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Tag: amnesty international

LA STORICA SENTENZA CONTRO ISRAELE: se il SudAfrica sconfigge per le seconda volta l’Apartheid

Una giornata storica.
Lo scorso venerdì i giudici del tribunale della Corte Internazionale di Giustizia hanno deciso di respingere la richiesta di archiviazione di Israele rispetto all’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica, hanno riconosciuto la plausibilità che alcuni atti commessi da Israele in questi mesi violino la convenzione ONU sul genocidio e hanno ritenuto che vi sia sufficiente urgenza per ordinare misure provvisorie contro Israele. Contrariamente alle richiese del Sudafrica, purtroppo, non si fa riferimento ad un cessate il fuoco a Gaza, ma viene comunque ordinato a Tel Aviv di “prendere tutte le misure per prevenire qualunque atto di genocidio”. Non solo. La presidente della Corte Donoghue ha inoltre fatto richiesta a Tel Aviv di riferire alla Corte entro un mese e ha affermato che dovranno essere adottate misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e l’assistenza umanitaria necessaria ai palestinesi della Striscia.

Triestino Mariniello

È impossibile minimizzare la portata politica di questa presa di posizione, che ridà speranza a milioni di palestinesi di vedere finalmente riconosciute e condannate le atroci violenze che il governo israeliano sta compiendo non solo in questi giorni, ma in tutti questi anni, e che ridà dignità ad una Corte sulla carta imparziale ma che, negli scorsi decenni, era sembrata solo l’ennesimo strumento nelle mani delle mire egemoniche occidentali. “A mia memoria mai uno strumento del diritto internazionale ha avuto tanto sostegno e popolarità” ha dichiarato Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool; “Quello che sta succedendo all’Aja” ha continuato “ha un significato che va oltre gli eventi in corso nella Striscia di Gaza. Viviamo un momento storico in cui la Corte internazionale di giustizia (Icj) ha anche la responsabilità di confermare se il diritto internazionale esiste ancora e se vale alla stessa maniera per tutti i Paesi, del Nord e del Sud del mondo”. Ma oltre al profondo significato simbolico e politico, questa decisione storica potrebbe avere anche delle conseguenze immediate sulla vita dei palestinesi, perché se è vero che il processo vero e proprio comincia soltanto adesso e che per il verdetto finale ci vorranno forse anni, il tribunale – intimando al governo israeliano di “prendere tutte le misure in suo potere” per prevenire atti genocidiari – esercita una pressione politica tale su Tel Aviv che, probabilmente, lo indurrà a cambiare il suo modo di condurre la guerra. Adesso la palla passerà, con ogni probabilità, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e vedremo se gli Stati Uniti perderanno definitivamente la faccia mettendosi di traverso alle decisioni della Corte. In ogni caso, potremo pensare a venerdì 26 gennaio 2024 come a un giorno di parziale vittoria – forse il primo di tanti – nella storia della resistenza e dell’indipendenza nazionale del popolo palestinese. In questa puntata vedremo le reazioni di Israele a questa decisione della Corte, analizzeremo nel dettaglio l’impianto accusatorio del Sudafrica e quello della difesa israeliana e, infine, parleremo anche di un altro filone processuale che potrebbe aprirsi – questa volta alla Corte di Giustizia Penale Internazionale – alla quale Messico e Cile hanno fatto richiesta di indagare sugli esponenti del governo Israeliano per genocidio e crimini contro l’umanità.
