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Tag: politica

Esiste un Tolkien politico? Lo spiegone, con Paolo Nardi

In questo nuovo episodio di OttoliNerd i nostri Irene e Gabriele affrontano una domanda provocatoria: perché l’opera di J.R.R. Tolkien ha tanto successo negli ambienti di estrema destra in Italia? Esploriamo i legami ideologici, le interpretazioni politiche e le ragioni storiche dietro questa curiosità. Un viaggio tra mito, letteratura e politica che rivela aspetti inaspettati dell’immaginario tolkieniano. Per approfondire ne parleremo con Paolo Nardi (esperto di Tolkien e youtuber). Buona visione!


Siamo in guerra con la Russia? – ft. Alberto Fazolo

Torna l’appuntamento del sabato con Alberto Fazolo e il nostro Gabriele Germani per parlare di quello che accade nel mondo. Si parte con un ricordo dell’11 settembre cileno e di Allende e con la notizia della morte di Alberto Fujimori (ex dittatore peruviano); si prosegue parlando di Palestina e di quanto sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania. Seguono le notizie dall’Iran e dall’Iraq per poi spostarci, in conclusione, al recente rialzo di tensioni tra NATO e Russia.

Italiani rapinati: perché il governo Meloni ha deciso di regalare il nostro tfr alla finanza USA

Il Sole 24 Ore, 21 agosto: Panetta al meeting di Rimini: il problema cruciale rimane la riduzione del debito pubblico. La Verità, 23 agosto: Ai fondi pensione il 25% del tfr. Domani, 23 agosto: Stellantis scappa da Torino. Libero, 24 agosto: Giorgetti a Rimini: il PNRR mi ricorda i piani quinquennali dell’Unione Sovietica. Non c’è che dire: se eravate alla ricerca di indizi su quanto tutte le famiglie politiche della classe dirigente italiana siano impegnate giorno e notte nel rendere il declino economico del paese il più rapido e irreversibile possibile, l’ultima settimana dovrebbe avervi lautamente ricompensati; dal ritorno dell’austerity alla sottomissione forzata dei lavoratori italiani alle logiche della grande finanza, passando per l’incedere inesorabile della deindustrializzazione e il culto fuori tempo massimo delle magnifiche sorti e progressive del mercato che si autoregola, bisogna ammettere che non ci siamo fatti mancare assolutamente niente. Ad aprire le danze c’ha pensato, appunto, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta con un intervento che sembrava arrivare direttamente dal 2009, quando tutto l’establishment economico dell’Occidente collettivo parlava di austerità espansiva prima di scoprire, conti alla mano, che l’austerità non solo distrugge l’economia, ma alla fine inevitabilmente fa anche aumentare il debito. Tutto rimosso: “Il debito elevato” afferma Panetta con un contorsionismo da psichiatria “sottrae risorse alle politiche anticicliche”; cioè Panetta stesso – che c’avrà sì anche lui i suoi limiti, ma non al livello di uno youtuber di Liberi Oltre o un giornalista de Il Foglio – riconosce ovviamente che quando l’economia va di merda, a intervenire dev’essere lo Stato per aumentare, facendo spesa in deficit, la domanda aggregata. Al che uno pensa che quindi ammetterà che ora c’è bisogno di allentare i cordoni della borsa; d’altronde, gli ultimi dati confermano che il valore della produzione industriale in un anno è diminuito di un altro 4% e che in 4 anni i salari reali degli italiani più fortunati (quelli che hanno un contratto regolare) hanno perso circa il 10% del loro potere d’acquisto, ad essere generosi: più crisi di così, cosa vuoi? Una carestia? Eppure – non si capisce bene in base a quale logica – Panetta sostiene che proprio ora i cordoni della borsa è il caso di stringerli il più possibile, così magari in futuro, quando arriverà un’altra crisi, avremo sufficienti margini di manovra per fare un po’ di spesa pubblica. Tipo il 32 agosto del duemilacredici o dopo che saremo tutti morti per un olocausto nucleare. Evidentemente c’è qualcosa che non torna e quello che non torna è che a brevissimo bisognerà cominciare a mettere mano alla manovra economica; e la direzione deve essere chiara: non cominciate a venir fuori con idee strampalate su come far ripartire produzione e consumi in Italia, che qui ancora questi zucconi conservatori tirchioni degli italiani non hanno capito che i loro risparmi devono essere dati in mano ai grandi gestori di patrimoni per gonfiare la principale fonte di rendita di chi i soldi ce li ha già, e cioè la bolla finanziaria.
Ed ecco così che arriviamo al secondo indizio, che è il più succulento: la proposta di legge della Lega che introdurrebbe l’obbligo di destinare almeno il 25% dell’accantonamento del tfr ai fondi pensione; da anni, tutti – e quando dico tutti intendo letteralmente tutti, di sinistra, di destra, di sopra, di sotto – provano a convincere gli italiani ad aderire ai fondi integrativi, ma con risultati non esattamente del tutto soddisfacenti. Non rimane quindi che la via di imporlo con la forza anche se, come sostiene ad esempio Alberto Brambilla, già sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali del secondo governo Berlusconi (e quindi non esattamente un pericoloso bolscevico), “Imporre ai lavoratori di impegnare parte della loro retribuzione in un fondo pensione non è costituzionale. L’adesione alla previdenza integrativa non può che essere volontaria”. D’altronde, però, a mali estremi, estremi rimedi e qui c’è bisogno di garantire ai nostri giovani pensioni dignitose per il futuro, soprattutto dal momento che ormai un lavoro vero, con un contratto vero full time a tempo indeterminato e con un salario superiore alla soglia di povertà, è un lusso per pochi. L’unica speranza, allora, è affidare quei pochi risparmi che mettiamo da parte – a partire dal tfr – a qualcuno che li investe in borsa e che li sa far fruttare come si deve: come ribadisce Gianluca Baldini, l’obiettivo della misura non può che essere “garantire soprattutto ai giovani lavoratori pensioni migliori” e “Quello che è certo è che affidarsi a un fondo pensione complementare nell’arco di una carriera rende sempre” (e sottolineo SEMPRE) “di più rispetto a lasciare il tfr in azienda”. Ma è proprio così?

