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Tag: Netanhyau

La guerra in Medio Oriente per le rotte economiche

video a cura di Davide Martinotti

Per comprendere cosa sta accadendo in Medio Oriente è possibile usare varie chiavi di lettura. Volendo inserire il Medio Oriente nel confronto tra le grandi potenze, allora può essere importante considerare la mappa delle infrastrutture economiche ed energetiche che percorrono le regione. E le mappe ce le ha offerte direttamente Netanyahu, quando recentemente all’ONU si è presentato sul palco con dei cartelli, i paesi benedetti e i paesi maledetti… Ne parliamo in questo video!

Gli Stati Uniti benedicono gli attacchi terroristici di Israele: inizia l’invasione del Libano?

Almeno 12 morti e poco meno di 3.000 feriti: questo – mentre scrivo questo pippone – il bilancio dello spettacolare attacco simultaneo che nel pomeriggio di martedì ha travolto il Libano e anche un pezzo di Siria, perché quando i mandanti sono i più patriottici tra i difensori dei valori democratici in Medio Oriente, parlare di attacco terroristico criminale suona malino. D’altronde, le vittime un po’ se la sono cercata: si tratta infatti, spiega l’ANSA, di miliziani di Hezbollah; insomma, di feroci terroristi. D’altronde, lo dicono gli amici israeliani: vorrai mica insinuare si sbaglino! In realtà, però, non proprio tutti concordano con questa definizione; anzi, in realtà, pochini: Hezbollah non è considerata organizzazione terroristica sostanzialmente da nessun paese del Sud globale e nemmeno dall’ONU. E anche tra i vassalli dell’imperialismo USA ci sono numerosi distinguo; addirittura l’Unione europea, pur avendo approvato a larghissima maggioranza (ormai quasi 20 anni fa) una risoluzione che accusava Hezbollah di attività terroristiche, in realtà formalmente non considera né Hezbollah, né nessuno dei variegati gruppi che appartengono alla sua galassia, organizzazioni terroristiche, e nemmeno il Regno Unito e l’Australia. Ad aver messo Hezbollah nella black list vera e propria rimangono solo Stati Uniti, Paesi Bassi, Canada, Egitto e Israele, oltre – ovviamente – a tutti i pennivendoli della propaganda suprematista occidentale. Anche l’idea che ad essere colpiti siano stati i miliziani di Hezbollah è una vera e propria bufala: lo riconosce addirittura una testata come il Wall Street Journal, che non è esattamente l’organo di ufficiale delle lotte di liberazione del popolo arabo: “Molti di coloro che portano i cercapersone” scrive “non sono militanti nel senso tradizionale del termine, ma piuttosto professionisti che spesso nemmeno sanno di appartenere ad organizzazioni legate ad Hezbollah”. D’altronde, Hezbollah è prima di tutto un partito politico di massa che gestisce una quantità spropositata di servizi sociali: dalle scuole agli ospedali, fino addirittura ai servizi agricoli; e le giovanili aderiscono all’organizzazione mondiale del movimento scout. Insomma: è uno Stato dentro lo Stato e le persone colpite martedì sono, molto spesso, nient’altro che funzionari e lavoratori dello Stato, come i due infermieri assassinati a Beirut; o bambini: per l’esattezza, a quanto risulta ad ora, un ragazzino di 11 anni e una bambina di 8. Amici dell’ANSA, anche far saltare per aria loro può essere definito spettacolare? E giusto perché ancora non sono uscite le agenzie sulle nuove esplosioni che sono state segnalate proprio mentre stavo scrivendo e che questa volta, invece che ai cercapersone, sarebbero legate ai walkie talkie giapponesi ICOM e ad altri dispositivi di varia natura e che avrebbero già comportato altri 14 morti: come le definiranno questa volta? Fantasmagoriche? Eccitanti? Entusiasmanti?
D’altronde, questa botta d’autostima in parte era esattamente quello che il Mossad andava cercando: la propaganda imperialista ha impiegato decine di anni e centinaia di milioni di euro per cucire attorno all’intelligence sionista una sfavillante armatura che emana onnipotenza da tutte le saldature; da Steven Spielberg a Sasha Baron Cohen, la crème crème dello star system imperiale ha descritto gli 007 israeliani come dei superuomini in grado di piegare da soli – e contro i pregiudizi di tutti – le barbarie di centinaia di milioni di islamisti assetati del sangue del loro popolo. “Uno dei motivi dietro l’attacco al cercapersone, come nel caso dell’assassinio del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran alla fine di luglio” commenta lucidamente Foreign Policy “è che il Mossad è determinato a rinnovare il suo marchio. Prima dell’attacco del 7 ottobre, l’intelligence israeliana godeva di una reputazione onnipotente, le sue imprese leggendarie erano raccontate in film di spionaggio di successo come Monaco di Baviera di Steven Spielberg e la serie di successo Fauda di Netflix”; poi, appunto, è arrivato il 7 ottobre, quando con l’operazione Diluvio di al aqsa una manciata di untermenschen beduini ha sferrato una mazzata epocale a quel senso di invincibilità così certosinamente ricamato, senza badare a spese. A questo giro, alla fuffa propagandistica del Mossad, poi, s’è andata ad aggiungere l’ultra-fuffa che sempre circonda le cose che hanno a che vedere con la sicurezza cibernetica (che è l’industria della fuffa per eccellenza) fatta, in gran parte, di gente senza né arte né parte che vende fumo e commentatori che – come d’altronde anche io – non ci capiscono una seganiente e si fanno infinocchiare da racconti in stile Hollywood totalmente campati in aria; ed ecco così che, in mezzo all’ennesima tragedia, i media italiani ieri mattina hanno fatto di tutto per rallegrarci un po’ con una bella carrellata di vere e proprie chicche.

