Putin e il disastroso rapporto segreto francese dal fronte ucraino che ha fatto sbroccare Macron
Macron ha farfugliato mezz’ora a reti unificate davanti ai francesi per provare a convincerli (con scarsissimi risultati) che l’Eliseo è più che attrezzato per ribaltare le sorti della guerra per procura in Ucraina e per difendere Odessa; Putin, però, non sembra poi troppo intimorito e, di fronte a un adulante Kiselev, sottolinea come “I militari dei paesi occidentali sono presenti in Ucraina da molto tempo”, addirittura da ben “prima del colpo di stato”, “in veste di consiglieri e di mercenari, che stanno subendo gravi perdite” e che se ora vogliono passare a “contingenti militari ufficiali stranieri”, questa cosa “non cambierà minimamente la situazione sul campo di battaglia” come non l’ha mai cambiata “la fornitura di nuove armi”. Piuttosto, sottolinea Putin, fossi un ucraino mi preoccuperei perché “Se, ad esempio, le truppe polacche entrassero in territorio ucraino per, come sembra, coprire il confine ucraino – bielorusso, o in qualsiasi altro luogo, per consentire ai contingenti militari ucraini di partecipare alle ostilità sulla linea di contatto, poi penso che le truppe polacche non se ne andrebbero mai più via” perché “rivogliono indietro i territori che gli sono stati sottratti da Stalin” e “Il loro esempio potrebbe essere seguito da altri paesi che hanno perso parte dei loro territori a seguito della seconda guerra mondiale”; “Dal punto di vista della preservazione della sua statualità nella sua forma moderna”, “le conseguenze geopolitiche” di questa escalation per l’Ucraina “si presenteranno in tutto il loro splendore”.
Nel frattempo, il gabinetto di guerra dello Stato genocida di Israele non sembra essere troppo impensierito dagli USA – che, per motivi elettorali, provano a recitare la parte del poliziotto buono – e approva il piano per la soluzione finale della questione gazawi attraverso l’invasione via terra dell’inferno di Rafah e, nonostante tutti gli sforzi dell’operazione Propserity Guardian e del sostegno sotto copertura da parte dei cagnolini da compagnia europei con l’operazione Aspides, l’asse della resistenza, a sua volta, non sembra essere troppo impensierito dal sostegno incondizionato al genocidio che, al di là delle chiacchiere, l’Occidente collettivo continua a garantire, e rilancia: Hezbollah intensifica gli attacchi a nord ostacolando l’assembramento di forze necessario per passare dalle parole ai fatti a Rafah; la resistenza irachena inaugura l’inizio della seconda fase delle operazioni a sostegno della resistenza palestinese attaccando con i droni direttamente l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv e Ansar Allah, invece che ridurre le sue operazioni nel Mar Rosso e nel Mar Arabico, annuncia che, d’ora in poi, le operazioni si estenderanno anche all’Oceano Indiano. Ma non è mica ancora finita, perché mentre nei due fronti che si sono già incendiati non si vede via di uscita, anche nel terzo – in prospettiva il più inquietante di tutti – si scaldano i motori: uomini delle forze operative speciali statunitensi, infatti, sono stati assegnati permanentemente alle isole taiwanesi di Kinmen, a meno di 10 chilometri dalle coste del mainland.
Nel frattempo, le Filippine continuano spedite il loro riposizionamento come principale avamposto della minaccia imperiale alla sovranità cinese, dando ufficialmente il via al nuovo Comprehensive Archipelagic Defense Concept, che segna un riorientamento complessivo del focus strategico dai turbolenti confini meridionali all’estremità settentrionale, a un tiro di schioppo da Taiwan, mentre per aprile è stato annunciato il primo vertice trilaterale tra il presidente Marcos Jr, Biden e il premier giapponese Kishida. Nel dicembre scorso, Giappone e Filippine avevano annunciato la finalizzazione dell’accordo di accesso reciproco che semplificherà enormemente il processo di dispiegamento di truppe, armi e munizioni tra i due paesi, Insomma, carissimi ottoliner: buon inizio settimana e benvenuti a questo nuovo appuntamento con i nostri simpaticissimi aggiornamenti sulla Guerra Ibrida che gli USA combattono contro il Resto del Mondo, fino all’ultimo alleato.