A vedere da questo grafico pubblicato da Morningstar ormai oltre un anno fa, a dire il vero, tutto sommato, sembrerebbe di no: per quanto riguarda il 2022 ad esempio (secondo il grafico), mentre chi aveva i soldi in un fondo pensione si è visto svalutare il suo patrimonio del 9,8 o addirittura del 10,7% – a seconda che si trattasse di fondi riservati ai lavoratori di determinati settori o di fondi aperti a tutti – quei tirchioni cacasotto che li avevano lasciati fermi immobili nel tfr se li sono visti rivalutare dell’8,3%. Eh vabbeh, direte; stai a fa il solito cherry picking. Sei andato a scegliere proprio l’anno del tracollo dei titoli azionari legato alla crisi pandemica. E’ vero, solo che proprio quell’anno lì è bastato da solo a smontare, dati alla mano, l’idea che appunto “Quello che è certo è che affidarsi a un fondo pensione complementare nell’arco di una carriera rende sempre di più rispetto a lasciare il tfr in azienda” che quindi, molto banalmente, è una fake news bella e buona, una pubblicità ingannevole al servizio della grande finanza; a causa dell’annus horribilis 2022, infatti, chi ha lasciato i suoi soldi nel tfr ha guadagnato rispetto a chi li ha dati in affidamento ai fondi anche se allarghiamo la finestra temporale: nell’arco degli ultimi 3 anni, infatti, chi ha messo i soldi nei fondi ha perso dallo 0,7 allo 0,8%, mentre il tfr si rivalutava del 4,3%. E nell’arco degli ultimi 5 la differenza diminuisce un po’, ma il senso non cambia: il patrimonio messo nei fondi si è rivalutato dallo 0,2 allo 0,4%, mentre quello rimasto a dormire nel tfr del 3,3. E per quanto effettivamente il 2022 sia stato un anno anomalo per l’andamento dei titoli azionari, il punto è che questi anni anomali, nel tempo, sono diventati sempre più frequenti: per trovare un altro caso, infatti, non bisogna risalire al 1929, ma basta tornare al 2008, o al 2001, o al 1987.
Quindi – sostanzialmente – la politica economica del governo Meloni consisterebbe nel fatto di scommettere al Casino con i pochissimi quattrini che un’economia in declino da 40 anni ancora ci ha lasciato in tasca, ma c’è di più, perché almeno questa roba servisse a dare un po’ di risorse finanziarie alle nostre PMI messe in ginocchio dalla crisi economica e dai tassi di interesse da usura… Macché: in realtà, anche da questo punto di vista è una gigantesca fregatura; da un lato, infatti, dei soldi che affidiamo ai fondi solo il 16% rimane in Italia, mentre oltre il 60% viene trasferito direttamente oltreoceano senza passare dal via. Dall’altro, in questo modo colpiamo direttamente la liquidità proprio delle nostre PMI che – soprattutto in questa fase, dove le banche di finanziamenti ne concedono pochini e quelli che concedono se li fanno pagare a peso d’oro – hanno visto nel tfr accantonato in azienda una fondamentale ancora di salvezza; insomma: si tolgono con la forza soldi ai lavoratori e alle aziende italiane per darli alla grande finanza d’oltreoceano. Per un governo di patrioti – bisogna ammettere – niente male, e gli effetti si vedono eccome: Frena il mercato del lavoro titolava La Repubblichina martedì scorso: “Forte aumento a luglio delle richieste di cassa integrazione e dell’utilizzo dei fondi di solidarietà da parte delle aziende”; in totale, riporta l’ultimo Osservatorio dell’INPS, le ore di cassa integrazione autorizzate a luglio sono state 36,6 milioni, segnando un + 3,71%, ma soprattutto un insostenibile + 27,9% rispetto al luglio del 2023 . A fare ancora più impressione è il dato disaggregato relativo alla sola industria, dove le richieste di ore di cassa integrazione durante i primi 6 mesi del 2024 hanno visto un aumento di un incredibile 51,3% rispetto all’anno precedente.
