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Tag: attacchi

Attacchi tecnologici in Libano: la parola ai testimoni – ft. Enzo Infatino

Cosa accade in Libano? Come evolverà il conflitto? Il 18 settembre, in ricorrenza del massacro di Sabra e Shatila, Israele ha lanciato un vasto attacco tecnologico su tutto il territorio libanese. Nei giorni successivi ha avviato una campagna di bombardamento che mette a rischio la pace nell’intera regione mediorientale con il pericolo di un’estensione del conflitto ad altri paesi. Enzo Infantino, del comitato Per non dimenticare Sabra e Shatila, negli stessi giorni si trovava in Libano assieme alla popolazione sotto attacco con una delegazione italiana.

Gli USA scommettono sulla “Grande Israele” – Il piano di Tel Aviv per colonizzare Gaza e Libano

Trecentocinquanta morti, compresi una trentina di bambini e una cinquantina di donne, e quasi duemila feriti: il bilancio dell’operazione shock and awe, avviata ieri mattina dal regime fasciosionista di Tel Aviv nel sud del Libano, mentre registriamo questo video è già più che terrificante, ma è solo l’antipasto; dall’inizio della campagna per lo sterminio di massa della popolazione palestinese di Gaza, Hezbollah ha condotto la sua campagna militare di solidarietà alle vittime del genocidio imponendo a Israele di evacuare sessantamila coloni dai territori dell’estremo nord, un costo politico ed economico insostenibile che ora Tel Aviv vuole mettersi dietro le spalle. Per farlo, però, c’è una sola possibilità: distruggere completamente Hezbollah come organizzazione politica e militare; peccato che, dopo un anno preciso di campagna genocidaria nella striscia, Tel Aviv non sia stata in grado di distruggere nemmeno Hamas (anzi!) e che Hezbollah sia ordini di grandezza più attrezzata e preparata a combattere dei fratelli palestinesi. Esattamente come a Gaza, quindi, l’unica prospettiva realistica che ci troviamo di fronte è quella del genocidio come new normal, la fase estrema della decadenza del vecchio ordine coloniale e imperialista che, per rimandare il suo collasso, non può fare altro che cercare di sterminare letteralmente tutti quelli che non ne tessono appassionatamente le lodi: come direbbe il compagno Rampini, anche a questo giro, Grazie, Occidente!