Uno sforzo necessario: giovedì scorso, infatti, la Reuters ha pubblicato uno scoop che rivelava come, durante l’amministrazione Biden, la CIA avesse messo insieme un team operativo che utilizzava una serie di false identità su internet per diffondere un po’ di fake news anticinesi, in particolare rivolte ai paesi del Sud globale che hanno aderito alla Nuova Via della Seta, che venivano bombardati di minchiate su sprechi immaginari e fantomatici patrimoni da nababbi nascosti nei paradisi fiscali dai dirigenti comunisti cinesi; come dicono i nostri amici dell’Antidiplomatico, un’altra prova che è davvero arrivato il tempo di spegnere i fake media e di accendere Ottolina Tv. Prima di andare oltre, ricordatevi di mettere un like a questo video per aiutarci nella nostra lotta contro gli algoritmi e, soprattutto, ricordatevi di iscrivervi ai nostri canali – anche a quello inglese – e attivare tutte le notifiche: noi che per provare a dire le cose come stanno dobbiamo rinunciare al sostegno delle oligarchie e della CIA, ci dobbiamo arrangiare un po’ così.
“Di fronte ai russi, siamo un esercito di cheerleader” (rapporto confidenziale della difesa francese sulla situazione in Ucraina); la settimana scorsa, il blocco che sostiene la guerra per procura contro la Russia in Ucraina era stato scosso dalle dichiarazioni del pimpantissimo Manuelino Macaron che, nonostante abbiano sollevato numerosi mal di pancia, sono state ribadite di nuovo anche giovedì scorso a reti unificate in una delle interviste più imbarazzanti che un capo di stato abbia mai rilasciato a una TV pubblica: grazie alle rivelazioni del magazine francese Marianne, oggi forse sappiamo cos’avrebbe scatenato così tanto panico. I giornalisti di Marianne, infatti, sarebbero entrati in possesso di 3 rapporti altamente confidenziali destinati all’amministrazione francese per descrivere la situazione sul fronte ucraino e il bilancio sembra peggiore del più catastrofista dei video di Scott Ritter.
Il primo risalirebbe addirittura a novembre e fa un bilancio del “fallimento dell’offensiva ucraina” che “A poco a poco si è impantanata nel fango e nel sangue e non ha prodotto alcun vantaggio strategico”, frutto, tra l’altro, di una pianificazione da parte di Kiev e dei quartieri generali occidentali definita “disastrosa”. “I pianificatori credevano che non appena le prime linee di difesa russe fossero state varcate, l’intero fronte sarebbe crollato… senza tener conto della forza morale del nemico sulla difensiva”, ma non solo: le vecchie armi sovietiche si sono rivelate particolarmente resilienti grazie alla “facile manutenzione” e al fatto che continuano a essere “utilizzabili anche quando sono degradate” e “la linea di fortificazione russa s’è rivelata inespugnabile”, anche perché Mosca dispone di mezzi pesanti che le hanno permesso di costruire opere difensive in gran quantità, mentre “da parte ucraina” si sottolinea l’”assenza quasi totale di questi mezzi” e l’”impossibilità da parte occidentale di fornirli rapidamente”. Un bel contributo, poi, l’avrebbe dato anche l’”arcidominio russo nel campo dei disturbi elettronici, che penalizza l’uso di droni e sistemi di comando da remoto da parte ucraina” ma soprattutto, enfatizza il rapporto, “I russi sapevano come gestire le loro truppe di riserva, per garantire la resistenza operativa”; “Secondo il rapporto” commentano i giornalisti di Marianne “Mosca rinforza le sue unità prima che siano completamente logore, mescola reclute con truppe esperte, garantisce spesso periodi di riposo regolari nelle retrovie… e ha sempre avuto una riserva coerente di forze per gestire eventi imprevisti”. Altro che l’idea diffusa oggi in Occidente di un esercito russo che manda le sue truppe al massacro”. Ed ecco così che, sottolinea il rapporto, l’esercito russo può essere considerato oggi nientepopodimeno che “il riferimento tattico e tecnico per pensare e attuare la modalità difensiva” ed “è chiaro, date le forze presenti, che l’Ucraina non può vincere militarmente questa guerra”. Ed è solo l’inizio.
