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Tre prove che gli USA stanno preparando la guerra più devastante di tutti i tempi nel Pacifico

Dopo la settimana di fuoco dell’Europa, che si prepara alla grande guerra, e delle più clamorose stragi israeliane, state accusando un repentino calo di adrenalina per l’apparente stasi sul fronte ucraino e l’allungarsi dei tempi della pulizia etnica a Gaza? Tranquilli: Sleepy Joe ha in serbo per voi una bellissima sorpresa che vi darà la giusta carica per non essere sleepy per niente, un uno/due e pure tre che vi restituirà quell’irresistibile brividino che si prova quando si ha la netta sensazione che, nel giro di qualche mese, il mondo come lo avete conosciuto fino ad oggi potrebbe tramontare per sempre; vi siete mai chiesti, infatti, perché – di punto in bianco – Rimbambiden ha deciso di giocare al poliziotto buono di fronte al più grande massacro di civili del XXI secolo e ha trasformato il fraterno amico Bibi lo sterminatore in una specie di supervillain della Marvel intento a distruggere il pianeta nel disappunto generale? E del perché, ultimamente, stia facendo le capriole per convincere l’Europa a riarmarsi come si deve e occuparsi da sola del plurimorto dittatore del Cremlino? Beh, la risposta, tutto sommato, è piuttosto semplice; Rimambiden, ormai, c’ha una certa e di queste scaramucce di quartiere si sarebbe anche abbondantemente rotto i coglioni e, prima di passare a peggior vita, ha deciso di dedicare gli ultimi anni anni a disposizione alla principale delle sue passioni: la più grande e devastante guerra della storia dell’umanità contro l’unico paese che si è permesso di mettere fine al primato economico mondiale USA dopo oltre un secolo di dominio incontrastato e che c’ha pure la faccia tosta di definirsi socialista.

Kurt Campbell

Nell’arco di poco più di un mese, 4 notizie che sono passate completamente inosservate ai media mainstream del mondo libero hanno certificato platealmente la sete di sangue che aleggia nello studio ovale: la prima risale al 6 febbraio scorso quando, con 92 voti contro 5, il Senato ha dato il via libera alla nomina a vicesegretario di stato di Kurt Campbell, aka lo Zar dell’Asia, una svolta significativa; Campbell, infatti, fu l’architetto del famoso Pivot to Asia di obamiana memoria, quando si cominciarono a porre le basi nella regione per una futura guerra a tutto campo contro la Cina, un filo che lo Zar dell’Asia ha ricominciato a tessere con solerzia con la nomina di Rimbambiden, che lo ha voluto sin da subito nel suo team come Coordinatore del Consiglio di Sicurezza nazionale per l’Indo – Pacifico. “Il periodo che definivamo dell’impegno strategico” e che prevedeva la cooperazione economica e la cooperazione diplomatica “è definitivamente giunto al termine” aveva affermato al momento del suo insediamento; “Ora il paradigma dominante nella relazioni USA – Cina sarà la competizione”. Durante i primi 3 anni del suo mandato, il rapporto tra le due potenze – tra sanzioni, ambiguità sulla politica di Una Sola Cina e rafforzamento della presenza militare USA nel Pacifico – si è deteriorato fino a raggiungere il più