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Putin e Trump costruiscono il nuovo ordine mondiale – ft. Elena Basile

Torna ad Ottolina Tv, ospite graditissima, l’ambasciatrice Elena Basile. Cosa c’è dietro il rientro di Cecilia Sala in Italia? E quale sarà il ruolo di Giorgia Meloni in un’Europa sempre più debole con gli Stati Uniti che rivendicano il proprio primato internazionale? Trump e Putin troveranno una quadra per un ordine politico-militare più stabile sul confine orientale? Cosa ci aspettiamo nel 2025 in Medio Oriente? Cerchiamo di trovare il bandolo della matassa!

Strage di Bologna: chi tirava i fili dell’ eversione nera?

A pochi giorni da una storica sentenza sulla strage di Bologna del 1980, i nostri Clara e Gabriele intervisteranno lo storico ed esperto di strategia della tensione Davide Conti. Si parlerà del caso specifico, contestualizzando le ingerenze di poteri nascosti e potenze straniere nella storia repubblicana. Chi muoveva i fili del terrorismo nero?

Metamorfosi – Il piano degli USA per dominare il Medio Oriente (puntata 24)

Torna Metamorfosi: nel talk di oggi Alberto Fazolo intervisterà Francesca Perri (Sanitari per Gaza), Samir Al Qaryouti (giornalista) e Antonello Sacchetti (divulgatore e autore del canale ‪@AntonelloSacchetti‬) attorno ai recenti fatti mediorientali. Da Gaza alla Siria, dal Libano all’Iran, come si sta modellando il nuovo ordine regionale? Cerchiamo di far luce assieme.

Putin è pronto ad intervenire in uno Stato fantasma in piena Europa

Oggi il nostro Gabriele Germani ha intervistato Matteo Peggio (console della Repubblica Bielorussa per la regione Lazio). Si è parlato di Transnistria, Ucraina e conflitto, prospettive future e problematiche alla luce della presidenza Trump. I nodi che hanno portato alla crisi rischiano di rimanere irrisolti.

Apocalisse di fuoco a Los Angeles, ultimo atto dell’Impero USA – ft. Roberto Vivaldelli

Il presidente Biden ha dichiarato la catastrofe e annullato la visita programmata in Italia per il colossale incendio che sta divorando ettari di foreste e città in California, la roccaforte dem. I quartieri VIP di Los Angeles sono ridotti un cumulo di cenere, mentre i vigili del fuoco tentano di spegnere le fiamme con mezzi di fortuna, senz’acqua e in condizioni disastrose. E’ l’ultimo atto della presidenza dem, emblema del baratro in cui l’Occidente a guida americana sta precipitando, mentre Trump pensa di riportare ordine nel caos avanzando pretese territoriali sempre più spinte tentando di ripristinare la vecchia dottrina Monroe, tanto cara ai repubblicani. Cosa resterà dell’America? Ne parliamo con il giornalista Roberto Vivaldelli.

Metamorfosi – Trump è in pericolo di vita? Il deep state non accetta la sconfitta – ft. Luca Marfé (puntata 23)

Torna Metamorfosi, il programma condotto da Alberto Fazolo e Gabriele Germani. Oggi è ospite Luca Marfé (giornalista e conduttore del noto programma USA&GETTA su Byoblu) per parlare di USA, Trump e politica estera. Il miliardario scuote il mondo dalla Groenlandia al Medio Oriente: cosa dobbiamo aspettarci? Cerchiamo di far luce!

Russi inarrestabili: respinto l’attacco a Kursk, avanzano su tutti i fronti – ft. Stefano Orsi

Kiev ci riprova nella regione di Kursk, ma va male ed i suoi uomini pagano un caro prezzo in termini di perdite, prigionieri e distruzione degli equipaggiamenti. I russi ne approfittano per rinnovare il loro slancio non solo in questo settore del fronte, ma su tutti gli altri, con importanti guadagni di territorio in pochi giorni. I principali aggiornamenti dal campo di battaglia con Stefano Orsi e Clara Statello.

Trump pronto a distruggere l’Europa per la Groenlandia – ft. Giacomo Gabellini

Cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova amministrazione degli USA? Trump e Elon Musk ancora prima dell’arrivo del nuovo presidente, spaventano il mondo minacciando guerre e ritorsioni economiche, criticando i governi e assegnando territori via social. Siamo davanti a un nuovo paradigma? La nuova amministrazione sta rilancio una nuova Dottrina Monroe per riprendere il controllo dello storico cortile di casa? L’Artico è la prossima via di scontro con Russia e Cina? I nostri Clara Statello e Gabriele Germani hanno intervistato Giacomo Gabellini al riguardo.

USA vs Giappone: la crisi dell’acciaio americano

video a cura di Davide Martinotti

La decisione di Joe Biden di fermare l’acquisizione da 14,3 miliardi di dollari della US Steel da parte della giapponese Nippon Steel ha sollevato un polverone politico ed economico. In questo video esploriamo le motivazioni dietro la mossa di Biden e il ruolo della “sicurezza nazionale” menzionata per fermare l’acquisizione. Quale sarà l’impatto sui rapporti USA-Giappone e sulla percezione degli investimenti esteri negli Stati Uniti e quali sono le radici del declino dell’industria siderurgica americana? Ne parliamo in questo video!

La disfatta di Macron e Zelenskij: l’incredibile storia della 155° brigata franco-ucraina

Il giornalista ucraino Yuri Butusov ha appena pubblicato i retroscena dietro al clamoroso fallimento della 155° brigata ucraina, la celebre formazione militare addestrata in Francia e dotata dei migliori mezzi corazzati europei, la cui creazione era stata annunciata in pompa magna da Zelenskij e Macron e che (come gli Himars, i Leopard, i caccia, i missili a lunga gittata etc etc) avrebbe dovuto “cambiare le sorti del conflitto”, ma che, come nei casi precedenti, si è invece rivelata essere l’ennesima figuraccia militare della NATO in Ucraina. Come vedremo in questa puntata, infatti, giunta sul fronte orientale vicino alla città di Pokrovsk, nella provincia di Donetsk ormai assediata da decine di migliaia di soldati russi, la formazione si è letteralmente sciolta come neve al sole praticamente ancor prima di entrare in azione a causa di impreparazione, fughe e diserzioni; un storia – come vedremo tra pochissimo – per certi aspetti incredibile, ma anche emblematica, in quanto l’ormai risaputa carenza di uomini delle forze armate ucraine non è provocata solo dalle ingenti perdite che (come i russi) subiscono da 3 anni, ma anche appunto proprio dal fenomeno delle fughe e dalle diserzioni di massa. La rivista polacca Gazeta Wyborcza, ad esempio, riferisce (citando ufficiali ucraini sotto anonimato) che in alcune unità le diserzioni supererebbero il numero di perdite per morti e feriti e – come scrive anche la nostra Clara Statello sull’Antidiplomatico – il fenomeno è causato principalmente dalla sfiducia nei confronti della guerra e dall’impreparazione dei soldati: i coscritti sono spesso catturati per strada con violenza dai reclutatori e, dopo pochi giorni trascorsi nei centri di reclutamento, sono mandati al fronte. I tempi di addestramento sono ormai diventati rapidissimi e senza preparazione militare: un soldato può essere impiegato praticamente solo come barriera umana contro l’artiglieria russa. Comprensibilmente, tanti ucraini non hanno più alcuna voglia di morire come carne da cannone in una guerra ormai persa e scappano: stando agli ultimi dati ufficiali forniti dalla procura di Kiev, oltre 100 mila soldati hanno abbandonato le proprie unità dall’inizio della guerra, di cui la metà solamente nell’ultimo anno. A causa delle sconfitte militari, del calo di consensi, del prossimo insediamento di Trump e dei negoziati alle porte, diventa sempre più difficile tra qualche mese immaginarsi Zelenskij e la sua classe dirigente ancora capo dell’Ucraina. E, sotto molti aspetti, lo stesso discorso vale per la Francia di Macron – di cui in questi mesi vi abbiamo raccontato l’inesorabile crisi economica e politica – alla quale proprio in questi giorni Senegal e Ciad hanno fatto sapere di non essere più la benvenuta nelle loro terre. Per tutti questi motivi, la storia della 155° brigata franco-ucraina rimarrà probabilmente alla storia come uno dei simboli di questa fase delle guerra, del declino dell’Europa e delle conseguenze delle sconfitta della NATO nella sua guerra per procura contro la Russia.

