L’Europa e le elezioni farsa: come l’inutilità delle europee scatena il panico tra i liberali
Finalmente ci siamo: a partire da domani potremmo di nuovo tornare a votare democraticamente per un’istituzione che di democratico non ha assolutamente niente. Per decenni abbiamo sempre denunciato l’ipocrisia delle nostre istituzioni democratiche nazionali che, dopo la breve parentesi dell’epoca d’oro delle democrazie costituzionali del secondo dopoguerra, con una sequela di controriforme hanno sottratto alla politica da sotto i piedi il terreno della lotta per la crescita della democrazia sostanziale, lasciandole agibilità solo all’interno del perimetro angusto della democrazia formale fino a quando le istituzioni europee – e la messa in scena dell’integrazione europea – non ci hanno accontentato: se disprezzate così tanto la democrazia formale, ecco fatto! Vi leviamo pure quella. L’unico organo direttamente elettivo delle istituzioni europee, infatti, conta come il due di picche quando briscola è cuori e tutto il resto è fatto scientificamente a immagine e somiglianza delle oligarchie finanziarie; nonostante la gigantesca macchina propagandistica messa a disposizione della leggenda metropolitana dell’Europa unita e democratica, questa realtà è talmente evidente che, ormai, a scomodarsi per andare a votare alle europee è sostanzialmente una minoranza degli aventi diritto (o almeno, questa è l’impressione che abbiamo noi che facciamo parte della macchina del fango della propaganda putiniana).
Ma ai giornalisti veri come Claudio Tito de La Repubblichina non la si fa e, ancora oggi, coraggiosamente denunciava: Voto Ue, guerra ibrida sui social. Mosca alimenta l’astensionismo; “Il bombardamento digitale di fake news” continua Tito “è destinato a intensificarsi nelle prossime ore. Obiettivo: screditare la Ue e allontanare gli elettori”. Tito fa una rivelazione sconvolgente: “Solo nel mese di maggio” rivela “sulle piattaforme di Zuckerberg sono stati individuati almeno” – udite, udite – “275 profili pro-Russia” che hanno prodotto la cifra astronomica di 61 – e, ripeto, 61 – messaggi che hanno raggiunto addirittura la bellezza di 1,5 milioni di account in Italia, circa un decimo di quelli raggiunti da una foto qualsiasi dei Ferragnez ai tempi d’oro (anche se, effettivamente, per un giornale che ormai non leggono più nemmeno quelli che ci scrivono possono sembrare numeri importanti). L’obiettivo di questa campagna – che raccoglie meno risultati della promozione della sagra della polenta di Pizzighettone – sarebbe nientepopodimeno che “far fallire il fronte europeista” che senza questa campagna, invece, riscuoterebbe il sostegno incondizionato ed entusiasta di tutti gli abitanti dei quartieri popolari di tutto il vecchio continente; ma addirittura – anche se questa è una missione ancora più ardua – questa campagna servirebbe “a gettare discredito sui media tradizionali” nonostante gli scoop sulle pale russe e sugli USA che crescono al doppio della velocità della Cina. Uno slogan incredibilmente efficace inventato giusto per l’occasione dalla sofisticata propaganda putiniana, sottolinea Tito, sarebbe l’hashtag “iononvoto”, che prima che il plurimorto dittatore del Cremlino decidesse di conquistare Lisbona non si era mai visto; come d’altronde, continua Tito, vale anche per lo slogan mefitico, come lo definisce lui, “NOEU“.
Particolarmente sospetto è che questi temi emergano proprio in questi giorni, a ridosso della scadenza elettorale e non – che so – per la festa della donna o per la giornata mondiale per la tubercolosi; contro questa propaganda straniera però, fortunatamente, “Tutti e 27 i partner” del vecchio continente si sono fatti un esame di coscienza e hanno deciso che dovevano giocare il tutto per tutto per difendere l’informazione oggettiva del Foglio contro la propaganda putiniana e, così, hanno messo in piedi “uffici che monitorano questo tipo di influenza e intervengono per bloccarla” – e cioè, in soldoni, che censurano chiunque non sia così rimbambito da pensarla come Claudio Tito. D’altronde, a mali estremi, estremi rimedi: e qui, sottolinea Tito, è evidente che questo è solo un pezzo “della guerra ibrida perpetrata” contro di noi “dai nemici esterni: Russia e Cina”; Tito, però, sottolinea anche come gli esperti del parlamento europeo gli abbiano garantito che “siamo pronti a reagire, e non abbiamo paura”. Buon per te; io, sinceramente, un pochino di paura all’idea che ancora oggi si possa scrivere impunemente una tale mole di puttanate senza venire travolti dalla vergogna sociale e senza diventare vittime del pubblico ludibrio generalizzato, ogni tanto la provo. Ma prima di addentrarci su cosa c’è, o non c’è, in ballo con queste elezioni europee, vi ricordo di mettere un like a questo video perché, come dice Tito, noi che facciamo propaganda putiniana siamo lautamente finanziati, ma senza il vostro supporto poi l’algoritmo comunque ci snobba e Putin si intristisce. E se non vuoi far piangere Putin, continua a guardare questo video.
