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Propaganda italiana nel panico – L’esilarante reazione all’allarme di Draghi sull’economia europea

Repubblica: L’Ue rischia l’agonia; Il Domani: Senza cambi radicali l’Ue morirà. Una sfida esistenziale, rilancia il Corriere: a leggere i giornali, sembrava quasi che con un inaspettato colpo di Stato mediatico le bimbe di Putin e dei regimi totalitari si fossero impossessate di tutta la propaganda mainstream del nostro Paese; a oltre 2 anni e mezzo dall’inizio della guerra per procura degli USA in Ucraina, SanMarioPio da Goldman Sachs, l’ex governatore della BCE considerato da tutte le élite europee in assoluto il politecnico più autorevole in circolazione, è stato costretto a smentire brutalmente la fantasiosa narrazione suprematista che i media hanno cercato di imporci in ogni modo. Ha dovuto ammettere che, invece che il sanguinario regime di Putin, le sanzioni e la dittatura del dollaro hanno finito di radere al suolo l’economia della democratica e liberale Unione europea; e che la demolizione era partita prima, perlomeno dallo scoppio della grande crisi finanziaria scatenata dalle oligarchie USA – e pagata da noi. E che, per contrastarla, il suo whatever it takes, arrivato fuori tempo massimo dopo aver imposto un golpe all’Italia e una guerra civile mascherata alla Grecia (e che gli analfoliberali citano continuamente come prova provata della santità di MarioPio che ha fatto il miracolo ed ha salvato l’Europa), in realtà all’economia europea gli ha fatto – come si dice con un francesismo dalle mie parti – come il cazzo alle vecchie. A differenza dei pennivendoli che vivono nel culto della sua personalità e che sono talmente limitati cognitivamente che, alla lunga, finiscono sempre per credere alle vaccate che scrivono per potersi permettere di continuare a evitare di fare un lavoro vero, SanMarioPio è abbastanza lucido da comprendere che la guerra economica degli USA contro l’Europa è devastante e che, per porvi rimedio, servirebbe come minimo non un nuovo Piano Marshall, ma tre; non so se è chiaro: servono tre volte le risorse che sono servite per superare le conseguenze della seconda guerra mondiale, cioè il più grande e sanguinoso conflitto armato della storia.
Per fortuna, per la propaganda purtroppo, però, la lucidità di SanMarioPio si esaurisce qui; nonostante abbia in mano tutti i numeri che certificano, senza tema di smentita, che il suo whatever it takes di oltre 10 anni fa per salvare i debiti sovrani dei paesi europei, alla fine, non ha aiutato minimamente l’economia europea ad arrestare il declino (perché invece di rilanciare il ruolo dello Stato come pianificatore dell’economia produttiva ha rafforzato quello delle oligarchie private parassitarie che l’economia produttiva la dissanguano), anche a questo giro ripropone la stessa identica ricetta: il pubblico deve sì mobilitare nuove risorse, ma solo per consegnarle a quelle stesse identiche oligarchie (insieme ai risparmi di tutti i cittadini europei), e a ricostruire l’Europa ci penseranno loro, che non sono oligarchi perché hanno derubato sistematicamente tutti gli altri, ma perché sono il meglio della nostra società e se lo meritano. Intanto, comunque, per oggi godiamoci questa giornata storica: quando, finalmente, i pennivendoli europei furono costretti a prendere atto delle conseguenze catastrofiche della guerra che era stata dichiarata contro di loro da quelli che credevano essere i loro amici più fidati e premurosi. Ma prima di addentrarci in questa ennesima commedia all’italiana, vi ricordo di mettere un like a questo video per permetterci, anche oggi, di combattere la nostra piccola guerra contro la dittatura degli algoritmi al servizio della propaganda e, se ancora non lo avete fatto (e di sicuro tra voi c’è qualcuno che non lo ha ancora fatto), di iscrivervi anche a tutti i nostri canali e di attivare tutte le notifiche: a voi richiede meno tempo di quanto non richieda al titolista de La Repubblichina riscoprirsi putiniano non appena SanMarioPio glielo impone, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette di continuare a provare a dare informazioni sensate anche quando, tutto attorno, la chiamano propaganda putinista e ci inseriscono nelle liste di proscrizione.