Il termine genocidio è stato coniato dopo la seconda guerra mondiale dal giurista polacco di origine ebraica Raphael Lemkin; la sua campagna per il riconoscimento di questo crimine nel diritto internazionale portò all’adozione della Convenzione ONU sul genocidio nel dicembre del 1948. Lo scorso dicembre il Sudafrica ha accusato il governo di Netanyahu di fronte alla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aja di aver violato l’articolo 2 di questa convenzione, ossia di avere commesso atti con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale e, cioè, i palestinesi di Gaza: “Come popolo che ha assaggiato i frutti amari dell’espropriazione, della discriminazione, del razzismo e della violenza sponsorizzata dallo Stato, siamo chiari sul fatto che staremo dalla parte giusta della storia”, ha detto il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa. Data l’urgenza e la gravità della situazione, il Sudafrica aveva chiesto alla Corte, in attesa del processo, di adottare alcune misure cautelari che, come abbiamo visto, ad esclusione dell’immediato cessate il fuoco sono state in gran parte accolte: le reazioni non si sono fatte attendere: il Sudafrica ha esultato parlando di una riaffermazione dello stato di diritto, e persino l’Unione Europea ha chiesto che le misure vengano rispettate. Netanyahu ha invece definito “oltraggioso” il comportamento della Corte e il suo il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir ha definito, tanto per cambiare, i giudici dell’Aja antisemiti, affermando che le loro decisioni “dimostrano ciò che era noto da tempo: il tribunale non cerca la giustizia ma solo di perseguitare il popolo ebraico”. Non essendoci possibilità di appello, sta allo Stato ebraico decidere se rispettare queste misure; nel caso, però, che non si attenga alla sentenza, spetterà al Consiglio di Sicurezza dell’ONU decidere se intervenire affinché Israele applichi effettivamente la decisione della Corte: a quel punto, data per scontata l’adesione degli altri membri del Consiglio alle decisioni del tribunale, bisognerà vedere cosa decide di fare Washington. Sì: avete capito bene. Non sarebbe la prima volta che gli Stati Uniti si avvalgono del proprio diritto di veto al Consiglio di Sicurezza per proteggere Israele, ma sarebbe comunque la prima volta in assoluto che lo eserciterebbero contro una decisione precedentemente presa dalla Corte Internazionale di Giustizia. Staremo a vedere.
Per quanto riguarda il prosieguo del processo, per l’accusa l’elemento più difficile da provare sarà il cosiddetto intento speciale, e cioè l’effettiva volontà di voler distruggere del tutto o in parte i palestinesi di Gaza in quanto tali, ossia in quanto palestinesi e in quanto abitanti di Gaza: “È l’elemento più difficile da provare, ma credo che il Sudafrica in questo sia riuscito in maniera solida e convincente.” ha dichiarato il giurista internazionale Mariniello in un’intervista rilasciata alla testata Altraeconomia. La prova di questa intenzione sarebbero gli omicidi di massa, le gravi lesioni fisiche e mentali e l’imposizione di condizioni di vita volte a distruggere i palestinesi, come l’evacuazione forzata di circa due milioni persone, la distruzione di quasi tutto il sistema sanitario della Striscia e l’assedio totale dall’inizio della guerra con la privazione di beni essenziali per la sopravvivenza come acqua, viveri ed elettricità. Nella memoria di 84 pagine presentata dal Sudafrica vi sono anche le innumerevoli dichiarazioni esplicite dei leader politici e militari israeliani che proverebbero tale intento, come quella di Netanyahu che, all’inizio delle operazioni, ha invocato la citazione biblica di Amalek che, sostanzialmente, significa “Uccidete tutti gli uomini, le donne, i bambini e gli animali”, o la dichiarazione del ministro della difesa Yoav Gallant che ha dichiarato che a Gaza sono tutti animali umani e che l’esercito israeliano avrebbe agito di conseguenza: “Queste sono classiche dichiarazioni deumanizzanti, e la deumanizzazione è un passaggio caratterizzante tutti i genocidi che abbiamo visto nella storia dell’umanità” afferma Mariniello.