E – indovinate un po’ – tra i settori che soffrono di più, “incredibilmente” c’è l’automotive: “Stellantis dà il bentornato in fabbrica agli operai dello stabilimento di Pomigliano annunciando altri 5 giorni di cassa integrazione a settembre” riporta Il Fatto Quotidiano. E non è solo un problema degli operai: come ricordava venerdì scorso Maurizio Pagliassotti su Domani, il tramonto ormai è arrivato anche – ad esempio – per lo storico centro ricerche FIAT di Orbassano che a partire dagli anni ‘70 si era imposto come “uno dei cuori pulsanti della ricerca in campo automobilistico in tutto il vecchio continente”; nel tempo, ha sfornato la bellezza di oltre 3000 brevetti – dal motore turbodiesel multijet a iniezione diretta al common rail. Ancora nel 2002 impiegava oltre 1000 dipendenti super-specializzati, che poi sono diventati 770 nel 2012 e 500 nel 2021; oggi sono poco più di 150, troppo pochi per tenerlo ancora in vita. Ma FIAT a parte, la vera tragedia si sta abbattendo su scala ancora maggiore su tutto l’indotto che da FIAT dipendeva e, anche qui, paghiamo lo scotto della nostra sottomissione a Washington e della guerra che i suoi vassalli sono stati costretti a dichiarare alla Repubblica Popolare cinese: lo ha spiegato in modo sorprendentemente chiaro ed esplicito Federico Visentin, il presidente di Federmeccanica, in occasione del lungo viaggio della Meloni a Pechino a fine luglio scorso; in una breve (ma molto significativa) intervista al Corriere della Sera, Visentin spiega in maniera esemplare quello che sosteniamo continuamente da oltre un anno. Primo punto: per tenere in piedi la filiera dell’automotive italiano bisogna che vengano prodotti in Italia almeno 1 milione e mezzo di autoveicoli. Due: questi numeri non si possono sostenere producendo solo auto di alta gamma o costose; bisogna produrre utilitarie economicamente accessibili. Tre: “Gli unici in questo momento con le tecnologie adatte a produrre utilitarie elettriche a basso costo, dai 10 ai 12 mila euro, sono i cinesi”; altro che le vaccate della propaganda imperialista e guerrafondaia sulle politiche commerciali scorrette della Cina, tanto che anche l’intervistatore del Corriere deve essere rimasto un po spiazzato e chiede: “Ma allora davvero i cinesi sono più avanti sull’auto elettrica?”. “lo sono” risponde perentorio Visentin “e dovremmo avere l’umiltà di ammetterlo. Sulle batterie sono arrivati alla quinta generazione”.
Ma noi nel frattempo eravamo troppo impegnati a capire come far arrivare i nostri quattrini sui mercati finanziari d’oltreoceano dove, invece che alla quinta generazione di batterie, sono arrivate alla quindicesima di prodotti finanziari che non fanno altro che rendere più ricco l’1% e destinare alla miseria tutti gli altri. Cosa concretamente si potrebbe e si dovrebbe fare per tornare a creare ricchezza in questo paese non è un mistero: per farlo, però, ci dovremmo prima di tutto liberare dal partito unico degli zerbini di Washington e delle oligarchie finanziarie e dai loro organi di propaganda. Costruire un vero e proprio media che dia voce agli interessi del 99% è il primo indispensabile passo; aiutaci a portarlo a termine: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Federico Rampini

