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Tag: giovani

La società dell’ansia – Come oligarchie e neoliberismo stanno devastando la nostra psiche

L’ansia è l’emozione più diffusa nelle società occidentali: dal lavoro, alla famiglia, agli amici, alle relazioni, l’ansia è diventata come una sorta di luce che si diffonde su ogni aspetto della nostra vita, rendendoci individui perennemente agitati e insoddisfatti e trasformandoci in perfetti ingranaggi della società neo-liberale. Le indagini cliniche e psicologiche ci confermano che questa vera e propria epidemia sta avendo una crescita esponenziale; tra le nuove generazioni, l’ansia non è più nemmeno un disturbo, ma una sorta di condizione esistenziale. In questo video non daremo i soliti consigli su come mitigare l’ansia e lo stress facendo sport, ascoltando musica classica e praticando 10 minuti al giorno di mindfulness; a dover essere messe in discussione, infatti, non sono le nostre singole abitudini di vita individuali (che anche chissenfrega, sinceramente), ma le strutture economiche e politiche delle società a capitalismo avanzato: tutti gli studi, infatti, ci dicono che da noi – molto più che nelle altre società – i cittadini convivono con emozioni negative che conducono spesso a disturbi e collassi psichici. Come scrive il professore di filosofia Vincenzo Costa nel suo ultimo libro La società dell’ansia, prima ancora che merci e servizi, le società producono e distribuiscono emozioni; e cioè – da sempre – i regimi, per auto-conservarsi e prevenire pericoli per chi governa, cercano di influenzare le persone non solo a livello razionale e ideologico, ma anche ad un livello più profondo, a livello emozionale: l’obiettivo è plasmare esistenze che provino solo certe emozioni e non altre, emozioni che le portino ad agire in maniera conforme a quello che ci si aspetta da loro e non soggetti pericolosi per gli i rapporti di forza e di potere esistenti. L’ansia quindi, per quanto possa sembrarci anti-intuitivo, è oggi così diffusa non per un malfunzionamento del sistema, ma anzi perché assolutamente funzionale alle logiche competitive, individualistiche e iper-produttive della nostra società; rispetto poi alla rabbia, all’odio e al senso di ingiustizia, si tratta di un’emozione politicamente innocua, che non porta le persone a organizzarsi per difendere i propri interessi, ma anzi ad interiorizzare sempre di più norme, costumi e aspettative nella speranza di riconoscimento sociale e di eliminare l’ansia. Dalla prospettiva di chi comanda, mentre tolgo diritti essenziali ed opportunità di lavoro per concentrare la ricchezza e il potere in sempre meno mani, è molto più utile avere milioni di giovani che, invece che provare un senso di ingiustizia per questo stato di cose, provino una costante inadeguatezza, disistima e ansia da prestazione e da successo individuale e che quando non raggiungono quello che vorrebbero (o a cui semplicemente avrebbero diritto), invece che provare sana rabbia sociale per chi lavora ogni giorno contro i loro interessi, si sentano invece dei falliti e provino vergogna sociale. Nel corso del video faremo tanti altri esempi come questo; in ogni caso, è importante metterci bene in testa che il motivo per il quale siamo sempre in ansia, quindi, non è un motivo personale, ma un motivo strutturale, un motivo politico, ed ha a che fare con il fatto che ansia e vergogna sociale, come sottolinea giustamente Costa nel suo libro, sono diventate dei veri e propri strumenti e metodi di governo utili a renderci sempre più soli, produttivi e politicamente innocui. La fregatura poi è doppia: l’ansioso pensa che, una volta raggiunto lo status sociale desiderato, l’ansia scomparirà; e invece non è vero. I dati, infatti, ci dicono che anche le persone ad alto reddito e considerate socialmente di successo soffrono dello stesso disturbo di ansia e contribuisco beatamente all’alienazione generalizzata. Insomma: dalla morte della democrazia, alla costante competizione, alle narrazioni isteriche sulla presunta fine del mondo, in questa puntata vedremo quali sono le cause profonde di questa condizione esistenziale per intere generazioni di occidentali e di come questa venga sfruttata per tenere in vita un regime distruttivo e strutturalmente patologico.