Poco più di un anno fa, le istituzioni europee sono state travolte dal cosiddetto QatarGate e la stampa scandalistica, come normale e inevitabile, ci s’è fiondata a pesce morto; come ricorderete, infatti, il caso ha riguardato i massimi vertici istituzionali dell’Unione: la vicepresidente del parlamento europeo Eva Kaili e il compagno Antonio Panzeri che, così, ha coronato simbolicamente la fine di un percorso involutivo che – oltre che politico – è anche proprio antropologico e che l’ha portato dalla segreteria della Camera del lavoro di Milano (che è la più importante d’Italia) fino al libro paga delle oligarchie delle petromonarchie del Golfo. Ma a ben vedere, l’unica cosa che si può davvero imputare ai due faccendieri è di non essere stati sufficientemente bravi e accorti nel loro lavoro e di essersi fatti beccare con le mani nella marmellata; arraffare l’arraffabile infatti, da tanti punti di vista, è sostanzialmente la cosa più produttiva che un parlamentare europeo può fare negli anni in cui è parcheggiato tra Bruxelles e Strasburgo ed infatti è l’attività che li tiene tutti più occupati in assoluto. Come sottolineava Enrico Grazzini ancora nel dicembre del 2022 su Micromega, infatti, “Lo scandalo Qatar va inserito in un contesto di corruzione ambientale favorito dalla concentrazione estrema dei poteri europei in pochi organi burocratici, ristretti e centralizzati, che operano in maniera opaca e in stretta simbiosi con il big business e in assenza di qualsiasi forma di controllo e di partecipazione democratica dal basso”; “A parte i casi di manifesta corruzione dei singoli” continuava Grazzini “il problema centrale è che tra il big business, gli oligopoli multinazionali, le grandi banche d’affari da una parte e le istituzioni della Ue e la Banca Centrale Europea dall’altra esistono legami talmente simbiotici da rendere difficilissima, se non impossibile, la distinzione tra bene pubblico e interesse privato”. E sia chiaro: non c’entrano niente le disfunzionalità occasionali di istituzioni ancora giovani e che si devono fare le ossa per resistere in un mondo di squali. Piuttosto, è esattamente il contrario: più le istituzioni europee si consolidano e più l’unica funzione dei parlamentari che eleggiamo diventa quella di accaparrarsi prebende di ogni genere in cambio di favori alle corporation; è proprio la natura strutturale dell’Unione europea, che è nata proprio come massima espressione del trionfo totale della controrivoluzione neoliberista – e, cioè, quel progetto distopico di trasformazione complessiva del sistema-mondo capitalistico che prevedeva che nessun paese al mondo doveva avere più strumenti per esercitare una qualche forma di sovranità e, quindi, di potere regolatorio nei confronti delle scorribande del capitalismo finanziario speculativo, se non, al limite, gli Stati Uniti d’America. L’Unione Europea è quindi, sin dalle origini, un progetto di carattere sostanzialmente neocoloniale e lo è in un modo talmente plateale che ormai, tranne nelle redazioni de La Repubblichina e del Corriere della Serva (e tra i 4 amici al bar che guidano progetti a cavallo tra politica e cabaret, come – neuroni e + Europa), alla favola dell’Europa democratica sostanzialmente non ci crede più nessuno e quando vanno a votare metà degli aventi diritto è festa grossa.
Com’è arcinoto, il meccanismo in assoluto più delirante è quello che prevede che le politiche fiscali rimangano in capo ai governi dei paesi aderenti, ma quelle monetarie siano appannaggio di un club privato di oligarchi noto come Banca Centrale Europea che, come ricorda Alessandro Somma su La Fionda, priva gli Stati “degli strumenti indispensabili a promuovere la piena occupazione” e quindi, stringi stringi, la democrazia ; è quindi del tutto normale che, come in tutte le postdemocrazie neocoloniali, il mestiere delle classi dirigenti si limiti essenzialmente a una sola cosa: rimuovere gli ostacoli al pieno dispiegamento della ferocia del capitale in cambio di qualche mancetta. Per oliare adeguatamente questo meccanismo, a Bruxelles operano la bellezza di 12400 lobbisti che la commissione cataloga, con spiccato senso dell’ironia, come attori della democrazia rappresentativa: “Il fenomeno delle porte girevoli tra le società private e le istituzioni europee” sottolinea Grazzini “è dilagante: in molti casi i capi delle lobby vengono messi a fare parte degli organi tecnici della Ue e, viceversa, i partecipanti agli organi della Ue vanno poi a presiedere lobby e società che hanno supervisionato”. Celebre è, ad esempio, il caso del compagno Josè Barroso, l’ex leader della celebre Federazione degli Studenti Marxisti-Leninisti portoghese che, dopo essere stato per 10 anni a capo della Commissione Europea, è diventato presidente di Goldman Sachs (scatenando l’invidia del nostro San MarioPio da Goldman Sachs); l’olandese Neelie Kros che, invece, le magnifiche sorti e progressive del capitalismo selvaggio le ha sempre sostenute (e, quindi, almeno è coerente), dopo aver passato 10 anni da Commissario alla concorrenza ora siede in una serie sterminata di CdA di megacorporation che, evidentemente, ha servito al meglio.