Mario Draghi con bazooka

Il piano Draghi, scossa all’Europa; Cambiamenti radicali: è una sfida esistenziale. Questa nostra carrellata sulle epiche figure di merda che ha raccattato ieri la propaganda suprematista e guerrafondaia de noantri non poteva che partire dal Corriere della Serva, dove il culto di SanMarioPio è da sempre la vera religione civile che tiene insieme la redazione: “Il rapporto” scrive Lucrezia Reichlin nell’editoriale “è un grido di allarme per scuotere la leadership europea dalla sua paralisi”; “un invito, competente e accorato, a guardare in faccia la realtà di un modello sociale che rischia di non essere più sostenibile, se non facciamo, tutti insieme, scelte coraggiose” rilancia dalle pagine de La Stampa il turborenziano Tommaso Nannicini. D’altronde, lui di scelte coraggiose se ne intende, soprattutto se a pagarle poi sono gli altri; come nel caso del Jobs Act, che ha contribuito a formulare di persona personalmente in veste di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio in uno dei governi più odiati degli ultimi 40 anni. Da allora pure a lui, come al suo mentore, in termini di popolarità non è andata proprio benissimo, tant’è che nel 2022, pur di non votarlo, gli elettori nel suo collegio della rossa Toscana hanno votato una forzitaliota che, fino ad allora, aveva perso sistematicamente a tutte le elezioni dove s’era presentata. Insomma: l’editorialista perfetto per La Stampa, soprattutto quando si tratta di commentare il ritorno del messia SanMarioPio e di chiedere – appunto – altre scelte coraggiose, comprese quelle che Draghi nel rapporto “non può esplicitare fino in fondo per non travalicare i limiti del proprio mandato”. Nannicini ha le idee chiare: per questo progetto ambizioso “servono soldi” – anche pubblici – e questi soldi pubblici non si possono mobilitare “senza un’unione fiscale capace di emettere debito comune”. E non c’è unione fiscale europea senza “integrazione politica”: “Risorse comuni” sottolinea Nannicini “richiedono un ministro europeo dell’economia”. Insomma: “Se le raccomandazioni del rapporto vedranno la luce” è perché ci sarà stato qualche passo avanti significativo verso “una vera unione politica”; “E’ impensabile” sottolinea “fare lo sforzo titanico che il rapporto Draghi ci invita a fare, per poi vederlo saltare in aria per un’elezione francese, un veto ungherese o una sentenza della Corte costituzionale tedesca”. Ma attenzione, sottolinea Nannicini: “Non si tratta di cedere sovranità, come troppe volte abbiamo detto. Ma di costruire una nuova sovranità su problemi che non avranno soluzione se non a livello europeo. Con chi ci sta, anche arrivando a uno sdoppiamento istituzionale tra chi si accontenta del mercato unico e chi ambisce a qualcosa di più. E riducendo l’invasività della legislazione europea in settori dove gli Stati nazionali possono far da soli. Il rapporto Draghi” conclude “ci spiega perché questa scelta non è più rinviabile. Ma non è una scelta di politica economica. È una scelta politica. Cari europei e care europee, sveglia. Riprendiamoci il controllo”.
Insomma: come titola il suo editoriale Andrea Bonanni su La Repubblichina, per le bimbe di SanMarioPio O si fa l’Europa, o si muore. Per giustificare il rilancio fuori tempo massimo della stessa identica retorica +europeista con cui ci sfrucugliano le gonadi da 30 anni e perculare con stile i matusa che erano iscritti al PCI negli anni ‘70 (e ora lo ricercano affannosamente tra le pagine del giornale degli Agnelli), Andrea Bonanni tira fuori dal cappello addirittura Antonio Gramsci che “come Mario Draghi era un ottimista”, ma che ci aveva anche messo in allarme. Solo che per riconoscere che aveva ragione, poi, ci abbiamo impiegato 25 anni; ora speriamo che col nuovo Gramsci della finanza internazionale ci “vada un po’ meglio, e non si debba aspettare il 2050 per scoprire che aveva ragione”. D’altronde, quando hai sdoganato l’idea che puoi chiamare partigiani dei suprematisti ariani con le svastiche tatuate a tutta schiena, azzardare un parallelo Gramsci – Draghi è il male minore: con il suo rapporto, che “potrebbe essere il Manifesto della Nuova Europa”, Mario Draghi – azzarda Bonanni – indica “i radicali cambiamenti strutturali, economici, gestionali e politici che sarebbero necessari per riportare la Ue ad essere competitiva, a creare ricchezza e, garantendo il benessere dei suoi cittadini, a ritrovare il consenso che sta rapidamente perdendo attorno ai suoi valori fondanti: democrazia, libertà, coesione sociale”. In particolare – azzarderei – la coesione sociale che, in effetti, è il cuore pulsante di Maasstricht e delle istituzioni europee (un po’ come la devozione al sacro cuore di Gesù è il cuore pulsante di OnlyFans). Leggendo l’editoriale di Bonanni, comunque, mi è venuto un dubbio: non è che è un altro Bonanni? Perché, a leggere l’editoriale, non si direbbe di essere di fronte a una firma storica della Repubblichina che ha sostenuto tutti i governi di