Il secondo rapporto risale a dicembre e, in un mese, la situazione s’è fatta piuttosto grave: la fallita offensiva del 2023, rivela, avrebbe “tatticamente distrutto” metà delle 12 brigate da combattimento di Kiev e “Zelensky avrebbe bisogno di 35 mila uomini al mese”, cifre che confermerebbero, rivendendole al rialzo, le stime comunicate da Shoigu per il 2023 che parlavano di 215 mila uomini persi dagli ucraini, tra morti e feriti, e che rappresenta un’emorragia incontenibile, dal momento che di questi 35 mila uomini al mese necessari per rimpiazzare le perdite, “Zelensky non ne recluta la metà”. Ed ecco così che arriviamo al terzo – disastroso – rapporto che risale a pochi giorni prima le dichiarazioni del sempre pimpantissimo Manuelino Macaron sull’invio di truppe NATO in Ucraina: secondo il rapporto, la definitiva caduta di Adviivka – che, per la propaganda occidentale (esattamente come Bakhmut poco prima), era fondamentale fino a che gli ucraini riuscivano in qualche modo a difenderla e, poi, diventata magicamente un insignificante villaggetto di campagna appena conquistata dalle truppe nemiche – potrebbe rappresentare un punto di non ritorno non solo perché “era il cuore e il simbolo della resistenza ucraina nel Donbass di lingua russa”, ma soprattutto perché “la repentinità e l’impreparazione” che hanno portato alla “decisione di ritirarsi” dimostrerebbe che “le forze armate ucraine… tatticamente non hanno le capacità umane e materiali per mantenere un settore del fronte soggetto allo sforzo dell’attaccante”, anche quando siamo di fronte a un “bastione fortificato”. Neanche quando, per proteggerlo, si decide di tentare il tutto per tutto: “Il fallimento ucraino ad Adviivka” sottolinea infatti il rapporto “dimostra che, nonostante l’invio d’emergenza di una brigata d’élite come la 3a brigata d’assalto aereo Azov, Kiev non è in grado di ristabilire localmente un settore del fronte che sta crollando”; a fare la differenza sarebbe stato, in buona parte, l’impiego “per la prima volta di bombe sospese su larga scala” in grado di “perforare strutture di cemento di oltre 2 metri”. Superata Adviivka, ora il rischio è che i russi decidano di “irrompere nelle profondità” visto che “il terreno alle spalle di Adviivka lo consente”: “E’ questa nuova situazione strategica” si chiedono i giornalisti di Marianne “che ha portato Macron dinamicamente, come ha affermato, a prendere in considerazione l’invio di truppe?”
Difficile dirlo con sicurezza: quello che, invece, possiamo affermare con sicurezza è che se, fino ad oggi, abbiamo bullizzato Rimbambiden, oggi dobbiamo ammettere di aver probabilmente sbagliato obiettivo perché lo spettacolo che ha dato Macron giovedì sera in televisione è di un livello superiore; solo Matteo Renzi, in passato, aveva raggiunto tali vette di plateale inadeguatezza. Il non più pimpantissimo Manuelino la prende larga e riparte – addirittura – dagli accordi di Minsk, nella speranza che nel flusso dell’iperinformazione la gente, nel frattempo, si sia completamente dimenticata della confessione di Angelona Merkel; poi arriva una rivelazione: gli ucraini, svela il non più pimpantissimo Manuelino, “hanno dei limiti in termini di uomini, perché la Russia è più grande”. Lo vedi cosa vuol dire la gioventù… Non gli sfugge niente! Di fronte a questa sconvolgente realtà, Macron ripete poi per 20 minuti che il nostro obiettivo è impedire che la Russia vinca la guerra e che, per impedirglielo, qualora fosse necessario non possiamo escludere niente, compreso inviare uomini; sia chiaro, sottolinea: “Io non lo voglio”, “io voglio che Putin cessi questa guerra e si ritiri dalle sue posizioni” e “torni alle frontiere internazionalmente riconosciute, compresa la Crimea”, ma dire già oggi che noi non siamo disposti a mandare gli uomini “non porterà alla pace, ma alla sconfitta”. Invece, dicendogli che se fa ancora il cattivo noi gli faremo totò sul culetto, lui si terrorizzerà, e vedrai che nell’arco di un paio di settimane si ritira anche dalla Crimea.
