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Tag: piano

MELONI L’AFRICANA – Putin e il Sud globale smascherano la pantomima del piano Mattei

Patto con l’Africa titolava a 6 colonne il Giornanale martedì: “Storico incontro con 25 leader, VIA AL PIANO MATTEI”, ma non pensate male. Non è il remake di Faccetta Nera: la Giorgiona nazionale ha preso atto che il mondo è cambiato e s’è riscoperta un po’ il Thomas Sankara de noantri e promette “un nuovo modello di sviluppo dell’Africa”; “Una nuova pagina nelle nostre relazioni” sottolinea enfaticamente la nostra MadreCristiana “basata su una cooperazione strutturale, da pari a pari, lontana da quell’approccio predatorio che per troppo tempo ha caratterizzato le relazioni con l’Africa e che troppo spesso ha impedito all’Africa di crescere e prosperare come avrebbe potuto”. Ha fatto più la Meloni “che gli altri in 100 anni” esulta il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari rilancia: “Meloni ha appena ribaltato 200 anni di storia europea”. “E’ l’inizio di una nuova stagione” conclude la Giorgiona nazionale, una svolta epocale “che dobbiamo e possiamo fare insieme”. Un copione hollywoodiano impeccabile, col supervillain che, dopo averne combinate più di Pinocchio, alla fine si ravvede e pieno di compassione tende la mano alla sua vittima in mondovisione; ma il colpo di scena è sempre dietro l’angolo. Ed ecco così che quando meno te lo aspetti – sempre ancora in pieno stile hollywoodiano – arriva l’evento inatteso che squarcia la superficie patinata, la variabile che era stata trascurata e che ribalta in un colpo solo tutta la narrazione.
A questo giro, questa variabile si chiama Moussa Faki, il presidente dell’Unione Africana e una vecchia conoscenza di Giorgia: 2 mesi fa, due giornalisti russi le avevano fatto uno scherzetto e spacciandosi per Faki l’avevano tenuta mezz’ora al telefono. “Questa volta è quello vero” ha dichiarato scherzando Giorgiona; forse erano meglio i comici russi. “Sul piano Mattei” ha scandito infatti Faki durante il suo intervento “avremmo auspicato di essere consultati”; e meno male era l’alba di una nuova era all’insegna del dialogo e del rapporto tra pari: Giorgiona del piano Mattei ha parlato di più con due comici russi che con il presidente dell’Unione Africana. Cosa mai potrebbe andare storto?

Fester Sallusti

Così l’Italia torna in campo titola entusiasta il suo editoriale Fester Sallusti: “in questo piano” – scrive coi lucciconi agli occhi la penna più reazionaria d’Italia – “credo ci sia l’essenza della politica di Giorgia Meloni e del suo governo: avere una visione politica di dove portare questo strano paese al di là delle contingenze che continuamente lo assillano”. Peccato che la destinazione sia sempre la stessa: il Regno Incantato della Post Verità. A chiacchiere, infatti, la narrazione che circonda la favola del piano Mattei è inappuntabile perché non solo, appunto, prende le distanze dalle antiche tentazioni predatorie, ma “anche da quell’impostazione caritatevole nell’approccio con l’Africa che mal si concilia con le sue straordinarie potenzialità di sviluppo” (Giorgia Meloni); insomma, dopo aver passato gli ultimi 15 anni a parlare a vanvera del nuovo colonialismo cinese in Africa, alla fine si è costretti a copiarne l’approccio: l’Africa non è solo un fardello, ma una straordinaria opportunità. E non si tratta di fare la carità, ma di mettere da parte, appunto, le tentazioni predatorie e di permetterle finalmente di liberare tutte le sue potenzialità produttive: Giorgia ricorda come il continente nero è tutt’altro che povero ma, al contrario, racchiude il 30% delle risorse minerarie mondiali e il 60% delle terre coltivabili, e con il 60% della popolazione che ha meno di 25 anni è il continente più giovane del pianeta. Tra i più entusiasti c’è Stefano Simontacchi che, in passato, è stato nominato da questa stramba classifica stilata da GQ Italia (e di cui sinceramente nessuno sentiva il bisogno) L’avvocato più potente d’Italia e che dalle pagine del Corriere della Serva si sfrega già le mani: l’obiettivo dell’Italia, sostiene Simontacchi, dovrebbe essere quello di diventare nientepopodimeno che il “partner privilegiato per chiunque voglia investire in Africa”, “un