centrosinistra e di larghe intese degli ultimi 20 anni in Italia e in Europa, gli stessi contro i quali (inspiegabilmente) nell’editoriale spende parole al vetriolo; Bonanni parla infatti di “come i nostri governi nazionali abbiano sprecato gli ultimi vent’anni accumulando miopie, indecisioni, procrastinazioni e ritardi” e si chiede “dov’erano e cosa facevano le nostre classi dirigenti mentre il mondo cambiava e ci voltava le spalle, senza che neppure ce ne accorgessimo, persi nella contemplazione del nostro ombelico”. Caro Andrea, te lo dico io dove erano: a leggere la monnezza di giornale dove scrivi te; ecco dov’erano – e dove potevano imparare tante cose sulle sorti magnifiche e progressive della terza via di Blair e Clinton, della finanziarizzazione come strada maestra alla democrazia degli azionisti, delle bombe umanitarie necessarie per salvare le democrazie dall’assedio dei regimi totalitari, del mercato unico europeo e dell’austerità espansiva. Tutti nodi che La Repubblichina si guarda bene, ancora oggi, dal mettere in discussione per individuare un altro nodo cruciale: “Ma davvero possiamo pensare che il rapporto Draghi possa essere realizzato senza Draghi? Con questa commissione?” scrive Claudio Tito; il problema per i repubblichini sta tutto qua, da diversi anni. Solo SanMarioPio investito dei pieni poteri può risolvere i guai di questa Europa troppo democratica, dove anche dei populisti qualsiasi possono dire la loro. “Per assegnarli un ruolo operativo” da dove poter esercitare i suoi superpoteri magici, Claudio Tito arriva addirittura a proporre di “modificare i trattati”; d’altronde, effettivamente, il culto neoliberista degli analfoliberali per diventare, a tutti gli effetti, una vera e propria religione mancava ancora una padre creatore infallibile da venerare. E chi meglio di lui?
Il premio Bella addormentata nel bosco, comunque, anche a questo giro non può che andare al giornale più amato dai troll analfoliberali italiani: Il Foglio, negli ultimi due anni, non ha passato manco un giorno senza sottolineare come nell’Occidente collettivo tutto stesse andando per il meglio, alla faccia dei gufi e degli utili idioti della propaganda putinista. Giusto qualche esempio random. 15 gennaio: Perché le statistiche disfattiste sull’economia europea sono sbagliate; “Rispetto agli Stati Uniti” sottolinea l’articolo “le prospettive economiche dell’Europa non sono preoccupanti”. 29 agosto (giusto pochi giorni fa): L’economia americana va fortissimo. Ed è un bene anche per noi; “In UE, malgrado instabilità politica e tensioni internazionali” sottolinea l’articolo “il clima è positivo e le aspettative molto buone” . Anche nello specifico in Italia – da quando, dopo le elezioni, hanno scoperto che la Meloni era sì post fascista, ma comunque fedelissima di Washington – hanno cominciato a vedere tutto rosa. 18 marzo: L’Italia che non ti aspetti e che a dispetto di tutti, cresce; “E’ uscita a razzo dalla pandemia” elenca l’articolo “è cresciuta più di Francia e Germania per quattro anni consecutivi. Ha l’export più competitivo e l’inflazione più bassa del G7, e batte tutti i grandi paesi europei per dinamica del PIL pro capite. Fatti e numeri” conclude “che smentiscono l’eterna lagna nazionale”. E ancora, 2 luglio: La sorprendente economia italiana. Da ieri, però, la narrazione non è semplicemente cambiata; si è capovolta: “La pacchia è finita, cari europeisti”, scrivono. “Ciò che colpisce nel rapporto è il numero impressionante di ceffoni mollati a destra e a sinistra dall’ex governatore”, che “senza girarci attorno, senza eufemismi, senza mezze parole, dice che siamo arrivati al punto in cui, se non agiamo, saremo costretti a compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente, e la nostra libertà”; “Non c’è futuro per l’Europa” continua l’editoriale “senza fare i conti con il dramma della produttività europea, con il suo deficit, e con le ragioni per cui dal 2000 a oggi negli Stati Uniti il reddito disponibile pro capite è cresciuto quasi del doppio rispetto a noi” (tra le quali, azzarderei, un ruolo seppur marginale ce l’ha anche il fatto che ancora oggi si vedono pezzi di élite italiana col Foglio sottobraccio, e non è per farsi qualche risata). “La nuova agenda Draghi” continua senza il minimo senso del pudore l’articolo “è un bazooka puntato contro i populisti di destra e di sinistra” e contro “i problemi dell’Europa”, che però sono anche i “problemi dell’Italia: bassa produttività uguale bassi salari. Bassa innovazione uguale bassa competitività”; “un bazooka” concludono che “ci dice con chiarezza che la pacchia è davvero finita”. Sfortunatamente, però, non per il Foglio, dove vige la pacchia infinita e che, dalla sua fondazione, ha ricevuto una settantina di milioni di contributi pubblici nonostante venda meno copie della rivista della parrocchia che c’ho qui sotto casa (al punto che è stato proprio escluso dalle statistiche mensili sulla diffusione dei quotidiani dell’ADS).