Attacchi in Libano

“Per affrontare quello che sta accadendo, l’emotività non serve. Non funziona. Quello che serve è fare un respiro profondo e guardarci attentamente attorno per capire esattamente cosa è successo, perché è successo, come è successo e dove siamo diretti da ora in poi. E dobbiamo essere chiari: non è il nemico che all’improvviso ha deciso di aprire il fuoco. Quelli che hanno deciso di aprire il fuoco siamo stati noi, a sostegno di Gaza. E quando lo abbiamo fatto, non è stata una reazione emotiva, come una compagnia di giovani amici del vicinato che decide di vendicarsi con un vicino perché ha osato insultare un membro della gang. Al contrario, lo abbiamo fatto con la piena consapevolezza di quale fosse il vero obiettivo di tutta la resistenza: rimuovere l’entità occupante. E’ chiaro che si tratta di un obiettivo che nella mente di molti risulta totalmente irrealistico e immaginario, ma per un gruppo di persone di questa regione in realtà è molto concreto. Ed Hezbollah è la prima linea di quel gruppo di persone. Per perseguire questo obiettivo, ovviamente, è necessaria una stretta collaborazione con le popolazioni coinvolte in prima linea, e cioè i palestinesi. Il rapporto tra la resistenza in Libano e tutti coloro che combattono il nemico in Palestina perciò è indissolubile. Ecco perché chi pensava che fosse possibile costringere la resistenza in Libano al silenzio mentre assisteva a quello che stava avvenendo a Gaza o è sciocco, o mente” . Per i benpensanti del mondo libero e democratico che, anche di fronte alle peggiori atrocità, si trincerano dietro la formula del diritto di Israele all’autodifesa, l’editoriale della testata della sinistra antimperialista libanese Al-Akhbar non può che suonare come la più intollerabile delle eresie. Non potrebbe essere altrimenti: da un lato, infatti, sotto più o meno mentite spoglie siamo sempre e comunque di fronte al sostegno incondizionato al progetto coloniale che, al limite, può essere criticato per le forme concrete che assume in una determinata fase e per gli eccessi di alcune fazioni; dall’altro, siamo di fronte alla critica radicale di ogni progetto coloniale in quanto tale. Sostenitori del colonialismo vs militanti anti-colonialisti: il conflitto più profondo che attraversa i cinque e passa secoli di storia del capitalismo e l’unica lente che permette di inquadrare correttamente anche quello che sta avvenendo in queste ore in Libano.
Lo ha confermato ieri con estrema chiarezza lo stesso governo israeliano; questo è un tweet di Amichai Chikli, l’ultra-reazionario e turbo-suprematista ministro della diaspora e della lotta all’antisemitismo del regime fasciosionista di Tel Aviv: “Il Libano” scrive “anche se ha una bandiera e delle istituzioni politiche, non soddisfa la definizione di Paese. In assenza di un monopolio del potere sia all’interno che all’esterno, il governo libanese non può essere considerato un’entità sovrana. L’intera zona al confine con Israele, abitata in maggioranza da una popolazione sciita ostile, è infatti controllata di fatto da Hezbollah, che a partire dall’8 ottobre ha iniziato una guerra contro lo Stato di Israele. Per chi se lo fosse dimenticato” continua Chikli “l’organizzazione è nata con lo sbarco degli ufficiali delle Guardie Rivoluzionarie iraniane nella Valle della Beqa’ alla fine della Prima Guerra del Libano, e fino ad oggi funge da milizia di fatto che opera con finanziamenti e direzione iraniani”. Ma secondo questa fantasiosa ricostruzione, al servizio delle più feroci ambizioni coloniali sioniste e in totale contrasto con il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite, non è solo il Libano a non soddisfare i criteri minimi di sovranità nazionale – e quindi a legittimare la volontà del regime fasciosionista di ridisegnare i confini dell’intera regione per dare vita finalmente alla Grande Israele: “In una visione più ampia” continua infatti Chikli “sia la Siria che l’Iraq non soddisfano attualmente la definizione di Stato alla luce del fatto che diverse milizie, eserciti stranieri e forze militari locali controllano aree diverse”; secondo Chikli, quindi, “Le linee di tracciamento di Sykes e Picot” e, cioè, i due diplomatici britannico e francese che alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alla sconfitta dell’impero ottomano, siglarono il patto segreto di spartizione del Medio Oriente da parte delle potenze coloniali che, sostanzialmente, è arrivato fino ad oggi, “non sono sopravvissute alla prova del tempo”. Sono invece “le linee di faglia settarie e religiose, il percorso topografico e la potenza militare” insiste Chikli “che delineano i confini tra le diverse popolazioni della zona” e, alla luce di questo, “il quadro attuale, che ci ha portato a evacuare decine di migliaia