Addestramento della 155° brigata Anna di Kiev

Lo scorso 6 giugno, in occasione dell’80° anniversario dello sbarco in Normandia, il presidente Emmanuel Macron aveva annunciato che la Francia avrebbe addestrato ed equipaggiato una brigata ucraina: la 155° brigata meccanizzata autonoma (chiamata anche Anna di Kiev in onore di una principessa ucraina divenuta regina di Francia dopo aver sposato il re Enrico I nel 1051) era stata annunciata dal capo dell’Eliseo come un fattore importante nella guerra in Ucraina in quanto comprendeva, tra le altre cose, 30 carri armati tedeschi Leopard 2 e 18 obici Caesar di fabbricazione francese. Insomma: una dotazione davvero di tutto rispetto; si trattava di una delle quattordici nuove brigate che avrebbero dovuto essere addestrate ed equipaggiate dai Paesi occidentali e il progetto, dal valore di 900 miliardi di dollari, prevedeva la formazione di una forza composta da oltre 5.800 uomini. Nello specifico, circa 1.500 istruttori e traduttori francesi avrebbero addestrato 2.300 ucraini, mentre diverse centinaia di carristi sarebbero stati addestrati in Polonia per l’utilizzo dei Leopard 2; il resto dei 4.500 membri della brigata, il cui quartier generale si trova nella regione di Rivne, sarebbe stato formato, invece, in Ucraina. Ma la realtà si è rivelata molto diversa dalle aspettative: durante i nove mesi di addestramento tra Ucraina occidentale, Polonia e Francia, sono emerse gravi difficoltà date dall’impreparazione delle truppe e, stando a diversi analisti ucraini (e non solo), dalla malagestione dei vertici militari; dei 1.924 volontari inviati in Francia, ad esempio, solo 51 avevano un’esperienza militare superiore a un anno, mentre la maggior parte si era arruolata nei due mesi precedenti. A fine novembre, mentre il personale di comando della brigata era ancora in Francia, una buona parte della fanteria della brigata, dopo un addestramento rapidissimo anche per gli attuali standard ucraini, è stata inviata a Pokrovsk dove, scrive il corrispondente di guerra Butusov nel suo articolo, ha immediatamente vacillato: le nuove truppe reclutate, senza alcuna esperienza, venivano aggiunte a caso alla brigata e, quando necessario, estratte da essa (non addestrate) per riempire i buchi altrove; il risultato è stato che prima che la brigata fosse dispiegata a Pokrovsk, almeno 1.700 soldati si sono assentati senza permesso in diversi momenti e circa 500 risultano ancora dispersi. Insomma: hanno disertato; così l’unità, che doveva rinforzare le difese contro l’avanzata russa nella regione orientale, è entrata in azione con numeri ridotti e senza il necessario supporto logistico.

Gli scontri iniziali sono stati devastanti: gravi perdite umane e materiali, inclusi i carri armati Leopard 2A4 e i veicoli corazzati VAB, hanno segnato i primi giorni di combattimento; la mancanza di droni e disturbatori elettronici, fondamentali per operazioni moderne, ha ulteriormente aggravato la situazione. Commenta così Butusov, evidentemente adirato per le decisioni dei propri vertici militari: “Nominalmente la brigata era stata completamente equipaggiata dalla Francia. Aveva artiglieria e veicoli blindati. Ma mancava il materiale che l’esercito ucraino avrebbe dovuto fornire. La brigata non aveva droni né attrezzature per la guerra elettronica. Non aveva i mezzi per avere una visione d’insieme del campo di battaglia e per difendersi dai droni russi che attaccavano immediatamente qualsiasi cosa si muovesse. Il nuovo equipaggiamento pesante che la brigata ha cercato di portare al fronte è stato distrutto prima di raggiungere le posizioni assegnate. Inoltre, tutte le munizioni da mortaio da 120 mm di fabbricazione ucraina fornite dall’esercito ucraino alla brigata si sono rivelate difettose e inefficaci. Senza droni e artiglieria e in pieno caos, la brigata non riuscì a tenere la linea assegnatale, il che portò a uno sfondamento delle forze russe”. Stando al quotidiano francese La Voix du Nord, la 155° brigata meccanizzata autonoma sarebbe ormai “quasi sciolta” e in risposta a una domanda del quotidiano, il Ministero della Difesa francese ha affermato che sono state “le forze armate ucraine a organizzare la selezione dei soldati della brigata e il controllo dei flussi”, suggerendo che la responsabilità della disfatta sia esclusivamente dovuta alla cattiva gestione della leadership di Kiev. Della stessa opinione sembrerebbero anche gli analisti militari ucraini: il noto blogger militare Serhi Sternenko, ad esempio, ha definito la gestione della brigata una “follia che deve essere fermata prima che mini definitivamente la capacità dell’esercito di organizzare la resistenza”; Sternenko ha criticato il fatto che alla direzione della brigata non sia stata data la possibilità di organizzare adeguatamente le unità dopo il ritorno dalla Francia. La deputata ucraina Mariana Bezuhla, membro della Commissione parlamentare per la difesa, la sicurezza e l’intelligence, all’inizio di dicembre aveva già criticato il fatto che la brigata Anna di Kiev fosse stata inviata al fronte in modo scoordinato, descrivendo l’unità come una “brigata zombie” creata per “motivi di pubbliche relazioni”. In seguito alle denunce sulla cattiva gestione e la fuga di soldati, l’Ufficio Investigativo Statale ucraino ha avviato un procedimento legale per far luce sulla vicenda: “Questo è davvero un crimine” ha rincarato Butusov, “ma non dei soldati, bensì dei leader che continuano a sprecare vite e risorse pubbliche in nuovi progetti anziché rafforzare le brigate esperte già esistenti”.