La società non è fatta solo di istituzioni politiche, di economia e di strutture sociali, ma è fatta, prima di tutto, di emozioni: “La società” scrive Vincenzo Costa in La società dell’ansia “deve essere intesa come un’articolazione emozionale: le emozioni sono l’intermediario tra azioni individuali e struttura. Tra esistenza individuale e società”; le emozioni che proviamo tutti i giorni, quindi, non sono né irrazionali né da comprendere solo alla luce della nostra esistenza individuale, ma sono frutto della nostra precisa posizione nel mondo e nella storia e di strutture razionali che governano la società in base a determinati interessi. Le emozioni hanno quindi una logica precisa e l’analisi della struttura emozionale in una società è decisiva per comprendere le sue strutture politiche ed economiche ed i cambiamenti in corso. Il primo aspetto da tenere a mente è che in una società, per evitare che il legame sociale collassi, anche le emozioni positive devono essere equamente distribuite; se solo una parte trae i benefici e i vantaggi emozionali dello stare insieme – in termini di sicurezza, autostima, serenità, senso di potenza – e l’altra, invece, solo svantaggi – e quindi insicurezza, disistima, senso di impotenza – allora il legame sociale collassa, e chi subisce trova cose normali rabbia, risentimento e odio. Nelle società neo-liberali, invece, ansia e depressione, ma ci torneremo. Ora, la quantità di emozioni positive o negative provate da un individuo, riflette Costa, è prima di tutto determinata non dal reddito, ma dallo suo status sociale e di potere: gli studi ci confermano infatti che non sono le società povere quelle in cui il legame sociale è in pericolo e l’emozioni positive non sono equamente distribuite, ma le società oligarchiche come le nostre, in cui regnano le diseguaglianze sociali e viene meno lo spirito di comunità e solidarietà.
Se si guarda quindi alle società occidentali contemporanee, si scopre che l’atmosfera emozionale che le caratterizza è, per l’appunto, l’ansia; le nostre pseudo-comunità cercano di aumentare la produzione e di generare innovazione attraverso la produzione in massa di soggetti ansiosi. Nel 2010, una ricerca pubblicata su European Neuropsychopharmacology indicava come, ogni anno, il 38 per cento della popolazione europea soffriva di un disturbo mentale; tra questi, i più frequenti sono i disturbi d’ansia, l’insonnia e la depressione. Anche uno studio più recente dell’Istituto Superiore della Sanità (studio ESEMeD) dimostra come, a livello statistico, in Italia “L’11,1% della popolazione presenta nel corso della propria vita almeno un disturbo d’ansia” e potremmo citare altre decine di studi di questo tipo, che non renderebbero comunque l’idea della portata sociologica del fenomeno in quanto indicano solo i casi strettamente patologici in base a certi criteri e standard clinici utilizzati. “Nel mondo della vita le cose stanno diversamente” sottolinea Costa; “l’ansia percorre l’intera società e perlopiù resta una sofferenza non rilevata dal punto di vista clinico. Le persone, senza ricorrere alle cure mediche, convivono con l’ansia, che è diventata per molti il compagno di viaggio più persistente”.
Come avevamo detto in apertura, l’ansia colpisce molto di più le culture neo-liberali rispetto ad altre: “Anche utilizzando i tutt’altro che scontati criteri del DSM” scrive Costa, “da alcune ricerche emerge ad esempio come nella cultura messicana l’incidenza di ansia e del disturbo psichico è molto inferiore a quella di Stati Uniti, Canada e Paesi Bassi e tuttavia ad esempio doppia rispetto a quella documentata in Turchia”. Secondo una ricerca del 2007 del Britsh Journal of Psichiatry, il tasso di disturbo mentale in Messico è inferiore del 46 per cento a quello degli Stati Uniti e, tuttavia, più alto del 12,1 per cento rispetto a quello riscontrabile in Nigeria: non è, insomma il PIL, la modernità o la straordinaria fortuna di vivere nel regno dei valori occidentali a salvaguardaci dall’infelicità e dal collasso mentale; anzi, sembrerebbe quasi l’opposto. Ma veniamo alle ragioni fondamentali di questa epidemia di ansia nei regimi neoliberisti occidentali: dall’analisi di Costa emerge come, da una parte, essa sia il frutto di alcune condizioni materiali oggettive (che colpiscono soprattutto i giovani) come la mancanza di lavoro, lo smantellamento dello stato sociale e il dover vivere sempre in allerta, pronti ad emigrare laddove il mercato lo richiede; ma poi anche fattori culturali come il venir meno di legami sociali e comunitari forti, che privano di significato l’esistenza e alimentano insicurezza, precarietà e solitudine. O ancora, del clima apocalittico emergenziale che politica e media alimentano volutamente per i propri interessi e che possiamo dire sia diventato, anch’esso, un vero e proprio metodo di governo e di profitto: “L’ansia è la consapevolezza e l’atteggiamento” scrive Costa “di chi avverte in maniera pre-riflessiva che la propria vita (nel lavoro o nelle relazioni) è nelle mani di altri, che il proprio essere nel mondo è caratterizzato da una precarietà impadroneggiabile”; alla base dell’ansia sta quindi forte l’esperienza di un mondo precario il cui nucleo ontologico è l’instabilità e l’imprevedibilità. “Nell’ansia gli eventi incombono” afferma Costa – ed è dunque frutto della percezione, assolutamente giustificata in società oligarchiche – che la propria vita è nelle mani di altri: “Le possibilità diventano effimere e possono svanire in maniera improvvisa e imprevedibile. Banalmente, al momento del rinnovo del contratto di lavoro” scrive Costa.