A parte bullizzare i simpatici e iper-incompetenti amici del Foglio, comunque, il punto è che questo benedetto bazooka di Draghi, come abbiamo detto, costa una fraccata di soldi: il Corriere ricorda come per finanziare tutto questo trondiddio di roba, oltre a mobilitare i risparmi dei cittadini per metterli in tasca alle oligarchie “saranno necessari finanziamenti comuni”, in particolare sotto la forma di common safe assets e, cioè, eurobond emessi a fronte di scopi ben definiti: innovazione tecnologica, infrastrutture transfrontaliere e, soprattutto, difesa; ma, come sottolinea anche Il Domani, questa potrebbe essere una “chimera”. La Von Der Leyen, che il rapporto l’ha commissionato nella speranza che potesse dare una qualche forma di legittimità al suo mandato – nonostante, se si andasse alle urne, di per se prenderebbe meno voti di Matteo Renzi e Carlo Calenda – “è stata più cauta” ricorda il Corriere, ed ha affermato che “per tali progetti europei comuni, bisogna verificare la volontà politica”, che sembra lontana. Lo ha ribadito immediatamente il falco dell’austerity e del turboliberismo tedesco Christian Lindner, un altro apprezzatissimo capopopolo: alle europee ha dimezzato i voti del 2021 e alle regionali ha superato di poco l’1%; l’1%, come la classe che difende e che gli permette di continuare ad essere alla ribalta anche se perderebbe anche le elezioni condominiali, esattamente come Matteo Renzi o un qualsiasi giornalista del Foglio. “Con il debito comune dell’Ue non risolveremo nessun problema strutturale” ha commentato subito sul suo profilo Twitter: “Le sovvenzioni non mancano alle imprese”. Il vero problema piuttosto, conclude sfoggiando con nonchalance il suo essere talebano, “sono i vincoli della burocrazia e dell’economia pianificata”. D’altronde, come sottolinea giustamente la sempre ottima Daniela Gabor sempre su Twitter, “La Germania sta attivamente infliggendo una shock therapy del carbonio alle proprie industrie: perché dovrebbe preoccuparsi della competitività europea?”, dove con shock therapy del carbonio, specifica più avanti la Gabor, bisogna intendere il rifiuto da parte dello Stato di proteggere le aziende locali dall’impatto dello shock esterno dovuto alla transizione ecologica lasciata in mano al mercato, il tutto ammantato di una retorica che chiama disciplina di mercato la solita cara, vecchia deindustrializzazione.