basso livello dal viaggio di Nixon del ‘72, ma poteva anche andare peggio: Campbell, infatti, fino ad oggi si era visto – almeno parzialmente – ostacolare nella sua foga guerrafondaia dal suo predecessore, Wendy Sherman; non che fosse Rosa Luxembourg, ma la Sherman, che veniva dall’attivismo e dai servizi sociali invece che dai think tank del partito unico della guerra e degli affari, nell’arco della sua carriera si è più volte distinta per la moderazione e la volontà di perseguire il dialogo. Negli anni ‘90 aveva guidato le trattative segrete con Kim Jong Il per evitare la proliferazione nucleare, attirandosi critiche feroci da invasati del calibro di James Baker e John baffetto Bolton; tra il 2013 e il 2015 aveva poi condotto i negoziati che avevano portato alla firme del patto sul nucleare iraniano dal quale, poi, il compagno pacifista Trump si era ritirato unilateralmente: nel 2021 era di nuovo diventata bersaglio delle ire dei bombaroli umanitari per aver cercato di indebolire la ridicola legge USA sul trattamento della minoranza uigura in Cina e, nel maggio del 2023, si era prima opposta all’inasprimento delle misure anticoncorrenziali contro Huawei e poi aveva cercato di convincere Blinken a non cancellare la sua visita in Cina in seguito alla buffonata dei palloni spia cinesi. Insomma: quando negli ultimi anni si è parlato di un pezzo di amministrazione Biden più incline al dialogo con la Cina, in buona misura si faceva proprio riferimento a lei e che, da quando Campbell l’ha sostituita, l’aria sia cambiata è ogni giorno più evidente.
Dopo appena 10 giorni di incarico, il governo USA ha annunciato l’autorizzazione definitiva alla vendita a Taiwan del sistema Link-16, la rete sicura per lo scambio di dati tattici militari utilizzata dalla NATO, che permette a Taiwan di essere integrata nel sistema unificato di distribuzione dell’informazione che fa capo agli USA. In soldoni, tagliandola con l’accetta, le forze armate di Taiwan diventano sostanzialmente un braccio armato al servizio del comando USA e, dopo un altro paio di settimane, ecco la bomba definitiva: il ministro della difesa di Taipei, Chiu Kuo-Cheng, conferma ufficialmente le voci sulla presenza di uomini delle forze speciali USA a Taiwan incaricate di addestrare le truppe dell’Isola; e non in un posto a caso, ma sull’Isola di Kinmen, che si trova qui, a meno di 10 chilometri dalla Repubblica Popolare. Una provocazione talmente scomposta e plateale che, per non far esplodere il bordello in casa, i cinesi hanno cercato in ogni modo di non far circolare la notizia anche perché, nel frattempo, i cinesi, sull’anomalia di questa isoletta avamposto dell’imperialismo occidentale a meno di un tiro di schioppo, erano già stati abbondantemente triggerati poche settimane prima, quando la guardia costiera taiwanese aveva disarcionato un’imbarcazione di pescatori cinesi accusati di aver sconfinato in acque territoriali uccidendone un paio, e senza manco chiedere scusa. Insomma: come scrive Andrew Korybko sul suo blog, USA e Taiwan stanno “testando la pazienza”; quanto mai a lungo potrà durare?
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KJ Noh