di residenti dalle loro case per paura di un’invasione di terra da parte delle milizie iraniane, ci impone di ricalcolare il percorso relativo alla linea di confine con l’entità che si autodefinisce Stato: il Libano”. Insomma: il colonialismo europeo era troppo generoso e ottimista e ha disegnato i confini del Medio Oriente a cazzo di cane; noi, ora, che siamo gli eredi di quel colonialismo, abbiamo il diritto di ridisegnarli un po’ come cazzo ci pare per rilanciare il progetto coloniale che, così com’è, è troppo poco ambizioso ed è continuamente messo sotto stress dai vicini, e dare finalmente vita alla Grande Israele, unica soluzione che può garantire al progetto coloniale un futuro glorioso e la fine ufficiale delle ambizioni dei movimenti di liberazione nazionale e della grande lotta anti-coloniale. Con tanto di disegnino: i nuovi confini dovrebbero inglobare l’area a nord di Metula fino a Marj ʿUyyūn, l’area a nord di Zarit fino a Majdal Zoun e Debl e l’area ad ovest di Kiryat Shmona fino a Meiss el Jabal e Houla, la cittadina libanese tristemente nota per essere stata teatro di un noto massacro durante la guerra arabo-israeliana del 1948, una delle tante storie indicative di come funziona la macchina di morte del colonialismo sionista.
E’ il 24 ottobre del 1948: i militari israeliani della Brigata Carmeli entrano nella cittadina e, anche se non viene opposta nessuna resistenza, nella notte vengono giustiziate a sangue freddo una sessantina di civili. A differenza di oggi, comunque, tutti uomini: donne e bambini erano stati fatti evacuare; altri tempi… Un soldato israeliano in particolare, il tenente Samuele Lais, giustiziò da solo trentacinque persone: un gesto talmente eclatante da sfociare in una delle pochissime condanne nei confronti di carnefici sionisti da parte della Corte suprema di Israele, che gli comminò 7 anni di carcere; alla fine, la pena fu ridotta a un anno, da scontare serenamente in una confortevole base militare. Scarcerato nel 1950, nel 1955 Samuele Lais ottenne il perdono presidenziale retroattivo, divenne avvocato ed ebbe una brillante carriera politica fino a quando, nel 1978, non venne addirittura nominato direttore generale della potente Agenzia ebraica, l’organizzazione che si occupa di facilitare e incentivare l’immigrazione in Israele degli ebrei del tutto in mondo per rafforzare la purezza etnica del regime sionista. E’ sostanzialmente questo il livello di impunità che si aspettano i registi della nuova pulizia etnica israeliana da parte delle proprie istituzioni e di quel pezzo di comunità internazionale che continua a sostenere in modo incondizionato il progetto colonialista del regime fasciosionista: “Gli insediamenti da cui sono stati lanciati missili anticarro saranno evacuati dai loro abitanti e inclusi all’interno di una zona cuscinetto” afferma Chikli, con la strafottenza di chi è convinta di passarla sempre liscia, e “Le aree che consentono il controllo del fuoco e l’osservazione del nostro insediamento devono essere occupate, così come le aree che, a causa dei dati di soccorso e di copertura, possono essere utilizzate come vie di infiltrazione”. E’ importante sottolineare come questo post non sia un ultimissima ora, ma risalga ormai allo scorso sabato; dopodiché Yoav Gallant ha avuto tutto il tempo di confrontarsi serenamente col segretario della difesa USA Lloyd Austin e di ricevere il via libera di Washington alla più sanguinosa campagna aerea in terra libanese dal 1982. L’imperialismo a guida statunitense è, quindi, totalmente coinvolto nell’intera operazione, con sommo dispiacere di quei semplici di cuore e modesti di intelletto che davvero ancora, in cuor loro, sostengono che il problema sia essenzialmente Bibi Netanyahu e il suo governo, un’operazione che – ricordiamo – avanza parallelamente su due fronti: mentre nel sud del Libano gli aerei israeliani, infatti, sterminavano altri 350 civili, da Tel Aviv trapelava il piano per la pulizia etnica definitiva del nord di Gaza. “Secondo il piano” ha confermato il parlamentare del Likud Avichai Boaron al Guardina, “L’IDF evacuerà tutti i civili che si trovano nel nord di Gaza, dal confine fino al fiume Gaza”: “Nell’arco di una settimana” ha dichiarato il generale israeliano in pensione Giora Eiland “l’intero territorio del nord della Striscia di Gaza diventerà territorio militare. E in questo territorio militare, per quanto ci riguarda, nessun rifornimento entrerà. E i 5.000 terroristi che si trovano in questa situazione possono decidere se arrendersi o morire di fame”.