La vicenda della brigata Anna di Kiev è emblematica delle attuali difficoltà di gestione dell’Ucraina delle sue truppe: gli analisti sottolineano l’errore di creare nuove brigate da zero affidandosi a reclute inesperte e donazioni di equipaggiamento invece di consolidare le unità veterane, un tema che abbiamo affrontato più volte qui a Ottolina con Francesco dall’Aglio e Stefano Orsi. Anche Bohdan Krotevych, capo di stato maggiore della brigata Azov, ha espresso dubbi su questa strategia: “È forse idiozia creare nuove brigate e dotarle di tale equipaggiamento, mentre quelle esistenti restano incomplete?”. La perdita di Pokrovsk, sebbene non ancora avvenuta, potrebbe rappresentare un colpo significativo per le difese ucraine, ma l’incapacità di fornire il supporto necessario alla brigata ha anche reso evidenti tutte le falle nell’avventurismo militare di Macron in Ucraina e nel mondo: nei giorni scorsi, altre due nazioni africane, il Senegal e il Ciad, si sono aggiunte a Mali, Niger e Burkina Faso nell’espulsione delle truppe francesi; le giunte militari di questi Paesi avevano già ordinato il ritiro delle forze francesi e di quelle europee guidate da Parigi in Mali (Operazione Barkhane), oltre a quelle tedesche e statunitensi in Niger. Ora anche Dakar e N’Djamena seguono questa strada, proprio mentre Macron lavorava a un piano per ridimensionare la presenza francese nei Paesi africani che ancora tolleravano la sempre più controversa tutela di Parigi: il 27 dicembre, il primo ministro senegalese Ousmane Sonko ha annunciato la “chiusura imminente di tutte le basi militari straniere in Senegal”, un riferimento esplicito alle due installazioni francesi che ospitano circa 350 soldati, dato che nessun altro Paese mantiene truppe in Senegal; Sonko ha spiegato che la decisione è stata presa dal presidente Bassirou Diomaye Faye, senza specificare una data precisa, ma assicurando che avverrà a breve. “È giunto il momento che il Senegal assuma il pieno controllo della propria sicurezza e del proprio territorio, senza ingerenze esterne” ha dichiarato Sonko, aggiungendo che questa scelta si inserisce “nel quadro di una maggiore autonomia nazionale in materia di difesa”; in un’intervista a Le Monde, il presidente Faye ha sottolineato “Il fatto che i francesi siano qui dai tempi della schiavitù non significa che non si possa fare diversamente”.

Come vi avevamo raccontato, anche il governo del Ciad, tradizionalmente il più stabile e fedele alleato della Francia in Africa, ha dichiarato il 28 novembre la fine della cooperazione militare con Parigi con l’obiettivo di “ridefinire la propria sovranità”: questo implica il ritiro di circa 1.000 soldati francesi e una dozzina di aerei distribuiti in tre basi, tra cui Faya Largeau, già evacuata. Il 20 dicembre il governo ciadiano ha chiesto un’accelerazione delle operazioni di ritiro, da completare entro il 31 gennaio: “È ora che il Ciad riaffermi la propria sovranità e ridisegni i suoi partenariati strategici secondo le priorità nazionali” ha dichiarato il ministro degli Esteri Abderaman Koulamallah; le attrezzature saranno trasferite al porto di Douala, in Camerun, per essere riportate in Francia, mentre il personale rientrerà principalmente in aereo. Il Ciad rappresentava l’ultimo avamposto significativo della presenza francese nel Sahel, dopo che Mali, Burkina Faso e Niger avevano optato per la cooperazione con Russia, Cina e Turchia. Questi annunci arrivano proprio mentre la Francia tentava di rilanciare la propria presenza in Africa: un rapporto presentato a novembre da Jean-Marie Bockel, inviato personale di Macron per l’Africa, suggeriva una significativa riduzione delle truppe francesi, eccetto a Gibuti, dove Macron ha trascorso il Natale con i 1.500 soldati di stanza nella guarnigione locale. Arrivati a questo punto non rimane che aggiungere che, poco prima di Natale, Macron e Zelensky hanno annunciato la formazione di una seconda brigata franco-ucraina che sarà addestrata in Francia; non sappiamo quale sarà il destino di questa seconda brigata e possiamo solo immaginarcelo. Quello che è sicuro è che purtroppo le vacanze sono finite e mentre ci auguriamo per questo 2025 la fine della guerra e degli attuali regimi in Francia e Ucraina, siamo ben consapevoli che ci sarebbe poco da festeggiare perché potrebbero essere rimpiazzati da qualcosa di persino peggiore.

Insomma: è sempre più evidente come abbiamo sempre più bisogno di un media veramente libero e indipendente che vi racconti questa delicatissima e difficile fase storica dalla prospettiva dei vostri interessi e non da quelli degli editori mainstream a libro paga dell’impero e delle oligarchie, che sembrano sempre più tentate di andare al conflitto mondiale contro chi si ribella al loro volere a trasformare le nostre società in delle vere e proprie oligarchie autoritarie. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Marine le Pen

Scandalo satelliti: il governo Meloni ha svenduto la sicurezza nazionale per fare un regalo a Musk?

La costellazione di Starlink è stata sviluppata da SpaceX grazie a una quantità spropositata di contributi pubblici e grazie alle feroci politiche protezionistiche messe in campo dagli USA per tutelare i suoi campioni nazionali, esattamente il contrario di quello che vuole fare la sovranista Giorgia Meloni, che invece che proteggere il nostro comparto aerospaziale, si appresta a regalare 1,5 miliardi dei contribuenti all’oligarca più ricco del pianeta e ad appaltare a un privato potenzialmente ostile dati strategici per la sicurezza nazionale. Ne abbiamo parlato con Alessandra Caraffa e Vincenzo Lia, i due animatori di Coms8lina, il format di Ottolina Tv e di Ottosofia dedicato allo spazio e alla space economy. Se volete approfondire, su Ottosofia abbiamo appena pubblicato anche quest’altra biografia critica di Musk e Starlink.

Trump, Elon Musk e il futuro della NASA

Questo è Elon Musk che fa il disagiato mentre Benjamin Netanyahu fa il suo comizio al Congresso USA lo scorso 24 luglio: alla fine di ogni frase, come tutti i convenuti, applaude fino a consumarsi le mani; a differenza degli altri, però, Elon Musk pare fosse tra gli invitati personali del criminale di guerra Netanyahu. Secondo quanto comunicato da Bibi in persona su X, dopo il discorso i due si sono incontrati e hanno parlato di “possibili collaborazioni con Israele in ambito tecnologico”; è già successo con l’Ucraina, d’altronde. Perché lo stato genocida non dovrebbe poter accedere ai servizi di comunicazione satellitare (e non solo) messi su piazza da Musk? Tra i colossali progetti industriali di Musk, Starlink sembrerebbe quello più attraente, almeno per i guerrafondai del mondo democratico. La gigantesca costellazione di satelliti, però, non è l’unico monopolio ad essere nelle mani dell’erede dell’Apartheid paladino e megafono della peggiore deriva alt-right; Musk è anche proprietario di X, il vecchio Twitter, e di Tesla che, nonostante il sorpasso cinese, il Cybertruck e le sceneggiate coi robotaxi copiati da Blade Runner è comunque ancora la seconda casa automobilistica al mondo per vendite di EV. Ma Elon Musk è soprattutto il fondatore, CEO e direttore tecnico di SpaceX, l’azienda aerospaziale che ha rivoluzionato la Space Economy e che ha accumulato un vantaggio competitivo ormai insanabile non soltanto con i competitor privati, ma anche con le agenzie spaziali nazionali, inclusa la NASA.