Dietro Ottolina Tv ci sono gli illuminati? Giuliano Marrucci esiste veramente? Scopriamolo assieme

Oggi il nostro Gabriele Germani -sempre più affaticato dalla ciclopica operazione di portare avanti Ottolina Tv durante questo torrido agosto- ci parla del caro leader Giuliano Marrucci e della sua fatica letteraria-giornalistica: L’economia geopolitica di OttolinaTV. Cronaca del fallimento della narrazione economica dominante. Il libro è una raccolta scelta di pipponi che servono a capire, con il sorriso sulle labbra, il mondo presente e la tendenza generale che questo ha preso. Così, saltellando tra Giorgia Meloni reginetta di Davos, la svendita del patrimonio nazionale, l’affermazione del gigante cinese e la finanziarizzazione dell’economia, vi portiamo nell’Ottolina-pensiero per costruire assieme un media di parte, ma indipendente, per il 99%. Buona visione!

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L’Europa è morta di troppa austerità!

Dall’ultimo meeting tenuto dal gruppo nel 2012 a Rimini, la MMT torna in Italia in grande stile e con una nuova credibilità; se nel 2012, i suoi sostenitori erano associati a fantasiose teorie complottiste o populismi, oggi le ricette espansive ed eterodosse sembrano le uniche possibili per salvare l’Occidente dalla de-industrializzazione e dalla sicura sconfitta nel conflitto multipolare. Lo Stato deve tornare a svolgere un ruolo attivo nella vita economica del paese e per farlo deve ricorrere a tutti gli strumenti nel cassetto degli attrezzi, tra cui la politica monetaria. La presenza di Warren Mosler è quindi un momento cruciale di riconoscimento della caparbietà e coerenza alla fine premiata; così, a distanza di oltre un decennio, Draghi, Monti e rettiliani vari sono costretti a fare autocritica, mentre il gruppo del MMT continua a predicare la lieta novella inascoltato. Le istituzione europee svoltano a destra e diventano monopolio del dogmatismo del PPE, ma negli USA è ormai chiarissimo chi avesse ragione quindici anni fa. L’Unione europea si sta suicidando di austerità assistita.  Buona visione!