L’unica cosa interessante da sottolineare dell’intervista annunciata in pompa magna dell’aspirante novello Napoleone è che era talmente insignificante e inconcludente da lasciare un po’ interdetti anche i due ossequiosi intervistatori; l’altra cosa interessante, invece, è la reazione di Domenique de Villepin, conservatore illuminato che, prima di diventare primo ministro nel 2005, era stato ministro degli esteri dal 2002 al 2004, un periodo non a caso: fu proprio grazie alla cazzimma di de Villepin, infatti, che nel 2003 la Francia si oppose all’aggressione militare criminale degli USA e della coalizione dei volenterosi contro l’Iraq (e fu grazie a lui che la Germania fece altrettanto). Fu l’ultimo barlume di sovranità da parte delle principali potenze europee, che gli costò carissimo: una volta nominato primo ministro dal presidente Chirac, mentre inanellava una serie di risultati positivi con l’economia francese in crescita e la disoccupazione e il debito pubblico in calo, venne bersagliato dai giudici per il processo fuffa noto come Clearstream 2 e, cioè, una supposta macchinazione contro il rivale Sarkozy (che, visti i danni che ha fatto Sarkozy, sarebbe stata cosa encomiabile, se solo fosse stata vera); nel 2011 de Villepin, infatti, viene assolto con formula piena, ma ormai è troppo tardi. Con Sarkozy, quel che rimaneva dell’indipendenza francese dai dictat della NATO è stato definitivamente azzerato e, con la crisi finanziaria del 2009, pure quello che rimaneva – se mai c’è stato davvero – dell’idea di una moneta indipendente dal dollaro che permettesse una qualche indipendenza economica. Da allora, de Villepin, come spesso accade ai membri delle élite europee una volta che si trovano di fronte all’arroganza senza limiti degli USA e delle élite compradore che li sostengono, non ha fatto che radicalizzare le sue posizioni, arrivando a contestare tout court la politica estera imperiale a stelle e strisce e venerdì, sempre dagli schermi di TF1, ha letteralmente asfaltato il pimpantissimo Manuelino: “Prima di parlare dell’ipotesi di inviare truppe di terra” ha sottolineato de Villepin “ci siamo chiesti se, in tal caso, ci sarebbero anche altri paesi disposti a mandare anche le loro, ma sul lato opposto? Abbiamo pensato all’ipotesi di ritrovarci di fronte combattenti africani? O asiatici? O mediorientali? In mezzo mondo non aspettano altro che una resa dei conti con l’Occidente. Se gli occidentali, se gli europei, se i francesi mandassero truppe di terra, credete davvero che non ci sarebbe nessun gesto di solidarietà nei confronti della Russia? Io credo che sarebbe l’ora di cominciare a porsele queste domande. Perché sul piano diplomatico noi non abbiamo fatto niente di quello che era necessario per provare a isolare la Russia. E io credo che oggi a essere isolati siamo molto più noi che la Russia stessa” .
A tornare sul motivo di fondo del perché la Russia sia, almeno da un certo punto di vista, meno isolata dell’Occidente collettivo è lo stesso Putin nell’intervista di Kyselov: “Il punto” sottolinea Putin “è che il cosiddetto golden billion” – il miliardo dorato e, cioè, l’Occidente collettivo – “per 500 anni ha parassitato le altre nazioni. Hanno fatto a pezzi gli sfortunati popoli dell’Africa, hanno sfruttato l’America Latina, hanno sfruttato i paesi dell’Asia e, ovviamente, nessuno se ne è dimenticato. E non parlo tanto delle leadership, anche se anche questo è un aspetto importante, ma dei cittadini comuni. Io credo associno la nostra lotta per una vera indipendenza e una vera sovranità alle loro aspirazioni per una vera sovranità e una vera indipendenza. E questo è aggravato dal fatto che le élite occidentali a livello di relazioni internazionali, fanno di tutto per congelare questo stato di cose profondamente ingiusto. Sono abituati da secoli a riempirsi la pancia di carne umana e le tasche di soldi, ma devono capire che il ballo dei vampiri sta finendo”: da questo punto di vista, insiste Putin, “Forse una reazione così emotiva da parte del presidente francese è collegata proprio a ciò che sta accadendo in alcuni stati africani”; “Penso ci sia una sorta di risentimento”, come se avessimo “cacciato la Francia”. “Il problema” però, “è diverso”: noi “non abbiamo spinto fuori nessuno”. Putin ricorda come la Wagner abbia fornito sicurezza ad alcuni operatori economici russi in Siria, per poi fare altrettanto anche in Africa: “Il ministero della difesa russo” sottolinea Putin “fornisce sostegno, ma come lo forniamo a qualsiasi gruppo russo, niente di più”; sono alcuni “leader africani che hanno voluto aprire collaborazioni con operazioni economici russi, e che non volevano più in alcun modo avere a che fare con i francesi. Non è stata una nostra iniziativa, è stata un’iniziativa dei nostri amici africani”. “Conosco molti paesi africani” continua Putin “dove sono tranquilli riguardo alla presenza francese, e si dicono volenterosi di continuare ad averci a che fare. Molti altri invece, molto semplicemente, no. E noi non abbiamo niente a che fare con questo”; “Forse” conclude “i francesi trovano più conveniente scaricare la responsabilità su qualcun altro invece che affrontare i propri problemi”.