Ebbene, oggi parliamo proprio di lui: the Great Elon, come lo chiama Trump. Parleremo di Starlink, con cui Elon Musk vorrebbe occupare da solo circa la metà dello spazio totale disponibile sulle orbite basse della Terra, e del suo gemello cattivo Starshield; ma affronteremo più da vicino anche il coinvolgimento di SpaceX nei futuri progetti di esplorazione della Luna, a cominciare dal programma Artemis della NASA, di cui è partner anche l’Italia; con la rielezione di Trump, il ruolo di Musk è cambiato per sempre sotto diversi punti di vista. In questo contesto, le possibili implicazioni del nuovo scenario per il futuro dell’esplorazione spaziale non sono certo tra le più preoccupanti, eppure ci costringono a porci delle domande che, come cercheremo di spiegare in questo video, possiamo tranquillamente definire esistenziali. Il balzo in avanti di Elon Musk avrà delle conseguenze immediate: SpaceX, infatti, non è un player qualunque nella New Space Economy; l’azienda di Elon Musk non dispone solo di Starlink, ma anche della nave spaziale più mastodontica e potente mai costruita dall’uomo e riesce a far recuperare un booster da quasi 200 tonnellate (con i motori accesi) da due bracci robotici che lo raccolgono come fosse una penna che sta per cadere sul pavimento. Gli altri ci riusciranno, forse, nel giro di qualche anno. Musk, insomma, è inequivocabilmente quello che detta il passo ed è anche uno che già da tempo crede di poter parlare a nome del programma spaziale nazionale – non senza qualche ragione: giusto qualche giorno fa, l’Economist scriveva che “il futuro della NASA nella sua interezza è in pericolo se Musk pensa davvero ciò che dice riguardo all’entità dei tagli proposti dal DOGE (2 miliardi di dollari da un bilancio federale di 7 miliardi di dollari). L’organizzazione, che ha poco da mostrare con un bilancio annuale di 25 miliardi di dollari, è sicuramente pronta per il macello”.

L’uomo di Trump

Chi, per un motivo o per l’altro, segue le gesta di Elon Musk da qualche tempo, sa di che razza di squinternato stiamo parlando: è uno che ha lanciato verso Marte un’automobile con lo stereo acceso a palla e ha prodotto e venduto una cosa come 20mila lanciafiamme VERI a nome di una società di trasporti, lo stesso che, a pochi giorni dall’elezione di Trump, stava a flexare sui videogiochi come un quindicenne (pare che nel frattempo sia diventato il giocatore n.1 al mondo di Diablo). Rivendica di essere un consumatore abituale di diversi tipi di sostanze, tra cui la ketamina e il miracoloso farmaco per diabetici che sta facendo dimagrire mezza Hollywood e qualche tempo fa dichiarò pubblicamente in diretta al Saturday Night Live di avere la sindrome di Asperger; nel 2022 propose un piano di pace per l’Ucraina tramite sondaggio su X, l’ex Twitter, poi sfidò Putin a giocarsi l’Ucraina in un incontro corpo a corpo. Ogni tanto pubblica una canzone scritta da lui su soundcloud.
Negli anni ci ha abituati al caos più invadente e disordinato, a vederlo come uno che non andrebbe preso sul serio; ed è esattamente questa l’immagine che ha deciso di dare di sé fino a oggi. Noi che lo seguiamo da tempo, per esempio, non abbiamo ancora capito se quello che abbiamo di fronte è un uomo profondamente cambiato o, semplicemente, uno che ha deciso di scoprire le carte soltanto al momento opportuno. Musk, in effetti, è cambiato negli anni: se nel 2017 rifiutò un incarico nel Governo Trump poiché non sosteneva la decisione di sfilarsi dall’Accordo di Parigi, oggi sogna un mondo senza regole in cui sparare razzi dentro le riserve naturali. Se nel 2015 fu tra i firmatari di una lettera aperta sull’Intelligenza Artificiale che chiedeva il ban totale delle armi intelligenti, oggi irride gli F-35 perché è stupido utilizzare dei soldati quando può pensarci l’IA. Soltanto nel 2022 Musk consigliò a Trump di non candidarsi, “di appendere il cappello e navigare verso il tramonto”: oggi è l’uomo del presidente – l’artefice di un nuovo brand che, almeno per il momento, eccita terribilmente i MAGA.

Il fatto è che, a questo punto, cambia proprio il film: chi vedeva Musk come il nerd scoppiato che voleva realizzare i suoi sogni di fantascienza ispirati al cosmismo russo, ora dovrà abituarsi a un’immagine completamente diversa. Il disordinato caos generato, rappresentato e alimentato da Elon Musk, da adesso in poi, ha assunto un carattere globale: come ormai saprete, Trump gli ha promesso la guida di una nuova commissione per l’efficienza del governo con il potere di raccomandare tagli ad ampio raggio alle agenzie federali e modifiche alle norme federali, il che significa che Musk avrà il potere di “regolare le autorità di regolamentazione che hanno il controllo sulle sue aziende” scrive allarmato il NYT. Musk ha già detto come userà questo spaventoso potere: per iniziare, vuole limitare la supervisione delle autorità ed eliminare alcune norme fastidiose come quella che imponeva a SpaceX di ottenere un permesso per scaricare grandi quantità di acqua potenzialmente inquinata dalla sua piattaforma di lancio in Texas; limitare questo tipo di controlli, che tarpano le ali del geniale tycoon, è l’unico modo per arrivare su Marte. La fantasia di colonizzare Marte e, magari, farci esplodere qualche migliaio di testate nucleari, è centrale nella distopica visione del futuro del miliardario sudafricano – ve ne abbiamo parlato nell’ultimo episodio di Cosm8lina, dedicato al concetto di Destino Manifesto; tornando a Musk, come ha scritto su X, “Il Dipartimento per l’efficienza del governo è l’unica strada per estendere la vita oltre la Terra”. “Se non vince Trump, dite addio alla colonizzazione di Marte” scriveva qualche giorno prima dell’election day. Non so perché ma mi viene in mente uno con la motosega che parla coi cani morti.