L’ansia generalizzata non è però solo il prodotto di questa insicurezza esistenziale data dallo smantellamento materiale delle socialdemocrazie e dei diritti sociali, perché c’è un altro aspetto ancora più importante e pervasivo ed è la costante competizione e confronto con l’altro a cui l’uomo neo-liberale (e specialmente i più giovani) viene sottoposto, un confronto e competizione che – anche a causa dei social – riguarda ormai ogni ambito della vita e della sfera privata : “Tempo libero, vita privata, dimensione famigliare e amicale: nessun aspetto della vita sociale si sottrae alla prestazione e alla comparazione” scrive Costa. Questo senso di competizione costante, purtroppo, non è frutto di una percezione distorta, ma di come veramente funzionano le cose in società sempre più individualiste e con sempre meno opportunità; prestazione e comparazione è uno dei meccanismi fondamentali attraverso cui lo sfruttamento e l’accumulazione capitalista crea oggi forza lavoro iper-produttiva: “Nel nuovo orizzonte di senso del capitalismo neoliberale, il primo movimento dell’esistenza – il modo in cui si fa la propria apparizione nel mondo – è quello di essere testati, misurati, di dover dimostrare di essere accolti” riflette Costa. “Fare il proprio ingresso nell’esistenza e nella socialità significa ora sentirsi situati in un sistema di test continui, di prove da superare; significa sapere che sei misurato a ogni passo, che tutti ti misureranno: i genitori, gli insegnanti, i compagni, il fidanzato e la fidanzata, l’amante, gli amici”; la necessità di adeguarsi a queste norme e standard, sempre più capillari e intrusivi, produce inevitabilmente esistenze ansiose che quando non collassano nella depressione o in burnout di ogni sorta, diventano (per il bene del regime) iperattive e iper-produttive. E a chi non si adegua a questi standard e alle norme del conformismo – e quindi non riceve il sempre più risicato pezzo di torta in termini di status e riconoscimento – non resta che il senso di fallimento e di vergogna sociale, un asociale ripiegamento su se stessi e uno status da perdenti stigmatizzato oggi, l’unico vero male assoluto. Detto tra parentesi, è anche per questo motivo che culture politiche e sociali differenti come il socialismo e il cattolicesimo, che proponevano visioni differenti da quella puramente agonistica dell’esistenza individuale e della comunità, sono state, in questi decenni, accuratamente criminalizzate spacciandole per roba da gente pigra o, comunque, rimasta al medioevo.
In questa prigione ansiogena – dicevamo – un ruolo fondamentale lo gioca anche la vergogna sociale: l’ansia dell’uomo neo-liberale è dovuta all’ansia di evitare una possibile vergogna e dal senso di disistima e mancato riconoscimento che i suoi fallimenti sociali potrebbe comportare; da questo punto di vista, scrive Costa, l’ansia potrebbe essere descritta allora come “l’anticipazione di una vergogna possibile”; per questo, aggiunge poi “La produzione della vergogna è il modo in cui il potere si appropria delle nostre esistenze”. Ma c’è poi una doppia fregatura per chi vive in questa nostra comune condizione esistenziale: l’esistenza ansiosa crede infatti che, una volta ottenuto il riconoscimento sociale prefissato, l’ansia cesserà, ma è un’illusione; anzi, tanto più cerca il riconoscimento e l’approvazione per placare l’ansia, riflette Costa, tanto più si espone ad essa e ne diviene vittima. Non esiste quindi gradino e status sociale in grado di colmare la infinita sete di riconoscimento dell’uomo neo-liberale: “L’ansia” scrive Costa “diviene un vortice da cui l’esistenza non sa più uscire” ed è quindi vero che chi sta sotto e subisce le politiche capitaliste è inevitabilmente più vulnerabile alle condizioni materiali che scatenano insicurezza e ansia. Ma anche chi sta sopra è vittima della stessa ansia da prestazione e riconoscimento sociale. Per quanto sia chiaro, solo attraverso la politica contro di loro e i loro interessi si può sperare di distruggere questa macchina alienante; per concludere, possiamo quindi dire che il potere lavora costantemente per modificare il rapporto che intratteniamo con le nostre emozioni. In questo caso, è fondamentale per la sopravvivenza del regime che le vittime non provino mai rabbia e senso di ingiustizia per ciò che viene loro tolto ogni giorno, ma solo un’ansia generalizzata che li porta ad essere ancora più produttivi, una costante paura della vergogna sociale per non essere riconosciuti tra i sempre più pochi vincitori.
Dalla prospettiva del potere, tutti questi disturbi psichici (compresa la depressione) a cui esistenze come le nostre sono alle volte inevitabilmente destinate, sono tutto fuorché un problema sociale; un problema sociale sarebbe, invece, se la smettessimo – per una volta – di subire tutto questo e se, preferibilmente con le buone, gli facessimo capire che l’aria è cambiata e (insieme al loro potere) anche la loro macchina alienante sta per arrivare alla fine della corsa. E se anche tu ti sei stancato di fare da spettatore passivo mentre oligarchie rapinano ricchezze e impongono visioni del mondo e meccanismi di sfruttamento sempre più capillari e alienanti, di cui anche tu e le perone intorno a te sono inevitabilmente vittima, allora unisciti a noi: iscriviti a Multipopolare e aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non è aderisce è Joe Biden

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