hub preferenziale per gli investimenti in Africa” capace di “intercettare i capitali con maggiori propensione al rischio, che generano innovazione e maggiore valore aggiunto”; questa cosa, pensate un po’ – sostiene Simontacchi – potrebbe addirittura “massimizzare le possibilità per il nostro paese di giocare un ruolo nelle grandi sfide del futuro quali, ad esempio, l’intelligenza artificiale, i droni, la space economy e l’idrogeno” e sapete grazie a cosa in particolare? Grazie, scrive Simontacchi, “al quantum leap tecnologico di cui l’Africa beneficia”; scrive proprio così, giusto, quantum leap tecnologico: fuffa allo stato puro, come si confà a ogni arringa di un bravo avvocato che mescola un po’ a caso termini roboanti per sbalordire il pubblico prima di arrivare con nonchalance al vero nocciolo della questione. Per trasformarsi in questo fantomatico hub infatti, sottolinea Simontacchi, c’è bisogno di rivoltare come un calzino l’intero funzionamento della macchina statale a suon di “minore burocrazia, velocità nell’ottenimento dei permessi, certezza del diritto e fiscalità favorevole sia per l’investimento sia per la distribuzione dei proventi”: insomma, in soldoni, trasformare l’Italia in un paradiso fiscale e in una centrale mondiale del riciclaggio di proventi illeciti pronti a invadere l’Africa e depredarla come sempre di tutta la sua ricchezza, ma con mezzi innovativi e degni di una nuova copertina su GQ. Ma anche per chi non arriva ai deliri distopici di Simontacchi le aspettative rimangono comunque altissime: secondo Fester Sallusti, infatti, il piano finalmente sarebbe la realizzazione concreta del vecchio mantra dell’aiutiamoli a casa loro e farebbe in modo che “in almeno in una parte di quel continente nascano condizioni economiche e quindi sociali stabili per poter affermare il diritto a non emigrare”; dai, almeno ha specificato “almeno una parte di continente” e non proprio tutto tutto.
Ma quanto costa cambiare definitivamente la sorte di almeno un pezzo di continente? E’ qui la magia dei fratelli di mezza italia: assolutamente niente, manco un euro. A chiacchiere, infatti, il piano dovrebbe godere di una dotazione di 5,5 miliardi che, anche se fossero veri, sarebbero una goccia nell’oceano: soltanto per la transizione ecologica, il continente – infatti – è stato stimato avrebbe urgentemente bisogno di 500 miliardi e l’Unione Europea, nell’ambito della sua risposta alla Nuova Via della Seta cinese denominata Global Gateway, prevede finanziamenti diretti in Africa per circa 150 miliardi. Ovviamente, come abbiamo spiegato già svariate volte, è tutta fuffa: sono quasi esclusivamente investimenti diretti privati, quasi esclusivamente nel settore dell’energia fossile (che già esistono) ai quali l’Unione Europea aggiungerà qualche spicciolo del suo bilancio per poi ribattezzare il tutto con un nuovo nome per fare finta di aver imparato dai cinesi che l’era delle chiacchiere è finita e che anche l’Europa ha un piano concreto per lo sviluppo africano, ma almeno, fuffa per fuffa, l’hanno sparata grossa. Qui, ormai, anche a dire le cazzate siamo diventati scarsi: 5,5 miliardi che, appunto, non esistono; in parte lo spiega benissimo, con un altro vero e proprio capolavoro di satira involontaria, il vice direttore de La Verità, l’ex carabiniere Claudio Antonelli, che del suo vecchio mestiere ha mantenuto il rapporto non proprio confidenziale con la matematica delle scuole primarie. Antonelli spiega infatti che di questi 5,5 miliardi due arriveranno dai fondi che ogni anno vengono stanziati per la cooperazione e lo sviluppo: Antonelli ricorda come, ogni anno, per la cooperazione e lo sviluppo vengono stanziati circa 4,5 miliardi dei quali, però, soltanto il 40% è destinato all’Africa; “d’ora in avanti invece” annuncia entusiasta “ben 2 miliardi dei 4,5 andranno nel continente nero” e cioè esattamente il 40%, come prima. “Facile immaginare come cambierà la musica” commenta, con disprezzo per ogni forma di autostima: il bello è che una fetta di questi soldi per la cooperazione in realtà, secondo quanto denunciato dalle opposizioni, andavano e continueranno ad andare molto semplicemente direttamente ad ENI per progetti legati allo sfruttamento delle risorse fossili in Africa.