Hassan Nasrallah

Il meglio, va concesso, ce l’hanno regalato gli analfosovranisti: secondo Il Giornanale si era trattato di “cercapersone acquistati in Brasile e infettati con un trojan”; “Un bip che attira l’attenzione” scrive l’immancabile Fausto Biloslavo “e il cercapersone salta in aria. L’operazione da film, che solo il Mossad può essere capace di mettere in piedi ha seminato il panico nelle file di Hezbollah”. “Pochi mesi fa” continua il suo racconto fantasy “i filo-iraniani hanno acquistato una grossa partita di cercapersone TeleTrim probabilmente prodotti da una vecchia società che aveva sede in Brasile. Grazie alla sorveglianza o a qualche spia interna, il Mossad l’ha saputo” e li ha intercettati prima che arrivassero in Libano; “A questo punto hanno infettato l’antiquato sistema di comunicazione con un software come il trojan che, in qualche maniera, attivava la batteria come una mini bomba con un semplice comando da remoto”, un’operazione geniale che, rilancia Libero, “è stata organizzata grazie a capacità non comuni di hackeraggio”. Come avrebbe affermato un’affidabilissima fonte anonima, infatti, “I cercapersone acquistati da Hezbollah erano di fabbricazione cinese, dato che il movimento libanese non si fida delle tecnologie occidentali. L’operazione per hackerarli avrebbe coinvolto più Paesi, non solo Israele, sfruttando il passaggio di questa partita presso un intermediario commerciale di Hong Kong” ed è lì che i cercapersone “sono stati analizzati ed è stata scoperta una vulnerabilità nel loro sistema operativo, che è un sistema riscritto per motivi di sicurezza da Hezbollah e dall’Iran”; “Trovata la vulnerabilità” continua “gli hacker sono riusciti perfino ad arrivare al firmware, cioè il codice, che comanda il controller della batteria” e “così è stato possibile lanciare nel momento dell’attacco un segnale che nei vari pager hackerati ha surriscaldato e fatto esplodere la batteria” (oltre, ovviamente, a lanciare anche delle alabarde spaziali mentre saltavano da una parte all’altra del globo col teletrasporto). E “Questo fenomeno” rilancia ancora La Verità “è spesso associato a un processo noto come thermal runaway, che si verifica quando un incremento di temperatura provoca una reazione esotermica nella batteria che può portare all’esplosione”, ma come fosse antani con un po’ di supercazzola prematurata; ora, se nel caso degli altri dispositivi esplosi ieri la dinamica è ancora poco chiara, quello che è successo con i cercapersone sembra piuttosto chiaro e non ha niente a che vedere con chissà quale superpotere cibernetico derivante dall’incommensurabile intelligenza e competenza tecnica del popolo più evoluto del pianeta. Si tratta invece, molto banalmente, di terrorismo: puro, semplice e indiscriminato terrorismo, solo che viene ribattezzato con un più nobile “grande successo dell’intelligence” quando a compierlo è qualcuno che sta dalla parte giusta della barricata.
In realtà, però, il Mossad un superpotere ce l’ha davvero: la complicità di tutti i paesi che si inchinano alla grande lobby sionista, avanguardia indiscussa dell’imperialismo suprematista. Le esplosioni dei cercapersone, infatti, non sono il frutto di chissà quale sofisticata trovata tecnologica: molto banalmente, c’hanno infilato dentro l’esplosivo e poi, con un messaggino, l’hanno innescato; roba da video tutorial su Youtube. La parte complicata, appunto, era trovare chi ti permetteva di mettere dell’esplosivo dentro ai suoi dispositivi; ed è proprio qui che si vedono i veri amici. Sulla trafila che ha fatto il lotto di 5000 cercapersone finito nelle mani di Hezbollah probabilmente non si riuscirà mai a fare completa chiarezza; l’intelligence, d’altronde, serve a questo e al Mossad le risorse e le complicità per confondere le sue tracce di sicuro non mancano. Le poche cose che sappiamo però sono piuttosto indicative; punto primo: la marca dei dispositivi è di una piccola azienda taiwanese, la Gold Apollo, un paese noto per essere talmente sovrano e indipendente da non essere nemmeno riconosciuto dalle Nazioni Unite e dipendere per la sua difesa interamente dagli Stati Uniti. Ma una volta presa d’assalto dai cronisti, la piccola azienda taiwanese ha tirato fuori la carta dello scaricabarile: il dispositivo in questione, infatti, non sarebbe stato prodotto da lei, ma da un’azienda ungherese che aveva con la Gold Apollo un accordo commerciale che le consentiva di utilizzare il suo marchio; questa azienda ungherese si chiama