#MMT #crisi #UE #USA #economia #politicaespansiva #politicamonetaria #finanza

Come si riconquista una Casa del Popolo – con i rappresentanti delle Case del Popolo riconquistate

In questo panel moderato da Paolo Mauriello (Multipopolare) e Carlo Scaramuzzino (Presidente Circolo ARCI Putignano), i Rappresentanti delle Case del Popolo riconquistate raccontano come si organizzano, che difficoltà incontrano e quali opportunità intravedono per il futuro. Si parla di esperienze interessanti e significative, di diverso segno e taglio generazionale. E la prassi? A termine del panel si è creato un gruppo operativo per scambiare riflessioni, esperienze e pratiche per far proseguire l’esperimento politico delle Case del Popolo.

Fardelli d’Italia (ep. 20) – Che Italia incasinata: una prima metà del 2024… assurda!

Questa è la ventesima puntata di Fardelli d’Italia, rubrica di Paese reale per Ottolina Tv che indaga falle e contraddizioni della politica italiana. Ripercorriamo assieme alcune delle più importanti vicende politiche nazionali degli ultimi mesi.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare!

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Mandiamo a casa il PD! – A Livorno si può fare la storia – ft. Valentina Barale

A Livorno si può fare la storia. Per la prima volta, in tutta la Toscana ci sono liste alternative sia alla destra che alla sinistra PD che hanno una reale e concreta possibilità di vittoria. A Livorno, la lista Valentina Barale sindaca è data al 33 per cento nei sondaggi e oggi Valentina ci ha rilasciato un’intervista per spiegarci il senso e la speranza della sua proposta politica.

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Doomsday Clock – La fine della politica in Occidente: come il capitale e la guerra hanno devastato la democrazia – Guerrilla Radio

Nuovo format per Ottolina Tv con Daniele Trovato di Guerrilla Radio

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
e le tue esigenze di alloggio compilando il form e, se vuoi aiutarci ulteriormente, partecipa come volontario.

Fest8lina, perché la controinformazione è una festa!

Turchia, Erdonomics: la scommessa del sultano

Le recenti elezioni amministrative pongono un problema per Erdogan nelle grandi città; pur non essendo la sconfitta preannunciata dai nostri media, si tratta comunque di un dato da osservare per il governo di Ankara. Alla radice di questo, forse il drastico cambiamento di politica monetaria nel paese, passato per un netto rialzo dei tassi di interesse in un anno. Ne parliamo con Vadim Bottoni, cercando di spiegare le passate e presenti scelte macroeconomiche del paese. Buona visione.

ADDIO CONTRO-INFORMAZIONE!! Ecco come META vuole CENSURARE la politica dai SOCIAL

L’annuncio è stato lanciato nei giorni scorsi come se niente fosse, come se si trattasse di robetta da nulla, ma si tratta in verità di una svolta storica nel mondo dei social e della libera informazione: stando alle dichiarazioni ufficiali del capo di Instagram Adam Mosseri, Instagram, Threads e Facebook, – le piattaforme che fanno capo al gruppo Meta limiteranno fortemente la diffusione di contenuti politici sulle proprie piattaforme; non solo i post politici non compariranno più nelle sezioni Esplora e Reels e le pagine che li pubblicano non verranno più suggerite nel Feed, ma gli account che postano contenuti prevalentemente politici rischiano di essere cancellati per sempre. In questo modo, decine di migliaia di associazioni e di canali di informazione indipendente – come Ottolina Tv – rischiano di scomparire per sempre costringendo le persone ad informarsi solo attraverso i media ufficiali, nel frattempo sempre più controllati da un ristrettissimo numero di editori di regime e fondi di investimento. E le giustificazioni date da Mosseri per salvarsi la faccia e non dichiarare apertamente il proprio collaborazionismo con il potere dominante, sono state ridicole: in pratica, ha sostenuto di farlo per il nostro bene adducendo le solite motivazioni paternalistiche sulla trasparenza e sulla migliore esperienza utente; in verità, la decisione sembra soprattutto riconducibile ad una fase politica dove la realtà non fa che sbugiardare continuamente in modo plateale le narrazioni ufficiali e, per evitare la minaccia di un risveglio collettivo, bisogna sempre di più stringere i cordoni della libera circolazione delle idee.