Visto il sostegno incondizionato del mondo libero e democratico al piano definitivo di pulizia etnica da parte di Israele per perseguire il disegno della Grande Israele, l’attenzione quindi necessariamente si deve spostare sul terreno di battaglia e sulla capacità o meno dell’asse della resistenza di contrastare militarmente questa nuova aggressione coloniale: a partire dagli assassinii mirati a sud di Beirut di fine luglio, passando per l’attacco terroristico hollywoodiano dei cercapersone e dei walkie talkie, per finire con la massiccia operazione shock and awe di ieri, l’obiettivo principale del regime fasciosionista di Tel Aviv è riportare i sessantamila coloni sfollati dal nord di Israele nelle loro abitazioni; per raggiungere questo obiettivo, hanno fatto un lavoro certosino per decapitare la catena di comando di Hezbollah, per compromettere i loro canali di comunicazione interni e per terrorizzare l’intera popolazione nel tentativo di indebolire il sostegno popolare alla resistenza. A giudicare almeno da ieri, però, i risultati sono perlomeno discutibili; la reazione di Hezbollah, dal punto di vista strettamente militare, è stata piuttosto massiccia ed efficace: invece di avvicinare il ritorno alle loro abitazioni dei sessantamila sfollati, Israele è stata costretta a ospitare nei rifugi altre trecentomila persone, compresa tutta l’area metropolitana di Haifa, dove non si registravano attacchi dal lontano 2006. E nonostante la potenza di fuoco dell’Iron Dome, che ha intercettato e neutralizzato decine e decine di razzi, non appena Hezbollah è ricorso all’utilizzo di armi leggermente più sofisticate, è stato in grado di colpire installazioni militari e industriali ultra-protette: dal quartier generale del commando nord delle forze armate israeliane alla fabbrica della Rafael a nord di Haifa; dalla base di Ramat David, dalla quale Yoav Gallant aveva annunciato l’inizio della campagna di Libano pochi giorni fa, al deposito di munizioni presso la base di Nimra, per non parlare dei missili che hanno raggiunto gli insediamenti dei settler direttamente in Cisgiordania, dove sono state colpite installazioni dell’Iron Dome, anche se è difficile valutare esattamente con quali conseguenze concrete. E proprio mentre registriamo questo video, come titola il sito israeliano Ynetnews, almeno altri “50 razzi su Kiryat Shmona e nell’area circostante, alcuni dei quali hanno centrato il bersaglio”, a partire da alcuni “magazzini municipali”. Intendiamoci: come scrive Khalil Nasrallah su The CradleHezbollah non nasconde che gli attacchi terroristici e omicidi di Israele della scorsa settimana, e continuati pesantemente ieri nel sud del Libano, dove centinaia di civili sono stati uccisi nell’arco di poche ore, abbiano avuto un effetto agghiacciante e demoralizzante. Tuttavia, diversi indicatori mostrano che la resistenza libanese è stata in grado di assorbire questi colpi e adattarsi rapidamente senza registrare un impatto significativo sulla sua struttura o sulle sue capacità operative”.
Al momento, comunque, il sostegno in Israele per l’operazione sembra sostanzialmente unanime: Israele risponde: azione attesa da tempo contro le minacce di Hezbollah è il titolo dell’editoriale che campeggia nella home page del Jerusalem Post mentre registriamo questo video; “Dopo aver sopportato anni di provocazioni” continua l’articolo “Israele sta intraprendendo un’azione militare decisiva contro Hezbollah per difendere la propria sovranità e garantire la sicurezza”; d’altronde, inizialmente anche il bombardamento a tappeto di Gaza aveva soddisfatto la sete di vendetta dell’opinione pubblica della potenza coloniale, almeno fino a che non è risultato chiaro che quella campagna, nonostante le decine di migliaia di civili sterminati, non sarebbe mai stata in grado di raggiungere nessuno degli obiettivi militari prefissati. E, come sottolineano sempre tutti gli osservatori (senza distinzione), Hezbollah non è Hamas. Quanto impiegheranno, a questo giro, i benpensanti che vogliono sostenere la ferocia coloniale ma senza rinunciare al galateo a scaricare il fallimento di questa ennesima follia omicida sullo sbirro cattivo Bibi Netanyhau? Staremo a vedere.
Quel che è certo è che né la propaganda amica dello sbirro cattivo, né quella che vorrebbe mantenersi incontaminata giocando allo sbirro buono, faranno altro che continuare a giustificare alla radice il progetto coloniale e il diritto dell’avanguardia dell’imperialismo a guida USA di imporre la sua volontà e i suoi interessi a suon di stermini di massa e di pulizie etniche. Per farlo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che sia autenticamente contro ogni forma di colonialismo e di imperialismo e dalla parte della lotta di liberazione dei popoli e del 99%; aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è David Parenzo

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Jorit smaschera la propaganda anti – russa una volta per tutte

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