Bac Consulting, ma quando proviamo ad andare a visitare il sito, stranamente è offline. Per fortuna esiste wayback machine; ed ecco il sito che era visibile fino a 2 giorni fa. Invece che di dispositivi elettronici, ci sono immagini di tramonti sul mare, patrimonio architettonico e gioielli e le descrizioni non dicono niente: sembrano generate da un’intelligenza artificiale poco sviluppata a cui è stato dato il comando scrivi du’ cazzate a caso come te pare a te; consultando il sito del registro nazionale delle imprese ungherese, però, la Bac Consulting salta fuori. E’ stata fondata nel 2022 e ha un solo dipendente e, come indirizzo, dà questa villetta qua: “Nulla rivela la presenza dell’azienda” riporta un articolo sul sito ungherese Telex “e non è una coincidenza”; “La signora che ci ha accolto” continua l’articolo “ha detto che è solo una sede di comodo”. “Allo stesso indirizzo hanno sede anche diverse altre società, e l’unica cosa relativa alla BAC Consulting che ha mai visto è una lettera al mese”. Non starete mica pensando che è una società di copertura, vero? Cosa siete, antisemiti? La NBC riporta di essere riuscita a contattare telefonicamente la direttrice di BAC consulting, che è anche l’unica dipendente: si chiama Cristiana Barsony-Arcidiacono e avrebbe affermato che “Non sono io a produrre i cercapersone. Sono solo l’intermediario. Penso che abbiate capito male”; poco dopo, il premier ungherese Viktor Orban ha rilasciato una dichiarazione dove afferma che i dispositivi esplosi in Libano non sarebbero mai transitati dall’Ungheria. Vattelappesca te… L’unica cosa che possiamo sottolineare è che ieri all’ONU è stata approvata a larghissima maggioranza una risoluzione storica che impone a Israele di ritirarsi dagli insediamenti illegali entro un anno e l’unico paese ad aver votato contro – a parte ovviamente Israele, gli USA, l’Argentina del fasciosionista Milei e i soliti Stati fittizi insulari del Pacifico – è stata proprio l’Ungheria. Insomma: venirne definitivamente a capo sarà probabilmente piuttosto complicato, ma quello che possiamo senz’altro dire è, appunto, che non c’è nessun fantapotere hollywoodiano in ballo, ma solo del caro vecchio terrorismo di Stato vecchia scuola, fondato sulle care vecchie connivenze tra centro imperiale e galoppini di vario genere.
La domanda da porsi, piuttosto, allora è un’altra, che è quella che, ad esempio, si pone correttamente anche Foreign Policy e, cioè, perché adesso? Una motivazione di facciata, abbastanza palesemente farlocca, è stata fatta circolare già da martedì dai sionisti stessi; Tel Aviv, infatti, ha fatto sapere di aver sventato un attentato ai danni dell’ex capo di stato maggiore Avivi Kochavi: una piccola carica esplosiva rinvenuta proprio nel parchetto dove va ogni giorno a fare un po’ di attività fisica. Come sottolinea la testata della sinistra antimperialista libanese Al-Akhbar “una sorta di narrativa per giustificare le azioni che il regime di Tel Aviv avrebbe intrapreso da lì a poco”: da quanto emerso, infatti, questo lotto di cercapersone tarocchi era stato recapitato con successo in Libano già 5 mesi fa; poco prima, nel febbraio scorso, infatti era stato lo stesso Nasrallah a dire pubblicamente che gli smartphone andavano gettati alle ortiche perché le infrastrutture di telecomunicazione erano troppo permeabili all’intelligence del nemico e che bisognava tornare a metodi di comunicazione più sicuri – come, appunto, i cercapersone. Poco dopo, ecco – appunto – che gli viene recapitato il regalino del Mossad; per 5 mesi circa, quindi, 5000 libanesi legati a vario titolo ad Hezbollah hanno girato con questa bomba in tasca: e ora si decide di farli esplodere per un presunto attentato sventato? Gli israeliani, da un po’ di tempo a questa parte, hanno perso anche il talento di confezionare vaccate… Per capire finalità e tempistiche, allora, tocca ricostruire un po’ il contesto generale; primo punto: a partire dall’8 ottobre, Hezbollah sta conducendo una lunga guerra di logoramento che ad oggi ha imposto a Israele di evacuare 60 mila persone e di costringerne molte di più a vivere in una situazione di pericolo e di insicurezza costante che indebolisce enormemente l’economia e il consenso nei confronti del governo. La soluzione finale del conflitto al confine settentrionale, quindi, è da ormai quasi un anno un chiodo fisso di una parte del governo che però, fino ad oggi, è stata tenuta a bada da un paio di considerazioni: la prima è che