Adam Mosseri

Fino ad oggi, la soluzione adottata delle piattaforme era – banalmente – quella del rincoglionimento di massa attraverso la promozione seriale di contenuti stupidi, alternata all’iperinformazione, che impedisce di distinguere tra dati veri e fasulli e, quindi, di mettere in fila i puntini; ciononostante, proprio a causa del divario sempre più profondo tra narrazione ufficiale e vita vissuta, nel tempo la realtà è riuscita comunque a emergere anche nelle bacheche dei social, come ad esempio sta accadendo in modo eclatante con il genocidio di Gaza. Ecco, allora, perché Meta ha deciso di tagliare la testa al toro: le piattaforme avranno esclusivamente il compito di aumentare i nostri deficit cognitivi e la politica sarà tenuta rigorosamente alla larga; d’altronde, è una vera e propria emergenza. Il 2024, infatti, per gli interessi dell’impero dei doppi standard e delle ex democrazie – ormai anche ex liberali – sarà un anno decisivo: nei prossimi mesi andranno al voto quasi 3 miliardi di persone in quasi 80 paesi e come produrre consenso per le forze politiche amiche di Washington, prima, e presentare al pubblico i risultati delle urne poi, sarà una questione di vitale importanza. Le informazioni date da Mosseri sono ancora poche e confuse e Meta deve ancora chiarire esattamente quando e in che modo questa censura mascherata verrà messa in atto, ma quel che appare sicuro è che il processo – che va avanti da anni – di restringimento degli spazi della libera informazione sta subendo una fortissima accelerata, in maniera direttamente proporzionale alla caduta del consenso popolare per i regimi neoliberisti e americanocentrici.
I liberali, con meno senso del pudore, giustificano questa ennesima torsione autoritaria con la scusa che, alla fine, parliamo di piattaforme private e che quindi hanno tutto il diritto di fare un po’ quello che vogliono, ma come spiega in modo magistrale Yannis Varoufakis nel suo libro “Tecno – feudalesimo”, i gestori di queste sono gestori di un monopolio naturale, di una tecnologia pubblica; sostenere che ci possano fare cosa vogliono è un po’ come dire che quando una multinazionale gestisce la nostra rete idrica, ha – in fondo – tutto il diritto di metterci dentro anche il cianuro: insomma, una questione che non ha veramente nulla di privato e che ha, invece, molto a che fare con la trasformazione sempre più rapida delle società occidentali in una sorta di regimi oligarchici neo – feudali. Nella puntata di oggi approfondiremo le parole di Mosseri, cercheremo di capire tutte le conseguenze che questa nuova forma di censura 2.0 potrà avere sulle nostre vite e di come tutto questo si colleghi ai caratteri del nuovo capitalismo tecnofeudale descritto da Varoufakis.
Meta sta soffocando le voci a sostegno dei palestinesi di Gaza, in un momento in cui subiscono sofferenze indicibili e avrebbero più bisogno del sostegno internazionale: così dichiarava Deborah Brown, direttrice associata per il settore Tecnologia e diritti umani di Human Rights Watch, a conclusione di un’indagine e di un rapporto di 51 pagine pubblicato dall’associazione, e non è certo la prima volta che le piattaforme vengono accusate di censura sistematica e collaborazionismo con l’agenda politica dei più potenti tra i gruppi di potere americani. Da dieci anni, ormai, i social sono nell’occhio del ciclone per l’influenza diretta o indiretta che esercitano sulla politica; Facebook, in particolare, ha dovuto affrontare processi mediatici – e non solo – riguardo alla profilazione degli utenti, agli algoritmi che favorirebbero la disinformazione, all’hate speech, alle cosiddette filter bubbles e alla censura intenzionale dell’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, bandito per due anni dalle piattaforme di Meta: il bavaglio a Trump, in particolare, ha intensificato notevolmente le pressioni politiche su Zuckerberg e compagni, accusati di indebita ingerenza sui meccanismi democratici. Insomma: da una parte la politica occidentale diventa sempre più insofferente alla libertà di espressione e informazione e si inventa parole come Hate speech, Fake news e incitamento all’odio e al terrorismo per limitarla il più possibile, dall’altra i proprietari dei social network si sono stancati di resistere a tutte queste pressioni dall’alto e, visto l’annuncio di Mosseri degli scorsi giorni, pur di evitare altri scandali e tagliare la testa al toro hanno preferito semplicemente chiudere gli spazi di discussione, lasciandoci la libertà di vedere 1000 reel al giorno di gente che si tuffa dagli scogli o di vecchi che giocano a paddle, ma non quella di farci una libera opinione su quello che riguarda le nostre vite e il nostro futuro.

