con Ocalan. Non di minore importanza i rapporti con l’Azerbaigian e con gli altri stati del Caucaso, la proiezione in Asia Centrale ormai fino alla Cina e i le relazioni con il Qatar che prevedono i piani per la costruzione di un nuovo gasdotto. Ankara gioca da protagonista nel Corno d’Africa; in Sudan e Sahel e arriva comprare gioielli dell’impresa tecnologica italiana. La nazione che sembra trarre maggior detrimento da questo avanzamento è la Russia di Putin. Cosa sta succedendo? Ne abbiamo parlato con Michela Arricale.

Gas alle stelle e bollette impazzite: il regalo di benvenuto dell’Ue a Trump – ft. Demostenes Floros

Nonostante l’opposizione delle aziende energetiche dei Paesi europei che hanno ancora il vizio di produrre qualcosa, l’amministrazione coloniale dell’Ue ha fatto di tutto per mettere fine all’accordo che nel 2024 ci ha permesso di comprare molto più gas russo a buon prezzo rispetto all’anno precedente. Nel frattempo Trump promette di annettersi Canada e Groenlandia per diventare il leader indiscusso delle fonti fossili da fracking necessarie per alimentare la guerra dell’Intelligenza Artificiale. Ne abbiamo parlato col nostro esperto di energia preferito, Demostenes Floros.

Gli USA sotto shock: tre attentati in 24 ore. Che sta succedendo? – Ft. Giacomo Gabellini

Un pick up si lancia sui passanti a New Orleans, un cybertruck Tesla esplode a Las Vegas, un uomo apre il fuoco davanti una discoteca di New York. Tre diversi attentati, in tre città diverse, compiuti apparentemente in circostanze diverse, in un giorno solo: capodanno. A venti giorni dall’insediamento di Donald Trump, con due guerre al confine dell’Occidente e lo sconvolgimento in Siria sullo sfondo. Parleremo con l’analista geopolitico Giacomo Gabellini, autore e curatore del canale YouTube Il Contesto, per capire cosa sta accadendo in America e quali potranno essere le ripercussioni.

Solo Putin può risolvere la crisi siriana? – ft. Enrico Tomaselli

Oggi il nostro Gabriele Germani intervista Enrico Tomaselli, analista ed esperto di geopolitica mediorientale, per fare luce sulle ultime settimane di caos in Siria. Quali sono le dinamiche dietro i nuovi scontri? Che ruolo stanno giocando gli attori internazionali e perché gli Stati Uniti sembrano relegati a una posizione di rimessa in uno scenario sempre più frammentato? Il governo dell’HTS, quasi a sorpresa, ha aperto alla permanenza delle basi russe nell’area e i curdi del Rojava hanno chiesto a Mosca di fare da mediatore con la Turchia e i suoi proxy militari nel paese. Spetterà a Putin ricomporre il caos? Dalla complessità delle alleanze regionali alla crisi interna, analizziamo le implicazioni geopolitiche e il futuro di un Paese che resta al centro di interessi globali.