“In molte tradizioni” scrive lo storico giornalista e attivista coreano KJ Noh su Geopolitical Economy Report, “quando si scolpisce un Buddah, gli occhi sono sempre gli ultimi ad essere dipinti. Ed è solo dopo che gli occhi sono stati completati, che la scultura è davvero viva e nel pieno della sua potenza”: ora gli Stati Uniti hanno dato ufficialmente il via libera alla vendita alla provincia di Taiwan del sistema di comunicazione militare Link 16 e “L’acquisizione del Link 16” commenta KJ Noh “equivale a dipingere gli occhi del Buddah: un ultimo tocco che dà definitivamente vita ai sistemi militari e alle piattaforme d’arma di Taiwan”. Ma a cosa serve, esattamente, questo benedetto Link16? Lo spiega in modo chiarissimo questo breve servizio di Taiwan Plus News che ricorda come “Taiwan ha comprato circa 200 F16 dagli USA. Ma per usare questa flotta in modo efficiente, serve un sistema di telecomunicazioni integrato, in grado di collegarli ad altri sistemi d’arma e ai sistemi di comando e controllo. Ed è proprio a questo che serve Link 16”: in soldoni, è una sorta di “internet delle cose, o di cloud, per l’hardware militare: una rete di collegamento dati militare per le comunicazioni e l’interoperabilità delle armi” ed è un passo che “per scoraggiare un’invasione cinese, rende Taiwan sempre più dipendente da armi da assistenza militare americana”; “Più importante di qualsiasi singola piattaforma d’arma” sottolinea KJ Noh “questo sistema consente all’esercito di Taiwan di integrare e coordinare tutte le sue piattaforme di guerra con le forze armate statunitensi, NATO, giapponesi, coreane e australiane in una guerra armata combinata”. Ad esempio, continua Noh, “permette ai bombardieri strategici nucleari Stealth di coordinarsi con piattaforme di guerra elettronica e sorveglianza, nonché condurre una guerra armata congiunta con gruppi da battaglia di portaerei statunitensi, francesi o britannici, o con cacciatorpedinieri giapponesi o sudcoreani, nonché con sistemi antimissile come i Patriot”. Insomma: è una sorta di sistema nervoso in grado di comunicare a tutti gli arti mortali che gli USA, negli anni, hanno fornito a Taiwan, i comandi del cervello; e il cervello è rigorosamente USA che, oltre agli arti taiwanesi, controlla anche quelli dei vari alleati vecchi e nuovi della regione, dai partner dell’Aukus, al Giappone, alla Corea del Sud. “Punte di lancia pronte a funzionare come innesco di un’offensiva di guerra multinazionale contro la Cina” anche perché, ricorda Noh, “L’attuale dottrina statunitense si basa un’idea di guerra distribuita, dispersa, diffusa, da condurre lungo la miriade di isole che circondano la Cina nel Pacifico”: sono le famose prima e seconda catena di isole che gli USA hanno circondato con migliaia di truppe armate, piattaforme d’attacco e missili di ogni natura e gittata ai quali si stanno aggiungendo, giorno dopo giorno, strumenti di ogni genere per la guerra automatizzata; uno sciame che, per essere utilizzato in modo efficace, deve avere un sistema di comunicazione unico a prova di interferenze – che è proprio quello che fa Link 16 – che permette, così, di aggiungere l’ultimo tassello in quella che gli analisti dello US Naval Institute definiscono, in modo molto rassicurante, la catena di morte della coalizione transnazionale per il Pacifico. “Questa diffusione e dispersione delle piattaforme di attacco in tutto il Pacifico”, sostiene Noh, “smentisce l’affermazione secondo cui si tratterebbe di una forma di deterrenza per difendere l’isola di Taiwan”; secondo Noh, infatti, “Questa diffusione è chiaramente offensiva, pensata e progettata per sopraffare le difese altrui. Come nel caso dell’Ucraina, non si tratta di scoraggiare la guerra, ma di incoraggiarla e di consentirla”: a confermarlo ci sarebbe anche la proliferazione di report da parte di tutti i principali think tank USA dove il quesito non è tanto più se fare la guerra o meno, ma quando e come, e come prepararla adeguatamente. E la fretta aumenta: in un celebre rapporto del 2016, RAND Corporation affermava che la guerra andava preparata entro il 2025; davanti alla commissione difesa del Senato, l’ammiraglio Phil Davidson, 2 anni fa, aveva spostato la deadline avanti di un paio di anni. Nel frattempo è scoppiata la seconda fase della guerra per procura contro la Russia in Ucraina che gli USA premono per sbolognare interamente ai vassalli europei e, poi, il grande imprevisto: il clamoroso attacco della resistenza palestinese del 7 ottobre scorso e l’ancora più clamorosa prova di forza da parte dell’asse della resistenza – e, in particolare, di Ansar Allah – che ha fatto saltare per aria i piani USA per la regione, gli ha impedito di disimpegnarsi gradualmente e ora li minaccia con una potenziale escalation su scala regionale che impedirebbe definitivamente di concentrarsi sul Pacifico e sposterebbe la lancetta del tempo oltre i limiti segnalati da tutti gli analisti.