Hezbollah è armato fino ai denti e, in caso di escalation, il conflitto avrebbe comportato costi che in confronto il massacro di Gaza è una passeggiata; la seconda è che in caso di raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza la situazione sarebbe potuta rientrare da sola, senza impegnare l’esercito in un altro estenuante conflitto. Due considerazioni che però, ultimamente, hanno cominciato a perdere di appeal: il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza, infatti, sembra essere diventato una chimera e anche sulla possibilità di Hezbollah di dare del filo da torcere c’è chi comincia a nutrire qualche dubbio. Ad esempio il Jerusalem Post e le sue fonti: “Nonostante le parole e il tono pubblicamente minaccioso di Netanyahu” scrive il giornale “un motivo importante per cui la guerra non è ancora scoppiata è che Gallant era terrorizzato dall’idea di quanti israeliani sarebbero potuti morire a causa di un attacco di Hezbollah stimato tra i 6 e gli 8 mila razzi al giorno”, ma “il 25 agosto è cambiato tutto, radicalmente”.
Il riferimento, ovviamente, è al giorno dell’attacco sferrato da Hezbollah per vendicare l’assassinio mirato del numero due dell’organizzazione avvenuto a Beirut il mese precedente: “Quel giorno”, commenta ancora il Jerusalem Post Hezbollah prevedeva di lanciare diverse centinaia, forse fino a 1000 razzi su Israele, comprese le basi critiche dei quartieri generali dell’intelligence a nord di Tel Aviv”, ma in quell’occasione “le forze armate israeliane non si sono limitate a sconfiggere Hezbollah. Hanno fatto pulizia”; “L’esercito” continua “ha fatto esplodere la stragrande maggioranza dei razzi e dei droni con cui Hezbollah intendeva attaccare Israele prima ancora che queste minacce potessero essere lanciate”. “Hezbollah non ha ucciso né danneggiato nessuno o qualcosa di significativo” e “Netanyahu ha una ritrovata fiducia: può permettersi un’importante operazione contro Hezbollah, con molte meno perdite sul fronte interno di quanto si aspettasse”. A prescindere da quanto siano più o meno infondate queste supposizioni, il dato rilevante qui è, molto banalmente, che un pezzo importante di Israele ci crede; e non solo i giornalisti e i lettori del Jerusalem Post, ma anche un pezzo importante di classe dirigente, a partire dalle fonti che – afferma il Post – “dietro le quinte, sia a livello politico che militare, se prima gettavano acqua fredda sulle dichiarazioni pubbliche, ora sottolineano che le intenzioni sono serie”: “La situazione nel nord non può continuare” avrebbe affermato Netanyhau giovedì scorso durante una riunione con il suo gabinetto di sicurezza. “Dobbiamo riportare i residenti a casa. E questo non è possibile senza modificare gli equilibri nei confronti di Hezbollah. Le forze armate israeliane devono prepararsi a un’ampia campagna in Libano”. Nel frattempo, gli USA continuavano a millantare fantomatici tentativi diplomatici nei confronti di Hezbollah; difficile sapere quanto ci sia di concreto. Quello che sappiamo è che, almeno pubblicamente, l’unico all’interno del governo a dichiararsi ancora convinto che la via diplomatica tentata dagli USA potesse portare a qualcosa era il ministro della difesa Yoav Gallant.
Gallant, che è un guerrafondaio suprematista tanto quanto Bibi e il resto della compagnia, rappresenta comunque la parte di amministrazione che ha mantenuto una qualche forma di dialogo con i cittadini israeliani che, da mesi, scendono in piazza al fianco dei familiari dei prigionieri ancora detenuti a Gaza; nonostante condividano col governo la stessa identica voglia di sterminare per intero il popolo palestinese, sono convinti, però, che per il momento sia necessario scendere a patti con Hamas per far tornare a casa sani e salvi i familiari e che un’escalation sul fronte settentrionale allontanerebbe irreversibilmente questo traguardo. Risultato: Il primo ministro Benjamin Netanyahu avrebbe cercato di estromettere il ministro della Difesa Yoav Gallant dalla sua posizione titolava lunedì Ynetnews. Nel frattempo, lunedì atterrava a Tel Aviv Amos Hochstein, il principale consigliere di Rimbambiden, che si è intrattenuto per diverse ore proprio con Gallant; il giorno dopo, martedì, ecco l’attacco terroristico nel cuore del Libano: delle dimissioni di Gallant non si sente più parlare. E il giorno dopo ancora, mercoledì, un’altra ondata di attentati; gli USA giurano e spergiurano di essere stati tenuti totalmente all’oscuro, mentre Gallant è rientrato