Il conflitto d’interessi

Il problema è che Elon Musk è già uno dei maggiori appaltatori del Governo Federale e ha in mano almeno due monopoli strategici: la costellazione satellitare Starlink e il sistema di lancio orbitale più evoluto ed economico al mondo. Come sottolinea il NYT, “Gli esperti legali che hanno studiato le norme etiche federali e l’uso di dirigenti d’azienda esterni come consulenti governativi hanno affermato che le interazioni di Musk con il governo federale sono così ampie che potrebbe non essere possibile per lui servire come consulente di spicco del presidente senza creare gravi conflitti di interesse”; Musk, infatti, ha avuto interazioni e intrecci molto conflittuali con le autorità di regolamentazione e secondo gli esperti “È del tutto ragionevole ritenere che in questa verifica federale egli porti con sé una serie di pregiudizi, rancori e interessi finanziari”. Uno degli ultimi casi si è verificato in occasione del quinto test di Starship, quello dello spettacolare recupero del booster: in quell’occasione, la Federal Aviation Administration aveva tenuto a terra il razzo per settimane a causa delle preoccupazioni per l’impatto ambientale del test; un rapporto del Times, infatti, aveva dimostrato che un precedente lancio di Starship aveva causato gravi danni al fragile habitat degli uccelli migratori che circonda il sito di lancio, distruggendo anche le uova nei nidi vicini. Per farci un’idea più precisa di che tipo di persona sia Elon Musk e di quanta sensibilità scientifica e istituzionale possiamo aspettarci da lui in futuro, vi proponiamo in sequenza i due commenti del Great Elon sulla vicenda: prima, quando è uscita l’inchiesta sui danni ambientali, ha scritto che “Per rimediare a questo crimine efferato, mi asterrò dal mangiare frittate per una settimana”; poi, quando ha capito che ci avrebbe perso dei soldi (tanti soldi), ha iniziato a parlare di “pratiche kafkiane che soffocano il programma spaziale nazionale”. E che c’entra il programma nazionale spaziale con gli esperimenti di Elon Musk? Perché un miliardario può parlare di un programma spaziale nazionale come se fosse cosa propria? Per capirlo basta seguire i soldi, come sempre.

Starlink: bulli spaziali

Iniziamo da Starlink, che sembra affascinare e spaventare tutti tranne i potenziali clienti e gli appassionati dei trenini luminosi visibili nel cielo: Starlink è un progetto così gigantesco e invadente che arriva a disturbare le osservazioni astronomiche e le legittime ambizioni degli Stati sovrani di avere una propria costellazione satellitare. Quello sollevato dagli astronomi – e dalle Nazioni Unite – è un problema molto serio: i satelliti non disturbano soltanto le osservazioni nello spettro del visibile, ma anche nell’infrarosso e nelle radiofrequenze, costringendo gli scienziati a ripetere le osservazioni, accumulando ritardi e sprecando tempo e risorse osservative in attesa di poter osservare una porzione di cielo libera da satelliti. La risposta di SpaceX ai timori dei ricercatori sembrerebbe avere tutte le caratteristiche delle migliori idee di Musk: satelliti neri – praticamente invisibili! Quando si dice il genio… L’espediente rende questi oggetti meno luminosi in banda visibile, ma non nell’infrarosso: ciò, indubbiamente, contribuisce a ridurre la visibilità dei trenini di luci nei nostri centri cittadini, ma non è realmente risolutivo perché i telescopi sono leggermente più potenti dell’occhio umano. Il piano di SpaceX, comunque, si è risolto in maniera fantastica; la vernice scura, inevitabilmente, provocava il surriscaldamento dell’elettronica dei satelliti, cosa che ha condotto gli ingegneri a sviluppare un altro prodotto incredibile: parliamo di VisorSat, una specie di parasole pieghevole che, una volta aperto, impedisce alla luce solare di raggiungere le antenne del satellite, riducendo la luminosità di circa un fattore tre. Queste visiere, però, provocavano inevitabilmente un certo attrito, costringendo i satelliti a consumare più carburante (cosa che in automatico accorcia la loro vita operativa). Il parasole, insomma, è durato ben poco e SpaceX, alla fine, ha deciso di sviluppare una pellicola che rende i suoi satelliti simili a degli specchi, in modo che possano direzionare la luce riflessa lontano dagli occhi degli scienziati. Speriamo vivamente che possa funzionare.

Ma Starlink, dicevamo, costituisce una enorme limitazione anche per le legittime ambizioni degli altri player spaziali, a cominciare dalle agenzie spaziali nazionali: i cinesi, per esempio, hanno criticato sin dal principio il progetto Starlink. A quanto pare, sanno benissimo che le orbite basse della Terra possono accogliere un numero limitato di satelliti e i programmi di Musk sono allarmanti già a questo livello elementare: quando il progetto Starlink sarà completo, l’azienda avrà messo in orbita oltre 40mila satelliti. A questi dovremmo aggiungere i lanci già programmati dai competitor: nei prossimi anni saranno in orbita anche i 4000 satelliti di OneWeb, i 3mila di Kuiper di Jeff Bezos e i 13mila del sistema cinese Guowang; peccato che, secondo gli scienziati, sarà molto difficile che 100mila satelliti in orbita possano essere operati in sicurezza. Come dichiarato in una recente intervista il Professor Jonathan McDowell, astronomo e astrofisico dell’Harvard–Smithsonian Center for Astrophysics, “Sono molto scettico sul fatto che quando raggiungeremo il numero massimo di 100.000 si potrà operare in modo sicuro” anche perché, in un’orbita bassa sempre più affollata, i satelliti saranno costretti a effettuare manovre evasive più spesso del previsto con l’effetto che invecchieranno più velocemente, perché le manovre richiedono propellente, terminato il quale i satelliti diventano spazzatura spaziale da deorbitare e far bruciare in atmosfera. In ogni caso, anche se nelle orbite basse ci fosse posto per circa 100mila satelliti, come può Musk pensare di prendersi da solo quasi la metà dello spazio disponibile? È la domanda posta più volte dalla Cina che, tra l’altro, ha piazzato i suoi primi 18 satelliti lo scorso 6 agosto; e i cinesi hanno anche fatto sapere, tramite uno studio condotto dall’Esercito Popolare di Liberazione, che potrebbero abbattere i satelliti di Starlink con armi laser lanciate dai loro sottomarini.

Starshield, il gemello cattivo di Starlink

Ma i cinesi sono paranoici? Non proprio. Nel 2022, mentre prendeva per i culo i reporter che gli chiedevano se la nuova Tesla factory tedesca avrebbe impoverito le riserve idriche della zona, Musk presentava al mondo uno dei suoi progetti più inquietanti, Starshield: secondo quanto riportato sul sito di SpaceX, Starshield è un programma che “sfrutta la tecnologia e la capacità di lancio Starlink di SpaceX per sostenere gli sforzi della sicurezza nazionale”. Cioè una sorta di adattamento militare di Starlink che sembra identico a Starlink, ma sa fare molte più cose di Starlink; d’altro canto, se Starlink piace così tanto ai militari è per la possibilità di collocare in orbita rapidamente un gran numero di satelliti: come ribadito anche dalla dottrina militare della US Space Force, infatti, soltanto una certa ridondanza permette di evitare che l’avversario riesca ad azzerare rapidamente le proprie capacità di combattimento.