Mark Zuckerberg

Pur essendo piattaforme private, anche in Italia i social network hanno assunto un ruolo pubblico fondamentale nella formazione dell’opinione pubblica; dopo la televisione, per il 42% degli italiani i social sono la fonte primaria di informazione: tra questi, Facebook e Instagram risultano le due fonti preferite, rispettivamente, per il 44% e il 20% degli utenti: questi dati, da soli, danno la misura dell’importanza di Meta nella produzione del consenso e dovrebbero scoraggiare ogni tentativo di minimizzare la portata del mutamento in atto. Mosseri ha tentato di gettare acqua sul fuoco assicurando che i post politici verranno comunque mostrati sul Feed degli utenti che già seguono la pagina, ma questo non è molto rassicurante: quel che Mosseri dimentica di dire, infatti, è che già oggi l’utente medio si perde il 70% dei contenuti del Feed, ovvero i contenuti pubblicati dagli account che segue; ciò significa che una pagina politica, probabilmente, non riuscirà a raggiungere i propri follower neanche lì. Come scrive Laurent Ferrante in un articolo de La Fionda “Considerato che l’algoritmo di Instagram cerca attivamente di distogliere gli utenti dal proprio Feed – suggerendo contenuti ad alto potenziale di distrazione cuciti sui nostri gusti personali – e che la maggior parte di queste esche sono Reel che portano dritti alla sezione interdetta alla politica, il quadro si fa decisamente tetro.” Non è ancora chiaro, poi, se verranno bersagliati i singoli contenuti o gli account e se ci sarà un certo numero di contenuti “politici” tollerati prima di censurare un intero profilo; certo, Meta avrà buon gioco a dire che a nessuno viene impedito di pubblicare nulla, ma questo è vero solo perché la censura non si abbatte sul messaggio, quanto sulla sua distribuzione: insomma, su Facebook e Instagram potrai sempre dire ciò che vuoi purché nessuno ti senta, e a subire tutto questo saranno, come sempre, le realtà più deboli e con meno intrecci con il potere, perché se è vero che anche la sorte dei giornali tradizionali e politici di professione sulle piattaforme potrebbe essere segnata, si apre – in verità – l’inquietante ma più che verosimile scenario che costoro, pagando magari decine di migliaia di euro per comprarsi account esclusivi, supereranno il blocco.
Quello che è sicuro è che ad essere colpite a morte saranno le centinaia di migliaia di pagine di attivisti, associazioni e canali di informazione indipendenti come il nostro che, non avendo il culo parato e altri spazi di visibilità, semplicemente rischiano di scomparire: “I social non sono solo una porta di accesso all’informazione” scrive Ferrante “ma un luogo in cui i movimenti di opinione si formano, crescono e tentano di raggiungere la massa critica. Uno spazio che senz’altro non è mai stato completamente libero ma che offriva ancora notevoli opportunità di aggregazione e costruzione del consenso dal basso. Un’opportunità vitale per tutti i movimenti militanti e contro – culturali che tentano di sfidare il pensiero unico dominante, come anche per i piccoli partiti ignorati dalla stampa.” E, paradosso dei paradossi, dietro la maschera sempre inclusive e friendly che presenta al pubblico, Meta sta infatti compiendo un’operazione che non potrebbe essere più politica, ossia decidere sulla base di parole e argomenti cosa è politico e cosa non lo è, ciò che si può dire e ciò che non si può dire, chi ha diritto di parlare di un tema e chi invece no; il tutto, ovviamente, riflette Ferrante, da quella prospettiva tecnocratica – e quindi falsamente neutrale – che tanto bene abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni. Attualizzando, possiamo già immaginarci una roba tipo: post di commemorazione delle vittime del 7 ottobre va bene perché non è politica; attivista ONU che parla delle migliaia di bambini palestinesi morti sotto le bombe non va bene perché è politica; la moglie di Navalnij che piange il marito morto e chiede giustizia non è politica; Human’s Rights Watch che si lamenta delle condizioni di Assange in carcere è politica.