definitivamente nei ranghi: “Il centro di gravità si sta spostando verso nord” ha dichiarato durante una visita alla base aerea di Ramat David, a pochi chilometri da Haifa, la base aerea israeliana più vicina, in assoluto, al confine col Libano. “Stiamo deviando forze, risorse ed energie verso nord. Stiamo entrando in una nuova fase della guerra, che richiede coraggio, determinazione e perseveranza”; insomma: due giorni di attentati terroristici indiscriminati avrebbero aperto la strada alla soluzione finale nel nord del Paese. Secondo alcuni analisti, in realtà, non tutto sarebbe andato secondo i piani; l’attacco ai dispositivi infatti, oltre a seminare il panico, avrebbe in realtà anche uno scopo tattico molto preciso: togliere ad Hezbollah quello che alcuni ritengono sia il principale strumenti di comunicazione che gli è rimasto. Il piano quindi, sostengono, era quello di distruggerli a operazione iniziata, ostacolandone così la capacità di coordinare adeguatamente la reazione necessaria; secondo l’agenzia Axios, però, che cita una fonte anonima interna al governo israeliano, questo piano sarebbe saltato per “paura che la sua operazione segreta potesse essere scoperta dai militanti di Hezbollah”: come, dove e perché, non è dato sapere.
L’informazione occidentale su tutto quello che riguarda Israele funziona così: le fonti israeliane sparano una cazzata a caso per confondere un po’ le acque e tutti si sentono in dovere di riportarla così com’è, senza mai chiedere una mezza prova a sostegno, anche quando non ha nessuna logica apparente; quello che di sicuro sappiamo è che, cercapersone o non cercapersone, nonostante la propaganda suprematista del Jerusalem Post Israele, per uscire dal pantano, non può che fare tutto quello che è in suo potere per allargare il conflitto e che – soprattutto alla luce dei miseri risultati ottenuti a Gaza, nonostante di fronte non avesse nemmeno un vero esercito – senza il sostegno incondizionato degli USA e delle sue armi, i mezzi per imbarcarsi in un nuovo conflitto contro i miliziani ultra preparati e ultra armati di Hezbollah oggettivamente non li ha. Una guerra con Hezbollah sarebbe la più grande sfida per Israele degli ultimi decenni, titolava qualche settimana fa Foreign Policy: “Il gruppo militante è esperto, ben armato e preparato” ricorda l’articolo, mentre Israele, nonostante possa contare ancora su una certa superiorità in termini di armi e di risorse, sarebbe costretto a “fare affidamento sulle sue riserve” e “tutti i riservisti nell’ultimo anno hanno già effettuato più turni, mettendo a dura prova la società e l’economia israeliane”; “L’esercito israeliano inoltre” continua l’articolo “è a corto di munizioni e pezzi di ricambio e troverebbe difficile reperire le risorse per le massicce richieste di un conflitto totale con Hezbollah”. Realisticamente, il massimo che potrebbe ottenere sarebbe occupare una piccola parte del Libano meridionale “come ha già fatto tra il 1982 e il 2000”, ma “Durante tutto quel periodo, costanti attacchi di basso livello hanno causato continue perdite a Israele, portandolo alla fine a ritirarsi”. Alla fine, quindi, l’unica soluzione possibile indovinate un po’ qual è? Un’altra Gaza: sterminare l’intera popolazione bombardandola a tappeto grazie alle armi USA che, così, si renderebbero complici del secondo genocidio in diretta streaming della storia nell’arco di nemmeno un anno (e, come a Gaza, con scarsi risultati); “Hezbollah non è un gruppo di persone che indossano uniformi o brandiscono armi” scrive ancora Foreign Policy “ma una comunità che abita interi villaggi, quartieri e città. Israele eliminerà intere popolazioni per sconfiggere il suo avversario? E questo porterà davvero più sicurezza?”.
Quello che sappiamo è che, nel frattempo, gli USA e la loro macchina propagandistica hanno fatto il primo passo: hanno assistito impassibili a due giorni di attacchi terroristici indiscriminati di massa, senza per questo rimettere in discussione il loro sostegno incondizionato; d’altronde, era solo uno spettacolare attacco simultaneo, no? La macchina propagandistica a sostegno dello sterminio indiscriminato dei civili del Sud del mondo cerca di farci digerire i peggiori crimini infiorettandoli di retorica hollywoodiana; sarebbe arrivata l’ora di reagire: per farlo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che dia voce ai popoli oppressi di tutto il pianeta, e al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Fiamma Nirenstein