Come fa notare lo studioso di strategia di sicurezza nazionale Wang Qiang, “Il dispiegamento di questo sistema migliorerà notevolmente le capacità di combattimento delle forze spaziali statunitensi, rafforzerà ulteriormente il controllo degli Stati Uniti sugli alleati che fanno affidamento su questo sistema e renderà lo sviluppo della tecnologia spaziale più importante nel campo della sicurezza. Tutto ciò richiede un’alta vigilanza da parte della comunità internazionale”; “Il sistema Starshield” prosegue Wang “può svolgere diverse missioni a seconda del tipo di carico utile. Ad esempio, il sistema, dotato di sensori avanzati consente alle forze armate statunitensi di monitorare in tempo reale, 24 ore su 24, gli obiettivi sensibili. Per gli obiettivi non designati, il dispiegamento su larga scala delle sonde dello Starshield può identificare rapidamente le caratteristiche e i tipi di obiettivi attraverso l’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data, conferendo alle forze armate statunitensi ulteriori vantaggi di combattimento con informazioni asimmetriche”. Per pura statistica, il contratto firmato con il Congresso americano ammonta a 1,8 miliardi di dollari e la missione Starshield ha già all’attivo 11 lanci completati (l’ultimo risale al 30 novembre scorso). Non sappiamo cosa sia andato in orbita ovviamente – che poi, vabbè, a voler essere puntigliosi non sappiamo neanche quanto sono grandi i pannelli solari dei satelliti Starlink, per esempio, né abbiamo la minima idea dei bilanci di SpaceX.

SpaceX e NASA Artemis

Sappiamo che tra gli affari di SpaceX, Starlink è sicuramente il business più promettente nel breve periodo, ma il peso di SpaceX è destinato ad aumentare esponenzialmente: l’azienda di Musk dispone dei lanciatori riutilizzabili più economici sul mercato, ha sviluppato due tute spaziali, ha dimostrato di poter costruire le capsule spaziali più affidabili dell’era contemporanea e si è garantito una bella fetta di Luna; dal 2019 a oggi, infatti, SpaceX si è guadagnata diversi importanti appalti della NASA, inclusi quelli per il programma Artemis, quello che dovrebbe riportare gli USA sulla Luna entro il 2027… forse 2028, comunque nei prossimi anni. Per farla molto breve, il programma Artemis prevede la costruzione di un veicolo di lancio, il caro vecchio Space Launch System, di diversi veicoli spaziali, di una stazione spaziale da posizionare nell’orbita lunare e di uno Human Landing System, cioè di un sistema per trasportare fisicamente degli esseri umani sulla superficie della Luna, vecchio stile; in più, una volta arrivati, serviranno una piattaforma abitabile e uno o più rover lunari (e anche delle tute spaziali, magari, ma ci arriviamo più avanti). Insomma: anche se sembra snobbarla sedotto dal sogno marziano, Elon Musk è sicuramente tra quelli che andranno sulla Luna: la sua Starship, il razzo più potente (e capiente) mai costruito sulla Terra, arriverà sul satellite almeno in qualità di Human Landing System; giusto qualche settimana fa, nello stesso articolo del New York Times citato prima si faceva presente che sì, Elon Musk è un privato, una specie di uccel di bosco con le astronavi, ma nell’ultimo decennio ha ottenuto oltre 15 miliardi di dollari in commesse governative e quel mastodonte di SpaceX, che alla fine ha rivoluzionato davvero le prospettive della Space Economy, è stato in perdita anche nel 2021-2022, almeno secondo quanto riportato dal WSJ. Nessuna sorpresa: anche stavolta il libero mercato degli imprenditori geniali, alla fine, si regge su generose infusioni di soldi pubblici.

Ciononostante, se ci vogliamo attenere ai fatti bisogna riconoscere che le tecnologie sviluppate da SpaceX sono su un altro livello: potremmo sembrare massimalisti, ma è abbastanza evidente che i progetti più avanzati in ambito di lanci spaziali, oggi, sono quelli che per primi hanno iniziato a copiare gli esperimenti di SpaceX. L’azienda di Musk ha realizzato imprese che sembravano impossibili anche a pochi minuti dai test finali e ci costringe a fare i conti con un cambio di prospettiva esistenziale: il balzo in avanti di SpaceX, con la conseguente accelerazione da parte dei competitor, ci costringe a considerare lo spazio come un dominio molto più vicino di quanto non fosse dieci anni fa. L’accelerazione è visibile: basta guardare il rinnovato senso d’urgenza dei vecchi colossi dell’industria aerospaziale che, all’improvviso, ristrutturano, licenziano, comprano, fondono, vendono e in alcuni casi chiedono pure i consigli disastrosi di Draghi, una questione di cui vi abbiamo parlato in un video di qualche tempo fa.

Il Programma Artemis e l’Italia

Ma torniamo alla Luna. Il problema è che il Programma Artemis non intende riportare gli esseri umani sulla Luna per giocare a golf, poggiare foto dei figli per terra e lasciare immondizia a caso; stavolta, dice la NASA, torniamo per restare. E che faremo sulla Luna? Innanzitutto, cercheremo di procurarci in loco almeno parte delle risorse necessarie alla sussistenza degli astronauti e alla mobilitazione dei veicoli. Ci sarà bisogno di acqua, ossigeno e – possibilmente – di propellente estratto sul posto; l’obiettivo è realizzare un avamposto che possa in una fase successiva impossessarsi delle potenziali ricchezze naturali della Luna come metalli, terre rare e altro ancora. Sarà necessario scavare per estrarli e poi, magari, anche pensare di trasportarli sulla Terra! D’altro canto saranno utili anche quaggiù: ci servono per le auto elettriche, per la transizione ecologica in generale e forse anche per la fusione nucleare. Servirà un ottimo corriere, starete pensando! E chi meglio dell’unico che può offrire un carico di 100 tonnellate per ogni viaggio a prezzi che i competitor non possono manco sognarsi, soprattutto visto che c’è un grande problema con Boeing e con il miglioramento della capacità di carico di SLS? Ed eccolo là! Il nostro Elon Musk, quel giorno, sarà là a incitare qualche deportazione di massa oppure a governare il Texas – chi può dirlo? – e avrà per le mani il monopolio dei cieli: delle comunicazioni satellitari nelle orbite basse, dei trasporti verso la Terra, dei trasferimenti di merce e uomini dalla Terra alla Luna.