Ma, come sottolineava – tra gli altri – questo lungo rapporto del Council on foreign relation già lo scorso giugno, tirarsi indietro da Taiwan e dal Mare Cinese meridionale permettendo così, nel frattempo, alla Cina di rendere completamente irreversibile il rapporto di forze nell’area, molto semplicemente proprio non se po’ fa: “Taiwan”, sottolineano infatti, “ha un valore militare intrinseco, e quindi il suo destino determinerà in gran parte la capacità delle forze armate statunitensi di operare nella regione”; “Se la Cina dovesse annettere Taiwan e installare sull’isola risorse militari, come dispositivi di sorveglianza subacquea, sottomarini e unità di difesa aerea” continua il rapporto “sarebbe in grado di limitare le operazioni militari statunitensi nella regione e, di conseguenza, la sua capacità di difendere i suoi alleati asiatici. I politici statunitensi dovrebbero quindi capire che in gioco non è solo il futuro di Taiwan, ma anche il futuro della prima catena di isole e la capacità di preservare l’accesso e l’influenza degli Stati Uniti in tutto il Pacifico occidentale”. In soldoni, a quanto pare, dentro all’amministrazione USA continua a svolgersi un duro braccio di ferro tra chi spingerebbe per mollare la presa sul fronte ucraino e chi, invece, tenderebbe a rimandare l’appuntamento del Pacifico, entrambi uniti nella speranza di non veder definitivamente riesplodere tutto il Medio Oriente; la soluzione, secondo il Council on foreign relation, consiste nel trovare la giusta misura e la giusta modalità per aumentare la deterrenza senza scatenare un conflitto, ma – anche proprio per le caratteristiche intrinsecamente offensive della strategia della guerra diffusa che abbiamo visto più sopra – “rinforzare la deterrenza senza finire per provocare lo stesso conflitto che si vorrebbe evitare” ammette anche il Council on foreign relation “è un compito tutt’altro che banale. Per questo, argomentano alcuni, alla luce dei rischi, gli Stati Uniti dovrebbero ridurre il loro sostegno a Taiwan. Un simile percorso, tuttavia, non riesce a tenere adeguatamente conto di come sarebbe il mondo il giorno dopo un eventuale assalto cinese riuscito: meno sicuro, meno libero e meno prospero” che nel linguaggio suprematista USA significa, molto banalmente, meno a immagine e somiglianza degli interessi imperiali a stelle e strisce.
Anche chi punta a un disimpegno dall’Ucraina si trova, però, di fronte a numerosi ostacoli: come sottolinea KJ Noh, infatti, “Se gli Stati Uniti abbandonassero l’Ucraina, ciò potrebbe indebolire la determinazione e la volontà delle autorità di Taiwan di intraprendere una guerra per conto di Washington” perché sarebbe un chiaro messaggio che “i prossimi ad essere usati e abbandonati potrebbero essere proprio loro”; “Washington allora” suggerisce Noh “deve tenere in vita in qualche modo la finzione ed è alla ricerca di un pretesto plausibile per scappare”: quel pretesto plausibile è esattamente quello che cercano di offrirgli su un piatto d’argento le fazioni politiche europee più spudoratamente asservite a Washington, che non vedono l’ora di farsi riconoscere dal padre padrone come vassalli adulti, in grado di occuparsi da soli di quel pasticciaccio brutto dell’Ucraina. Il problema però è che, molto banalmente, adulti ancora non lo sono e di gestire la patata bollente, molto banalmente, non sono ancora in grado; “Inoltre” sottolinea ancora Noh “gli USA attualmente sono anche in guerra con se stessi, una frattura del corpo politico che può essere sanata solo con una guerra comune contro un nemico comune. Ma la Russia, come si è visto, non può rappresentare quel tipo di nemico. La Cina sì, ed è anche per questo che i repubblicani vogliono la guerra con la Cina adesso”. La nomina di Kurt Campbell, da questo punto di vista, potrebbe indicare la volontà della Casa Bianca di tagliare la testa al toro: per quanto Campbell, infatti, sia noto prevalentemente per aver dedicato alla preparazione della grande guerra contro la Cina il grosso della sua carriera, negli ultimi anni si è cercato di guadagnare anche una certa fama da falco anche sul fronte russo, e già dai primi giorni dello scoppio della seconda fase della guerra per procura in Ucraina ha sempre affermato candidamente che gli USA erano perfettamente in grado di sostenere un conflitto su grande scala su due fronti contemporaneamente, come d’altronde avrebbero già fatto durante la seconda guerra mondiale; certo “È difficile. Ed è costoso” avrebbe affermato durante un evento organizzato dal Fondo Marshall tedesco “Ma è anche essenziale, e credo che stiamo entrando in un periodo in cui questo è ciò che verrà richiesto agli Stati Uniti e a questa generazione di americani”.

Insomma: il dottor Stranamore è tornato al comando; cosa mai potrebbe andare storto? Contro la propaganda del partito unico della guerra e degli affari che, ormai, riesce solo a discutere di quando e come mettere fine al mondo per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi, abbiamo urgentemente bisogno di un vero e proprio media che sia in grado di riportare al centro del dibattito pace, lavoro e gli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Victoria Nuland

OttolinaTV

20 Marzo 2024

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