Contro la bolla dorata che i faccendieri si costruiscono su misura, le istituzioni europee non prevedono nessun contro-potere democratico: il Parlamento europeo, infatti, non ha il potere di legiferare; come sintetizza Grazzini “è poco più di un forum di discussione”, un talk show. Il Parlamento, che è l’unico organo direttamente elettivo dell’Unione, come è noto, in pratica non fa altro che ratificare le decisione prese dal Consiglio europeo e promosse dalla Commissione; il fatto che l’istituzione europea con meno poteri sia la sede della sovranità popolare per eccellenza, il luogo della rappresenta democratica per antonomasia come il Parlamento, la dice lunga su come nell’Unione europea la democrazia conti come il tofu alla sagra del cinghiale. Già li sento orde di analfoliberali e qualche sinistrato depresso gridare al pippone rossobruno! Il Marucci sovranista e antieuropeista! Grazie mille per la prima; effettivamente a Ottolina siamo pericolosi sovranisti come la nostra Costituzione: o Togliatti o Nenni. Che ci piaccia o no, la sovranità popolare – e le sue forme istituzionali democratiche capaci di favorire il progresso dei diritti sociali, democratici ed economici nel secondo dopoguerra – si è sviluppata all’interno degli Stati nazionali; l’Unione europea poteva essere un progetto sovranazionale caratterizzato dalla cooperazione tra Stati democratici che cooperano al fine di generalizzare a livello europeo gli standard di welfare più elevati, la cooperazione economica e industriale, la sicurezza. Sì, ma col coso lì, come si chiama, il coso… ah già. Col cazzo. Purtroppo – guarda un po’ a volte il caso – l’Unione europea si è configurata presto come un’istituzione sovranazionale basata sulla competizione economica tra Stati nazionali; il contrario di un’Europa unita e solidale. Gli Stati nazione non solo non sono spariti, ma le folli norme di bilancio europee basate sull’austerità hanno distrutto il welfare e l’intervento pubblico in economia, per cui ai governi non è rimasto che farsi la guerra economica ampliando le diseguaglianze tra stati membri. Ma non solo: se in un Consiglio comunale, regionale, perfino in un Parlamento, non puoi più parlare di welfare perché non hai soldi, ma devi tagliare; non puoi parlare di gestione pubblica dell’economia perché spetta al mercato; non puoi parlare di politiche industriali perché spetta al mercato; non puoi regolare i prezzi delle case perché spetta al mercato. Alla politica non resta che amministrare i danni del mercato e invocare politiche identitarie, per cui c’è sempre qualche emergenza sicurezza perché che cazzo ne fai di tutti questi morti di fame espulsi dalla società? Mettiamoli in galera!
L’Unione europea è l’involucro istituzionale che distrugge la democrazia europea: lascia, per ora, intatte le elezioni, ma le svuota, favorisce la guerra economica e culturale ed è, in definitiva, il singolo ostacolo più grande in assoluto ad un progetto democratico e sovrano di Europa unita; che senso ha, allora, andare alle urne? Pochino, in tutta sincerità, e gli appelli moralisteggianti a non dare la democrazia per scontata e vivere il voto come un dovere civile, ormai, suonano decisamente patetici. Io non do la democrazia per scontata; do per scontato che qui, di democratico, c’è rimasta solo la libertà di fare ancora questi discorsi a cippadicazzo (e lo dice uno che, alla fine, a votare ci andrà) perché, nonostante il panico espresso dai vari menestrelli delle oligarchie alla Claudio Tito, alla fine se nessuno va a votare non gliene frega un cazzo a nessuno. Per distruggere un sistema di potere, ne devi costruire un altro che lo rade al suolo; non è che te lo regalano perché gli vengono i sensi di colpa. Andare a votare allora in questo contesto è, molto banalmente, come partecipare a un sondaggio; e se a me domani mi chiama l’IPSOS, che in guerra per difendere i loro interessi di sicuro io non ci vado glielo dico volentieri, come gli dico volentieri che se la sinistra ZTL spera di avere il mio voto con la minaccia della destra autoritaria – che, in realtà, ai loro occhi ha il solo difetto di essere diventata la cocca prediletta di zio Biden – forse casca malino. La conseguenza immediata di questo ragionamento (se lo condividete) è che, a questo giro, la trappola del voto utile – che a volte è ragionevole e ha un suo valore – conta meno di zero; questo è un voto inutile per definizione e, quindi, datelo un po’ a chi vi pare, senza troppi tatticismi. Ma soprattutto, dopo aver speso un quarto d’ora per votare, se vi sta un po’ a cuore il vostro destino, le vostre energie, più che a disquisire e a dividervi su queste vaccate provate a spenderlo per costruire insieme una vera alternativa a partire da un vero media che, invece che alle vaccate dei Tito e degli euroinomani, dia voce al 99% e che, per nascere, ha bisogno di tutto il tuo sostegno. Aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
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