Sulla missione Artemis torneremo in un altro video, in cui esploreremo più nel dettaglio i programmi statunitensi e cinesi per quanto riguarda la prossima colonizzazione della Luna; per ora, ci basta sapere che l’Italia, come molti altri paesi europei, ha firmato gli accordi Artemis, ma non quelli per la base internazionale sino-russa, nonostante il nostro primo passo sulla Luna sia avvenuto proprio grazie ai cinesi: è successo lo scorso 1 giugno, quando la sonda Chang’e 6 ha fatto allunare un retroriflettore laser dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (insieme a strumenti francesi, svedesi e pakistani). Una futura presenza italiana sulla Luna, però, sembra indissolubilmente legata ai progetti statunitensi; e per capire come stanno messi quelli della NASA, basta pensare al fatto che i cinesi gli hanno proposto mesi fa di scambiare alcuni campioni lunari di Chang’e con quelli delle missioni Apollo e loro devono ancora degnarsi di rispondere – o, meglio, aspettano il permesso, perché una legge del 2011 vieta ogni collaborazione con la Cina su questioni spaziali.

Il futuro della NASA

Il fatto è che la NASA non sembra passarsela benissimo, come anche alcuni dei suoi fornitori storici, e il ruolo di Musk, che sembrava destinato a crescere in maniera esponenziale già prima dell’elezione di Trump, adesso può assumere contorni davvero spaventosi. Da anni la NASA soffre dello stesso problema: il Congresso è sempre più restio ad investire i soldi dei contribuenti e i finanziamenti sono sempre di meno, solo che il gioco di appaltare tutto ai privati non sembra funzionare come previsto; la nuova amministrazione Trump, quindi, dovrà spingere sull’acceleratore per non farsi superare dalla Cina in questa corsa alla Luna, ovviamente guidata dal nuovo consigliere speciale del Presidente. C’è già chi pensa che Musk riuscirà a convincere Trump ad abbandonare SLS per puntare tutto su Starship, ma è difficile fare previsioni in tal senso; d’altro canto, i grandi appalti della NASA sono essenzialmente posti di lavoro (o, almeno, il Congresso li vede tradizionalmente così), ma il DOGE, quella specie di ministero dell’efficienza che Trump ha affidato a Musk, non avrà troppe difficoltà a dimostrare che la NASA va riformata e questo, almeno sulla carta, rischia di finire col ridimensionare anche il programma scientifico della NASA, che deve la sua eccellenza – sorpresa delle sorprese – anche alla possibilità di coltivare talenti e competenze di lungo termine.
Per capire in che situazione si è messa la gloriosa NASA negli ultimi anni bastano poche immagini: la più triste, forse, è quella del rover Viper, che avrebbe dovuto mappare la distribuzione e la concentrazione di ghiaccio d’acqua sulla superficie lunare. Lo scorso luglio, senza preavviso, la NASA ha annunciato la cancellazione del programma, dicendo tra l’altro che avrebbe valutato l’ipotesi di cederlo a eventuali privati interessati: il rover lunare da 450 milioni di dollari, infatti, era già completamente assemblato e aveva anche superato alcuni test importanti; quel che è peggio è che avendo già pagato 300 milioni di dollari per il viaggio di Viper sulla Luna, la NASA ha deciso di far volare al suo posto un “simulatore di massa” fittizio. Cancellare Viper, secondo le dichiarazioni di luglio, farà risparmiare alla NASA 84 milioni di dollari ed eviterà ulteriori tagli del Congresso al programma Commercial Lunar Payload Services; inviare sulla Luna un oggetto qualunque al suo posto però, come hanno fatto notare diversi giornalisti, costerà alla NASA oltre 700 milioni di dollari.

E poi ci sono tutte le questioni legate ai fornitori: per esempio, lo scorso giugno la NASA ha cancellato uno dei due contratti che avrebbero dovuto sviluppare le tute spaziali per la missione Artemis. Il progetto di Collins Aerospace non stava seguendo le tempistiche previste per le missioni; resta in corsa Axiom Space, che sta sviluppando le nuovissime tute spaziali per tornare sulla Luna nel 2028… insieme a Prada. Un altro tema molto delicato, quando si parla di Artemis, è quello legato a Boeing (che purtroppo non si limita a lasciare gli astronauti USA sulla Stazione Spaziale Internazionale): a quanto pare, lo stabilimento di Boeing che deve occuparsi di sviluppare una componente fondamentale dello space launch system, cioè il modulo che permetterà il trasporto degli astronauti, non rispetta gli standard di qualità della NASA né quelli richiesti per l’industria aerospaziale. “I problemi di controllo della qualità a Michoud” si legge nel report “sono in gran parte dovuti alla mancanza di un numero sufficiente di lavoratori aerospaziali formati ed esperti”; “I funzionari di Michoud” continua la NASA “hanno dichiarato che è stato difficile attrarre e trattenere una forza lavoro con esperienza nella produzione aerospaziale, in parte a causa della posizione geografica di Michoud a New Orleans, in Louisiana, e della minore retribuzione dei dipendenti rispetto ad altri concorrenti del settore aerospaziale” e, quindi, si rischiano ulteriori ritardi. Il Block 1B dell’SLS, quello che stanno costruendo a Michoud, dovrebbe essere lanciato nel settembre 2028: trasporterà verso l’orbita lunare la capsula Orion (con dentro gli astronauti) e l’International Habitation Module, cioè il modulo abitativo della stazione orbitante; è fondamentale, poiché permette di aumentare il carico dell’SLS del 40% e, quindi, di caricare tutto quel che c’è da caricare. Già da qualche settimana si vocifera di abbandonare il progetto del Block 1B; Orion potrebbe essere trasportata da altri razzi, nello specifico da due altri razzi: il Vulcan della United Launch Alliance (attualmente nelle mani del duo Boeing-Lockheed Martin)… e il Falcon 9 di SpaceX!

Appena dopo l’elezione di Trump, però, con la prospettiva di Musk nel prossimo governo, sono iniziate a circolare voci ancora più insistenti: l’abbandono di SLS, nel rumor diffuso da Eric Berger di Ars Technica, è dato al 50/50, ma parliamo di un progetto che ha generato e sostenuto 69000 posti di lavoro in tutti gli Stati Uniti a partire dal 2019. Il rasoio di Musk dovrà essere in grado di prendere le misure, anche perché, nel frattempo, si sta consumando un dramma anche sul fronte marziano: parliamo della Mars Sample Return Mission, il tribolato programma di NASA ed ESA che nel 2033 avrebbe dovuto riportare a Terra i campioni di roccia marziani raccolti dal rover Perseverance. Il progetto, che aveva un costo stimato di 7 miliardi di dollari, è arrivato a costarne 11, una cifra inaccettabile per il Senato che ha minacciato apertamente di voler cancellare il programma; ma quel che è peggio è che il comitato di revisione indipendente (IRB) istituito dalla NASA, dopo aver esaminato il progetto ha segnalato una probabilità quasi nulla che gli elementi vitali dell’MSR siano pronti per i lanci previsti per il 2027 e il 2028, per non parlare del ritorno a Terra previsto per il 2033. Se ne riparla nel 2040; peccato che Tianwen-3, la prima missione cinese che cercherà di trasportare rocce marziane sulla Terra, procede spedita: il lancio è previsto per il 2028 e i campioni marziani dovrebbero arrivare sulla Terra già a metà del 2031. Tutto ciò ha portato a delle conseguenze immediate con cui il DOGE non potrà non fare i conti: a seguito del congelamento del programma marziano, a novembre il Jet Propulsion Laboratory della NASA ha annunciato il licenziamento del 5% del personale; lo scorso febbraio il JPL aveva già lasciato a casa 530 dipendenti. Qualche giorno dopo, Intuitive Machines ha annunciato che taglierà decine di posti di lavoro al Goddard Space Flight Center della NASA a causa della conclusione anticipata di un contratto con la NASA.
Come si legge nel report indipendente commissionato dal Congresso all’Accademia nazionale di scienze, intitolato eloquentemente La NASA al bivio: Mantenere la forza lavoro, l’infrastruttura e la preminenza tecnologica nei prossimi decenni, “Il budget della NASA è spesso incompatibile con lo scopo e la complessità delle sue missioni. Gli effetti a lungo termine di questo squilibrio includono l’erosione delle capacità della forza lavoro, delle infrastrutture critiche e dello sviluppo di tecnologie avanzate. L’attuale ripartizione delle risorse, la distanza tra quelle destinate alle missioni e quelle dedicate alle attività istituzionali, ha degradato le capacità della NASA al punto da mettere in questione la sostenibilità stessa dell’agenzia”.