Purtroppo però, come ricorda anche Lucrezia Reichlin sul Corriere, “è chiaro che senza questa mobilitazione di risorse comuni, le politiche proposte non hanno gambe. Ma è difficile pensare che in questa situazione di incertezza politica, questo grido di allarme porti ad una qualche discontinuità su un tema così controverso”: il massimo che si può realisticamente puntare a ottenere, continua la Reichlin, sono “accordi tra nazioni su priorità specifiche” e, magari, “negoziare per spostare la data della restituzione dei prestiti del New Generation Eu”. Insomma: rispetto alla necessità di mettere in campo tre Piani Marshall, briciole rinsecchite; ma “se l’Europa è di fronte a un momento esistenziale che richiede una forte discontinuità, ma questo messaggio non viene recepito” si chiede ancora la Reichlin “dobbiamo aspettarci un forte ridimensionamento sia politico che economico dell’Europa?” o “Saranno le nostre democrazie nazionali sufficientemente vitali e creative per fermare il declino ed esprimere una leadership europea più forte e riformatrice?”. Che tenerezza questi intellettualoni di buona famiglia borghese cattocomunista che non smettono mai di sperare nelle magnifiche sorti e progressive delle democrazie liberali, anche quando sono nel bel mezzo della terza guerra mondiale… Purtroppo, invece, il compromesso realistico a cui andiamo incontro è sempre la solita minestra riscaldata: secondo La Stampa, l’idea di Draghi sarebbe – molto banalmente – barattare con i paesi frugali qualche quota di obbligazioni comuni, “ma in cambio i paesi del Sud ridurranno il debito”; vi suona mica familiare? E’ nient’altro che la riproposizione (un po’ mascherata) del patto che sta alla base della creazione del mercato unico: l’unico modo che l’Europa ha per non sparire del tutto è la creazione di campioni nazionali, ma siccome questi campioni nazionali li deve creare il mercato e non il pubblico – perché la religione degli analfoliberali lo vieta – l’unica possibilità è facilitare e accelerare il naturale funzionamento dell’economia di mercato che, in soldoni, consiste nel fatto che i soldi vanno sempre e solo dove ci sono già più soldi. La riduzione forzata del debito dei paesi periferici come l’Italia non è altro che il meccanismo adottato dall’Ue ordoliberista sin dal principio per accelerare la concentrazione dei capitali nei paesi più avanzati e desertificare la periferia; insomma: un’altra bella dose di quell’ordoliberismo che, nei 15 anni che ci separano dalla grande crisi finanziaria, ha portato l’Europa nel suo complesso – e i paesi periferici e con alto debito pubblico, come l’Italia, in particolare – a un rapido e inarrestabile declino economico in cambio di una nuova quantità di debito comune assolutamente insufficiente anche per far risalire le graduatorie internazionali a eventuali campioni continentali.
Fortunatamente per Draghi, le classi dirigenti dei Paesi periferici dell’Europa sono così sprovvedute e succubi che, comunque, si sono già messe al lavoro; e l’Italia, anche a questo giro, ci tiene a farsi notare come una delle più disposte al suicidio, come avviene immancabilmente da oltre 30 anni durante i quali, sulla pelle dei nostri lavoratori (che sono gli unici del vecchio continente ad avere salari inferiori a 30 anni fa), siamo stati di gran lunga i più ligi e virtuosi di tutti. La formula individuata dal governo Meloni è sempre la stessa, che da Amato in poi ci ha visto svendere pure i parenti: una bella ondata di privatizzazioni completamente irrazionale. Il caso più eclatante è quello di Poste, che siccome sta sfornando utili a non finire (a riprova che la tesi che il privato è più efficiente è oggettivamente una bufala), una volta venduta, invece che diminuire, il debito aumenterà; ma il piatto forte che è arrivato sul tavolo ultimamente – e che prima del ritorno di SanMarioPio stava infiammando il dibattito – sono le Ferrovie. L’Italia ha di fronte due modelli: da una parte quello cinese, dove è tutto in mano ad aziende a controllo diretto dello Stato che, in pochi anni, hanno costruito la rete ad alta velocità di gran lunga più grande ed efficiente del pianeta e che, sua volta, ha alimentato un indotto gigantesco che crea centinaia e centinaia di migliaia di posti di lavoro solidi e sostenibili nel manifatturiero; dall’altro quello inglese, dove le privatizzazioni sono state un fallimento talmente colossale da tutti i punti di vista che anche un turboliberista e ultrà sionista a libro paga delle oligarchie come l’attuale premier laburista Keir Starmer le sta rimettendo in discussione. Indovinate quale preferisce il nostro governo?
L’Europa, la sua classe dirigente e la sua macchina propagandistica sono dispositivi del dominio neocoloniale statunitense che, da quando ha dovuto iniziare a lottare contro le potenze emergenti del Sud globale, per mantenere la sua fetta di torta – molto banalmente – ha cominciato a fregarcela a noi; pensare che a permetterci di riprenderci la nostra parte possa essere una delle fazioni della classe dirigente che, fino ad oggi, ci ha svenduto così allegramente, è ovviamente del tutto velleitario: l’unica possibilità che abbiamo è mandarli tutti a casina, senza troppe distinzioni. Per farlo, alla loro macchina propagandistica dobbiamo contrapporre un nostro vero e proprio media, che dia voce agli interessi concreti del 99%; aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Giuliano Ferrara

OttolinaTV

11 Settembre 2024

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