Abbiamo come l’impressione che i casi di ipocrisia e doppi standard occidentali potrebbero subire una tale impennata che persino Carlo Calenda potrebbe decidersi ad aderire alla campagna di sottoscrizione di OttolinaTV, anche perché sia chiaro: una definizione univoca di cosa sia politica e cosa non lo è non esiste e non è mai esistita. Anzi, è da più di 3 mila anni che l’umanità – con i suoi più grandi filosofi e scienziati – la sta cercando senza successo, ma Adam Mosseri, Head in chief di Instagram, ha sostanzialmente dichiarato di aver sciolto questo enigma. E se è vero che, in linea teorica, si tratta di aziende private che possono legittimamente decidere a quali contenuti dare priorità, è anche vero che oggi una manciata di attori privati controlla le vie di accesso alle informazioni online di miliardi di persone esercitando un potere di influenza enorme sulla libertà di espressione e di informazione; questa situazione è stata finalmente riconosciuta dall’Unione Europea con l’approvazione nel 2022 e l’applicazione nel 2024 di due regolamenti: il Digital Services Act e il Digital Markets Act, che inquadrano le responsabilità pubbliche delle piattaforme online; Meta, Google, Apple, TikTok, Microsoft e Amazon sono stati riconosciuti come gatekeeper, ovvero custodi delle chiavi delle attività online e, come tali, sono stati costretti ad assicurare una serie di servizi/diritti ai propri utenti, tra cui “il diritto alla libertà di espressione e di informazione”. Come scrive Ferrante: “All’interno di questo quadro giuridico, non sarebbe impensabile immaginare un intervento degli Stati o delle istituzioni europee per impedire ai gatekeeper di comprimere la libertà di espressione e di informazione e la libertà dei media e il loro pluralismo”, ma è molto più probabile che, in ossequio alla proverbiale ipocrisia e servilismo delle istituzioni europee, ad essere tutelate saranno solo le posizioni politiche collaborazioniste con l’occupante americano e, in generale, amiche dello status quo.
Il tecnofeudalesimo di cui parla Varoufakis, insomma – e che approfondiremo sicuramente in un video a parte – è già realtà: sempre meno proprietari di spazi digitali, sempre più ricchi, che governano insieme al governo di turno una plebe sempre meno informata, povera, rincoglionita e priva di potere politico; il potere tecnofeudale a guida americana vorrebbe farci scomparire e la censura 2.0 potrebbe presto abbattersi (più di quanto già non faccia) sulla nostra pagina e su tutti i nostri contenuti. Per sopravvivere, abbiamo bisogno del tuo aiuto: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Adam Mosseri

Ecco come Le OLIGARCHIE neoliberali SOFFOCANO le PROTESTE in ITALIA ft. Filippo Barbera

Con una retorica finto – buonista e finto – pacifista negli ultimi decenni in Italia la mobilitazione popolare e la partecipazione di massa alla politica è praticamente morta a colpi di neoliberismo e attacchi alle democrazia. Ogni conflittualità dal basso verso l’alto è stata demonizzata e soffocata sul nascere. Filippo Barbera, uno dei più importanti sociologi contemporanei, ci spiega come uscire da questa situazione suicida.