Israel Katz

L’impianto difensivo di Israele si basa, invece, su tre punti fondamentali: il fatto che quello di cui lo si accusa è stato in verità eseguito da Hamas il 7 ottobre; il concetto di autodifesa, cioè che quanto fatto a Gaza è avvenuto in risposta a tale attacco e, infine, che sono state adottate una serie di precauzioni per limitare l’impatto delle ostilità sulla popolazione civile. ”Non vi è alcuna base per le affermazioni del Sudafrica contro Israele. Anzi. Non è stata presentata alcuna prova a riguardo, solo l’evidenza di una guerra difensiva” aveva dichiarato il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz al termine delle arringhe del team di difesa all’Aja, ma questa narrativa – che è anche la narrativa dominante nei media e nei palazzi del potere del nostro paese – secondo la quale Israele si starebbe semplicemente difendendo contro un attacco da parte di un’organizzazione terroristica, oltre che politicamente insensata per chiunque abbia un minimo di buon senso, appare anche giuridicamente molto debole in quanto presuppone di ignorare completamente la storia e il contesto dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi: “Esiste sempre un contesto per il diritto penale internazionale e l’autodifesa, per uno Stato occupante, non può essere invocata” chiarisce Mariniello; Israele, insomma, per appellarsi all’autodifesa dovrebbe completamente cancellare la propria storia di potenza colonizzatrice – più volte denunciata da decine di Stati e organizzazioni internazionali – e il suo status giuridico di potenza occupante. Dovrebbe, insomma, provare che le 500 pagine scritte da Human Rights Watch e Amnesty International che descrivevano dettagliatamente il sistema di apartheid sui palestinesi e pubblicate due anni prima dell’attacco del 7 ottobre, non esistono, e dovrebbe provare anche che non esistono le decine di risoluzioni ONU che ne hanno condannato, in questi anni, il comportamento a Gaza e in Cisgiordania.
Come scrive Francesca Albanese nel suo ultimo libro J’Accuse, anche il processo di deumanizzazione dei palestinesi – supporto retorico e ideologico alla loro eliminazione – non è certo un fatto nuovo, ma va avanti ormai da decenni: “Questa definizione di animali umani” scrive “in realtà, è il prodotto ultimo di un processo di disumanizzazione del quale il popolo palestinese è vittima da tempo. I sostenitori di Israele hanno elaborato narrazioni che ritraggono i palestinesi come una minaccia esistenziale per il popolo ebraico e le rivendicazioni palestinesi per il riconoscimento dei propri diritti individuali e collettivi, sanciti da trattati internazionali universali e da centinaia di specifiche risoluzioni dell’ONU sulla questione israelo – palestinese, come una sfida diretta alla vita stessa di Israele.”; “Come spiegano gli studiosi Neve Gordon e Nicola Perugini” continua Albanese “Israele giustifica l’uso della forza contro i palestinesi, compresi i bambini, presentando l’intero collettivo palestinese come una minaccia intrinsecamente terroristica.” In ogni caso, il Sudafrica ha anche chiarito – se mai ce ne fosse stato bisogno – che anche in caso di autodifesa è comunque legalmente e moralmente vietato commettere un genocidio. Insomma: la reazione generale degli studiosi di diritto è stata critica verso la performance giuridica degli avvocati israeliani: “Il team israeliano ha mostrato debolezza giuridica” ha detto Mariniello; “si è concentrato su narrazioni politiche perché la posizione giuridica è indifendibile. ”Anche l’altro elemento sottolineato dal team israeliano riguardo le misure messe in atto per ridurre l’impatto sui civili, è sembrato più retorico che altro: il numero esorbitante di vittime civili, comprese donne e bambini – più di 25 mila in poco più 110 giorni di guerra – smentisce infatti in modo plateale tali dichiarazioni.
Nel frattempo, altri Stati stanno decidendo di costituirsi a sostegno di una o dell’altra parte: la Germania, ad esempio, che pure dovrebbe essere una dei massimi esperti di genocidio ma che ha, evidentemente, un incredibile fiuto per schierarsi sempre dalla parte sbagliata della storia, ha detto che sosterrà Israele; il Brasile, i paesi della Lega Araba, molti stati sudamericani (ma non solo) si stanno invece schierando con il Sudafrica. L’Italia non appoggerà formalmente Israele; la Francia rimarrà neutrale. Si può dire che i paesi del Global South stanno costringendo quelli del Nord globale a verificare la credibilità del diritto internazionale: vale per tutti o è un diritto à la carte? Ma i guai per Israele non sembrano finire qui: Cile e Messico hanno infatti chiesto alla Corte Penale Internazionale, che si occupa invece delle responsabilità penali individuali, di indagare sui crimini commessi dagli esponenti del governo e dell’esercito israeliano in questi mesi di guerra; in una dichiarazione rilasciata il 18 gennaio, Messico e Cile hanno dichiarato che il loro deferimento alla Corte era “dovuto alla crescente preoccupazione per l’ultima escalation di violenza, in particolare contro obiettivi civili, e la presunta continua commissione di crimini sotto la giurisdizione della Corte”.
Il deferimento presentato da Cile e Messico fa seguito a quello di Bolivia, Sudafrica, Gibuti e Comore che, a novembre, si erano rivolti alla Corte chiedendo al procuratore capo Karim Khan di indagare sulla commissione di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio in Palestina: anche prima degli attacchi in corso su Gaza, iniziati il 7 ottobre, le organizzazioni palestinesi per i diritti umani avevano ripetutamente invitato Khan a rilasciare dichiarazioni preventive “per scoraggiare la commissione di ulteriori crimini” da parte dell’Occupazione; queste richieste, insieme a quelle per accelerare le indagini, sono però state ignorate. Vedremo nelle prossime settimane come evolveranno queste indagini; quello che è sicuro è che dopo 3 decenni di sostegno incondizionato da parte di tutto l’Occidente collettivo e delle istituzioni internazionali all’apartheid israeliano, qualcosa si è irreversibilmente cominciato ad incrinare e che questo è stato reso possibile dalla determinazione di un paese – e una classe dirigente – che la battaglia contro l’apartheid l’ha vissuta direttamente sulla sua pelle vincendola già una volta. Il XXI secolo passerà alla storia come il secolo della Grande Decolonizzazione, quando finalmente le masse sterminate del Sud globale misero definitivamente fine al dominio di una piccola minoranza sul resto del mondo attraverso il ricorso sistematico alla violenza; abbiamo bisogno di un media che stia dalla parte giusta della storia. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Benjamin Netanyahu