ITALIA IN GUERRA – Perché da Hitler a Netanyahu l’Italia è sempre al fianco del colonialismo più feroce

Conflitto in Medio Oriente”; “Nave italiana in prima linea”.
Oohhh, lo vedi? Dai, dai! Il prurito alle mani che tormentava i sostenitori italiani del genocidio e della pulizia etnica trova finalmente un piccolo sfogo e l’Italia così, dopo la solita inevitabile sfilata di fake news, doppi standard e ipocrisia un tot al chilo, finalmente entra ufficialmente in guerra e si riposiziona nel posto che gli è più congeniale: quello di cane da compagnia del colonialismo più feroce disponibile sul mercato. Da Hitler, a Biden e Netanyahu.

La fregata Virgilio Fasan

Il riferimento, ovviamente, è alla decisione di spedire la nostra fregata lanciamissili Virgilio Fasan nel mar Rosso per contrastare il nodo dell’asse della resistenza che, al momento, sembra più determinato a sostenere la lotta di liberazione del popolo palestinese contro la forza di occupazione e lo sterminio indiscriminato dei bambini arabi: Ansar Allah, i partigiani di Dio dello Yemen. La nave della Marina militare farà parte di una flotta composta da mezzi provenienti da una decina di nazioni, e che avrebbe lo scopo di proteggere le imbarcazioni commerciali di Israele e dei paesi che sostengono il suo genocidio dalle reazioni che hanno scatenato in tutta la regione: “L’Italia” ha dichiarato solennemente il ministro degli affari dell’industria militare Guido Big Jim Crosetto “farà la sua parte per contrastare l’attività terroristica di destabilizzazione degli Houthi” dove per terrorismo, ovviamente, si intende banalmente tutto quello che viene fatto per tentare di salvare la vita al futuro terrorista che si nasconde in ogni bambino palestinese, “e tutelare la prosperità del commercio garantendo la libertà di navigazione”. Tradotto: compagno Netanyahu, stermina chi te pare che, alle brutte, le spalle te le copriamo noi (e senza che, ovviamente, la questione fosse portata in Parlamento). D’altronde quando l’ordine arriva dall’alto non è che ti puoi mettere tanto a disquisire con la scusa dei riti della pagliacciata che è diventata la democrazia parlamentare, e qui l’ordine è stato perentorio: una breve comunicazione via teleconferenza da parte del compagno Lloyd Austin, ed ecco fatto.
D’altronde non si è trattato altro che di anticipare un po’ un’operazione già a lungo programmata: la Fasan, infatti, già a inizio estate aveva partecipato a un’esercitazione con le squadre navali USA alla fine della quale aveva ottenuto il patentino che le concede l’onore di fare da bodyguard alle portaerei dell’impero; l’arsenale di bordo, infatti, dovrebbe essere in grado di intercettare tutte le armi a disposizioni della resistenza Houthi, dai droni ai missili balistici, e anche senza l’annuncio di questa missione che, ironicamente, è stata battezzata Prosperity Guardianguardiani della prosperità, alla facciaccia di quegli animali umani che abitano a Gaza – sarebbe comunque partita verso il golfo di Aden il prossimo febbraio. D’altronde – fa sapere il governo – garantire la sicurezza della navigazione è essenziale per gli interessi di tutti voi consumatori: vedersi bloccare il canale di Suez per l’irresponsabilità di questi maledetti terroristi significa aumentare a dismisura i costi della logistica. Un po’ come costa proteggere gli extraprofitti registrati dalle aziende durante questi anni di iperinflazione, che hanno visto i consumatori impoverirsi e le oligarchie arricchirsi a ritmi mai visti; in quel caso, però, contro l’avidità delle oligarchie di fregate ne abbiamo viste pochine, e manco di tasse sugli extraprofitti: quella sulle banche, dopo essere stata annunciata in pompa magna, nel giro di due mesi è sparita del tutto pure dalla legge di bilancio.
A questo giro, però, non si tratta di far pagare i super – ricchi, ma i bambini di Gaza e, oggettivamente, è più semplice: mica c’hanno i giornali, le Tv, le lobby e il potere di far schizzare verso quota 500 lo spread. T’immagini? L’Italia condanna i bambini di Gaza allo sterminio: lo spread impenna.