E, al di là della debacle africana, i problemi francesi (e non solo) sono piuttosto eclatanti: “Nel 2022” avrebbe dichiarato al Fatto Quotidiano Gianandrea Gaiani “un rapporto della commissione difesa del parlamento francese ha stimato che le scorte di munizioni avrebbero consentito all’esercito di Parigi di sostenere tre o quattro giorni di conflitto in Ucraina” e, continua Gaiani, “l’ultimo rapporto della Camera dei Comuni del Regno Unito sostiene che il Paese potrebbe combattere un conflitto convenzionale per un massimo di due mesi”, ma pensare che le provocazioni di Macron siano esclusivamente parole al vento di un megalomane sarebbe sbagliato. In realtà, sono un primo passettino per cominciare piano piano a sdoganare un esito che, a meno di qualche deciso cambio di rotta, rischia di essere inevitabile; è la tesi della rana bollita e, a spiegarla, c’ha pensato Macron stesso: “2 anni fa dicevamo che non avremmo mai mandato i carri armati, e poi l’abbiamo fatto. 2 anni fa dicevamo che non avremmo mai mandato missili a medio – lungo raggio, e poi l’abbiamo fatto”. Ora, intanto, la boutade macroniana sulle truppe ha come primo obiettivo sbloccare la querelle sui Taurus che, a questo punto, sarebbero il male minore: Paura per l’Ucraina titolava ieri, in prima pagina, La Repubblichina: “Le difese scarseggiano, e ora la primavera fa paura”; ma, appunto, c’è un’“ultima spiaggia: missili a lungo raggio per bloccare i rifornimenti russi”. Anche in questo caso, come per i carri armati e i missili citati da Macron, non saranno certo i Taurus a cambiare l’esito della guerra: come ricorda sempre Gaiani sul Fatto, “Adesso si parla dei Taurus come della nuova arma miracolosa, com’era già successo per gli Scalp e gli Storm Shadow. E’ due anni che andiamo avanti così. Ma il corso della guerra non cambia, l’Unione Europea non ha più nulla da dare all’Ucraina in grado di cambiare l’esito del conflitto”; molto semplicemente – come, in qualche modo, ha ammesso lo stesso Macron – la nostra strategia è esclusivamente quella di metterci in condizione di continuare a sostenere pubblicamente – arrampicandosi sugli specchi e con il sostegno di un’informazione ridotta a mera propaganda – che “non permetteremo a Putin di vincere la guerra”, anche quando, sostanzialmente, l’ha già vinta. L’obiettivo è quello di rimandare l’accordo diplomatico per continuare a fare leva sul terrore putiniano, che non invaderebbe l’Europa solo perché gli stiamo ancora opponendo resistenza – per giustificare il fatto che, mentre tagliamo il welfare e regaliamo la nostra industria al padrone d’oltreoceano, aumentiamo a dismisura la spesa militare. Contro gli escamotage della propaganda del partito unico degli affari e della guerra, la nostra prima linea di difesa non può che essere un vero e proprio media che racconti il mondo per quel che è e non per quello che vorrebbero fosse le oligarchie e gli svendipatria sul loro libro paga. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Sergio Mattarella
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