Il nuovo corso della NASA: Jared Isaacman

Negli anni Novanta, la NASA era qualcosa di simile alla poesia: la guerra fredda era finita e l’esplorazione spaziale tutto d’un tratto era diventata qualcosa di diverso da una prova di forza; gli uomini erano tornati ad essere gli esploratori viandanti di cui parlava Carl Sagan. Negli anni Novanta vennero lanciati il telescopio spaziale Hubble e la sonda Cassini e abbiamo iniziato a scoprire il vero aspetto di galassie, pianeti e nebulose; e poi c’era una proficua collaborazione con i russi, che andava ben oltre la Stazione Spaziale (magari un giorno ne parleremo). Oggi la NASA è di nuovo intrappolata nello spirito di lamiera da corsa all’oro degli anni Sessanta; il suo compito principale è impedire che la Cina conquisti la Luna (e Marte) prima degli Stati Uniti, ma il programma Artemis è costellato di problemi che il tacchino del Presidente non avrà difficoltà a sottolineare con sdegno. Secondo alcuni, il nuovo ruolo di Musk potrebbe addirittura spostare il baricentro del Congresso verso il sostegno a una missione umana su Marte, distogliendo risorse dalla Luna; il nuovo presidente, in ogni caso, potrebbe essere quello che metterà il suo nome accanto alla conquista della Luna o potrebbe diventare il volto di una sconfitta epocale per l’Impero dei miliardari. E lo spazio, per gli americani (e noi che gli andiamo appresso), rischia davvero di diventare il parco giochi definitivo degli oligarchi che si vendono come illuminati. Qualche settimana fa, Trump ha nominato il nuovo amministratore della NASA: si tratta di Jared Isaacman, il miliardario astronauta che è stato il primo civile della storia a eseguire un’attività extraveicolare in orbita; era il 12 settembre del 2024, la missione si chiamava Polaris Dawn ed era organizzata da SpaceX. Qualche anno prima, nel 2021, Isaacman era stato il comandante della missione Inspiration4, il primo volo orbitale con equipaggio composto esclusivamente da civili, ovviamente sempre offerto da SpaceX: è stato lo stesso Isaacman a dare la notizia della sua nomina con un tweet in cui ha scritto “Con il sostegno del Presidente Trump, posso promettervi questo: Non perderemo mai più la nostra capacità di viaggiare verso le stelle e non ci accontenteremo mai del secondo posto. Ispireremo i bambini, i vostri e i miei, a guardare in alto e a sognare ciò che è possibile. Gli americani cammineranno sulla Luna e su Marte e, così facendo, miglioreranno la vita qui sulla Terra”.


Il nuovo amministratore della NASA non è un ex astronauta qualsiasi, come l’uscente Bill Nelson; Isaacman ha pagato di tasca propria per ogni missione spaziale a cui ha partecipato: ha pagato l’addestramento presso le strutture di SpaceX, ha pagato il suo posto a bordo della Crew Dragon e anche quello dei suoi compagni di viaggio, ha pagato per il carburante e per la logistica. Lui ha sempre rifiutato di dire quanto abbia speso e i dettagli non sono mai stati resi noti da SpaceX; sappiamo soltanto che un posto sulla Crew Dragon costa circa 55 milioni di dollari e che Isaacman ha già commissionato a SpaceX altre due missioni spaziali. In base ai programmi ufficiali, la terza e ultima missione del programma sarà la prima missione con equipaggio di Starship, quella che poi dovrebbe andare sulla Luna. Il nuovo amministratore della NASA, in sostanza, si è finanziato da solo un intero programma spaziale e il fornitore di tutti i servizi non era certo la NASA – anche perché la NASA non ce li ha i razzi. Isaacman, il nuovo amministratore della NASA, ha pagato SpaceX di Elon Musk per le sue missioni spaziali e oggi che Musk è il consigliere d’oro del Presidente, Isaacman è diventato l’uomo a cui affidare le sorti del programma spaziale nazionale (che, ricordiamolo sempre, riguarda molto da vicino anche noi europei). Così a prima vista la scelta di Isaacman potrebbe non essere così terribile, nonostante appaia a tutti gli effetti come un socio mascherato della follia di Musk: in fin dei conti, la sincerità del suo slancio parrebbe innegabile, anche a fronte di quanto gli è costata ‘sta passione per lo spazio; di certo, possiamo aspettarci un’accelerazione che porterà le vicende spaziali sempre più vicine alla Terra. Trump, che è lo stesso che promulgò l’ordine esecutivo in cui si specifica che gli Stati Uniti non riconoscono lo spazio come un bene comune, è tradizionalmente molto attivo sul fronte extratmosferico: durante la prima presidenza fondò la Space Force, il ramo delle forze armate USA di stanza nello spazio, e per il prossimo mandato ha promesso di costituire una Space National Guard, che sarà la prima riserva di combattimento della gloriosa Space Force; adesso gli tocca competere con i cinesi, che marciano spediti a livelli preoccupanti. Al suo fianco ci saranno il nuovo amministratore della NASA e il proprietario di SpaceX, che forse quel giorno avrà già avuto un ruolo fondamentale in uno dei conflitti aperti che sembra si stiano preparando a sconvolgere l’esistenza degli uomini sul pallido puntino blu; e quel giorno, forse, ci chiederemo come sia stato possibile che i miliardari ci portassero via anche la Luna e il cielo stellato.

Per evitare che l’esplorazione spaziale si trasformi in questo disegno distopico costruito a immagine e somiglianza degli oligarchi che vogliono convincerci di essere geni per dissimulare la natura predatoria delle loro fortune milionarie, c’è bisogno innanzitutto di un media indipendente, ma di parte, capace di dare voce a una rinnovata coscienza di classe che arrivi fino alle stelle, oggetto dei desideri più profondi dell’impero. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su Gofundme e su Paypal.

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