Mario Sechi

Lo sprezzo di quel che rimane della nostra democrazia – dimostrato aderendo all’operazione militare senza passare dal Parlamento – ha gasato i più appassionati tra i sostenitori del genocidio: Mario Sechi su Libero ci invita a immaginarci “Un governo Conte – Schlein in questo scenario: avremmo già issato la bandiera bianca consegnandoci come nazione neutrale nelle mani dei commissari del popolo di Putin e Xi Jinping”; come ricorda il carabiniere giornalista Claudio Antonelli dalle pagine de La Pravda dell’Alt Right infatti, “in ballo c’è ben più della sicurezza nel mar Rosso: si tratta di contrastare le manovre di Mosca e Pechino lungo la Via della Seta”. Come giustamente sottolinea Antonelli, infatti, “non si può non notare che la potenza militare degli Houthi non giustifica il dispiegamento di un’intera flotta di queste dimensioni”; “le posizioni delle batterie missilistiche” continua Antonelli “sono conosciute al millimetro e gli USA potrebbero intervenire all’istante grazie ai satelliti”. Difficile qui capire quando questo sia un giudizio equilibrato e quanto invece sia l’ennesimo delirio di onnipotenza di un suprematista qualsiasi; di sicuro, però, c’è che pattugliare quell’area è un modo per tenere per le palle i cinesi che, ovviamente, sono i produttori del grosso delle merci che transitano attraverso Suez per arrivare nella sponda settentrionale del Mediterraneo. I primi ad avere interesse che si ristabilisca questa benedetta libertà di navigazione, a regola, dovrebbero essere proprio loro, soprattutto dal momento che anche la strada alternativa è sostanzialmente chiusa per lavori: “Il canale di Panama” ricorda Federico Bosco su Il Foglio, infatti, “è gravemente limitato da una siccità che ne riduce la portata”. Eppure, appunto, i cinesi alla Prosperity Guardian non sono stati chiamati a collaborare. Strano: in passato, nel golfo di Aden, USA e Cina hanno lavorato di comune accordo contro la pirateria e per la sicurezza della navigazione; non è mai stato pubblicizzato più di tanto ma, come scriveva il Council on Foreign Relations già nel 2013, “Lontano dai riflettori, la cooperazione nel Golfo di Aden ha fornito sia alla Cina che agli Stati Uniti un canale vitale per contatti militari sempre più intensi in un contesto di sfiducia prolungata nell’Asia Pacifico. In effetti” continua l’articolo “le due marine hanno recentemente condotto un’esercitazione anti – pirateria congiunta. E In futuro” conclude “la cooperazione non tradizionale in materia di sicurezza nei mari lontani è destinata a svolgere un ruolo ancora più importante nel rafforzare le relazioni militari sino – americane”.
Bei tempi, quando ancora i suprematisti USA pensavano di poter tenere al guinzaglio la Cina e che, magari, a Hu Jintao in Cina sarebbe subentrato un presidente ancora più espressione diretta delle oligarchie cinesi invischiate con la finanza USA e la Cina avrebbe abbandonato – così – la sua strada verso il socialismo con caratteristiche cinesi e abbracciato le magnifiche sorti e progressive del totalitarismo neoliberista. A Hu Jintao, invece, è subentrato Xi Dada, e il socialismo con caratteristiche cinesi, da oggetto di scherno degli intellettuali fintoprogressisti del Nord globale, è diventato elemento di ispirazione per tutti i paesi che tentano di uscire dal dominio coloniale; e anche la lotta alla pirateria, da elemento di collaborazione tra le due superpotenze, si è trasformata nell’ennesima scusa per provare a ostacolare manu militari l’ascesa economica e politica cinese. E così, oggi, i pattugliamenti cinesi nell’area continuano: in questo caso però – sottolinea il Global Times – si tratta di “missioni anti – pirateria autorizzate dalle Nazioni Unite” e che hanno il solo scopo di garantire il transito “degli aiuti umanitari diretti a Gaza”; l’operazione guidata dagli USA, invece, “non ha l’autorizzazione dell’ONU, e rischia solo di intensificare la crisi a Gaza”.