Oltre agli stessi identici soldi che abbiamo sempre mandato in Africa con scarsissimi risultati, comunque, quello che manca – invece – verrà preso dal fondo per il clima e tra l’altro, ricorda il ministero dell’ambiente, sono spalmati su più anni: 840 milioni l’anno dal 2022 al 2026 e altri 40 dal 2027 in poi; ma la cosa divertente è che erano soldi che dovevano servire ad accelerare la transizione ecologica e, quindi, a ridurre almeno in minima parte il gap che abbiamo accumulato in termini di investimenti per le energie rinnovabili e che invece, grazie al piano Mattei, vengono stornati su progetti che riguardano le fonti fossili. Che siano in Africa, diciamo, è secondario: se erano in Sardegna, per dire, lo facevano in Sardegna; come sottolineano quei troll favolosi di Libero di scrivere minchiate “la sinistra s’indigna, perché vorrebbe spenderli per inseguire gli obiettivi fissati negli accordi internazionali per la decarbonizzazione” che però, commentano, sono “del tutto inutili finché Cina e India non si impegneranno a fare altrettanto”. “Dirottare quei finanziamenti in Africa per costruire infrastrutture destinate a produrre e trasportare energia di cui beneficerà anche l’Italia” concludono “è molto più intelligente”. Insomma, tutto questo rumore per un piano che non esiste, che non è accompagnato da nessun progetto concreto, dove manca totalmente una lista dei risultati attesi, senza un euro in dotazione e portato avanti senza consultare la controparte: come svolta epocale un po’ pochino, diciamo. Forse la speranza era – molto banalmente – che quelle che temo continuino a considerare le solite vecchie faccette nere, non se accorgessero; d’altronde, vai a sapere come ragionano questi che vivono fuori dal nostro giardino ordinato.

Moussa Faki

A quanto pare però, incredibilmente, si sbagliavano: “l’Africa non si accontenta più di semplici promesse che poi non vengono mantenute” ha sottolineato nel suo intervento sempre Moussa Faki che poi, rivolgendosi direttamente al nostro prestigioso ministro degli esteri Antonio Tajani, ha ribadito “Sette anni fa mi sono presentato al Parlamento Europeo da Lei presieduto, e oggi trasmetto lo stesso concetto”. Insomma, carissimo Antonio, ‘ste chiacchiere son 10 anni che le sentiamo: cambia il packaging, ma la fuffa è sempre la stessa. E Moussa Faki almeno a Roma c’è venuto. La lista delle defezioni, infatti, è abbastanza pesante: l’Algeria, che è il primo partner commerciale dell’Italia nel continente e dove, recentemente, si sono recati di persona sia Mario Draghi che la Meloni, si è limitato a inviare la ministra degli esteri; l’Egitto, quella per la cooperazione internazionale. Per la Libia, secondo partner commerciale dell’Italia nel continente, il premier c’era pure, ma molto probabilmente quello sbagliato: mentre il debolissimo Dabaiba era a Roma, infatti, l’uomo forte della Cirenaica – quello che ha le chiavi delle risorse fossili del paese, il generale Haftar – si incontrava a Bengasi con il vice ministro della difesa russo Yunus-Bek Yevkurov. Solo che, invece di parlare di piani immaginari e di quattrini fantasma, parlavano di un accordo per una megabase navale a Tobruk. E la Libia di Haftar non è certo l’unico paese che privilegia i rapporti con la Russia rispetto alla fuffa meloniana: a mancare infatti, com’era più che prevedibile, erano anche Mali, Burkina Faso e Niger, i 3 paesi al centro della grande decolonizzazione dell’Africa occidentale. Dopo aver vissuto ognuno il suo golpe patriottico, sono stati minacciati di interventi militari dai vicini riuniti nell’ECOWAS e dai francesi: “Anche se i governanti militari del Niger chiedessero il ritiro delle truppe francesi, come è già accaduto nei vicini Mali e Burkina Faso” dichiarava nell’agosto 2023 alla PBS la portavoce del ministero degli esteri francese Anne-Claire