D’altronde, da oltre 2 mesi, l’unico obiettivo degli USA all’ONU è proprio ostacolare con le scuse più ridicole ogni progresso verso un cessate il fuoco ricorrendo al veto e, in queste ore, ancora sta facendo di tutto per far slittare ancora il voto in Consiglio di Sicurezza dopo che l’assemblea generale dell’ONU ha adottato – per la seconda volta consecutiva a larghissima maggioranza – una risoluzione che spinge, appunto, verso il cessate il fuoco. Come ha sottolineato il portavoce del Ministero degli Esteri cinese martedì scorso “Ci auguriamo che gli Stati Uniti ascoltino la voce della comunità internazionale, smettano di bloccare scientificamente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e inizino a svolgere il ruolo dovuto nel promuovere un cessate il fuoco immediato e prevenire una catastrofe umanitaria ancora più grande”.
Come cambia il mondo, eh? Quelli che, per 50 anni, hanno accusato chiunque non si sottomettesse ai suoi interessi di essere stati canaglia – per poi bombardarli – oggi sono considerati dalla comunità internazionale l’unico vero stato canaglia; ed ecco così che, a parte l’Italia e una manciata di altri vassalli, a non aver risposto alla chiamata alle armi USA sarebbero in parecchi: “Secondo i rapporti” riporta sempre il Global Times “Egitto, Arabia Saudita, Qatar e Oman si sarebbero rifiutati di aderire all’operazione. E’ facile vedere” continua l’articolo “come a partecipare all’operazione siano pochi paesi della regione, che sembrano anzi piuttosto preoccupati che questa operazione possa intensificare il conflitto”. D’altronde sarebbe stato difficile spacciarla come qualcosa di ragionevole alle proprie opinioni pubbliche, tutte indistintamente solidali con la causa palestinese: come ha dichiarato ad Al Mayadeen Mohamed al-Bukahiti, uno dei più autorevoli leader di Ansar Allah, “Lo Yemen attende la creazione della coalizione più sporca della storia per impegnarsi nella battaglia più sacra della storia”, e si chiede “Come verranno percepiti i paesi che si sono affrettati a formare una coalizione internazionale contro lo Yemen per proteggere gli autori del genocidio israeliano?”. Nel frattempo, intanto – riporta sempre Al Mayadeen – la Malesia impone il divieto di attracco alle navi israeliane. “La geopolitica del Medio Oriente” sottolinea Global Times “è estremamente complessa, e ogni piccola azione può avere conseguenze di vasta portata. Nella regione gli Stati Uniti hanno avviato numerose guerre e istigato molte rivolte, ma hanno anche subito molte battute d’arresto, e hanno pagato un prezzo elevato. Il motivo è che gli USA non hanno mai assunto una posizione equa, e non hanno mai preso in considerazione gli interessi concreti dei paesi del Medio Oriente, ma hanno sempre messo avanti a tutto esclusivamente le proprie esigenze egemoniche. Gli USA ora vorrebbero disimpegnarsi, ma mantenendo comunque la loro posizione dominante nella regione. Non si vogliono più impegnare nei conflitti regionali, ma usano ancora la tattica di sostenere l’uno e colpire l’altro per consolidare piccoli circoli di interesse. Un simile approccio però” conclude il Global Times “non farà altro che intensificare, anziché calmare, le turbolenze nella regione”.

Guido “Big Jim” Crosetto

Circa un secolo fa, una classe dirigente di svendipatria di professione ha deciso di ridurre il nostro Paese in cenere per sostenere i deliri suprematisti del colonialismo occidentale più feroce; oggi i loro degni eredi si apprestano a gettare l’intero Paese in un drammatico remake di quell’orrendo filmaccio, campi di concentramento inclusi: l’ultima moda dell’esercito di occupazione a Gaza, infatti è spingere le persone nei campi profughi senza cibo, acqua, elettricità e servizi sanitari, e poi bombardarli. Sembra sia la soluzione più razionale: coi tempi che corrono, il caro vecchio gas ormai – probabilmente – costerebbe troppo. Io, ecco – anche solo per non essere sottoposti domani a una sacrosanta nuova Norimberga -, direi che forse è il caso di costruirci per lo meno un media dove sia possibile dichiarare che noi, molto educatamente, ci dissociamo e che non saremmo proprio intenzionati a collaborare a questa nuova Shoah alla rovescia (se è permesso, eh?); còmprati oggi la tua prova certificata per il processo contro i collaborazionisti di domani: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Guido Crosetto