Legendre “ciò non farebbe alcuna differenza. Non rispondiamo ai golpisti. Riconosciamo un solo ordine costituzionale e una sola legittimità, quella del presidente Bazoum”. E, invece, non solo alla fine i francesi sono stati cacciati, ma i tre paesi sono usciti dall’ECOWAS, hanno formato un’alleanza formale, stanno lavorando in prospettiva per una vera e propria confederazione e stanno rafforzando le relazioni con la Russia: pochi giorni fa, infatti, sono sbarcati in Burkina i primi 100 soldati dell’Africa Corps russo che, rivela Bloomberg, saranno presto seguiti da altri 200 uomini che contribuiranno all’addestramento delle forze armate. Intanto consiglieri russi sono già presenti da tempo in Mali e, secondo RT, il 17 gennaio sarebbe arrivato a Mosca il presidente della giunta nigerina e i due paesi avrebbero “concordato di sviluppare la cooperazione militare e di lavorare insieme per stabilizzare la sicurezza della regione” e ora questi tre paesi, scrive ancora il sempre lucidissimo Claudio Antonelli, “sono un problema per il piano Mattei”. Antonelli nella sua eterna confusione mentale, anche a questo giro, involontariamente, svela alcune delle riflessioni inconfessabili che attraversano il nostro governo di svendipatria e fintosovranisti al soldo di Washington: l’umiliazione della Francia nell’area ha sottratto alle ex potenze coloniali il loro avamposto ed ha lasciato “un buco geopolitico”; ora in quel buco si stanno insinuando le potenze, a partire dalla Russia, che sostengono e difendono la sovranità di questi governi multipolaristi. L’Italia, sostiene in sostanza Antonelli, è piazzata bene per cercare di diventare il cocco di Washington nell’area, molto meglio anche della Francia che, oltre ad essere ormai universalmente odiata, ogni tanto qualche velleità sovranista e di indipendenza – al contrario nostro – ancora ha provato a mantenerla; ovviamente, però, la situazione è tesa e quindi, sostiene Antonelli, “serviranno più fondi alla difesa, più elasticità in capo allo stato maggiore e” UDITE UDITE “un passo avanti nel campo della guerra ibrida” fino a “dotare l’Italia e l’Europa di compagnie militari private che tutelino secondo regole locali gli sforzi delle aziende italiane”.
Insomma, alla faccia del nuovo paradigma: visto dagli occhi dei sostenitori del governo il piano Mattei altro non è che il ritorno delle vecchie pulsioni coloniali, solo che questa volta sono in nome di Washington che ormai, però, come sponsor probabilmente non è manco più che sia tutto sto granché: mentre a Roma erano assenti i paesi sovranisti del Sahel, infatti, anche il loro più acerrimo amico c’aveva judo. Si chiama Bola Tinubu ed è il presidente della Nigeria che non solo è la prima potenza economica e demografica della regione, ma che era stato anche il primo artefice delle minacce d’intervento militare contro i golpe patriottici in nome dell’ECOWAS ma, a questo giro, sulla sete di vendetta ha avuto la meglio lo charme parigino: Tinubu, infatti, a Roma ha bucato pur non avendo nessun impegno; era, molto banalmente, in vacanza oltralpe. Alla Meloni non è rimasto che attaccarsi a Macky Sall, il presidente del Senegal, così amato nel suo paese e nell’intera regione che per piazzare uno dei suoi alle prossime elezioni di febbraio in Senegal ha dovuto sostanzialmente mettere in galera tutti gli oppositori e senza che, in questo caso, dalle nostre parti a nessuno venisse in mente di parlare di golpe.
Ormai siamo i Bernie Madoff della politica internazionale: le nostre iniziative sono solo schemi Ponzi che poggiano solo sui titoli della stampa filogovernativa, che nessuno legge. Sarebbe arrivata l’ora di costruire una vera alternativa, a partire da un vero e proprio media che dia voce al mondo nuovo che avanza, e al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Antonio Tajani