Chi ha paura della decrescita – Ft. Paolo Cacciari
Da molto tempo sono invalsi luoghi comuni in quantità sul decrescismo come paradigma ecologico-politico, accomunato a forme di ambientalismo trendy innocuo perché incapace di aggredire i meccanismi di sfruttamento effettivi, scambiato per pauperismo primitivistico (questa la critica più frequente di una certa sinistra modernista) oppure (nel caso dell’ex premier M. Renzi) interpretato come una mera forma di regressione economica indesiderabile in sé. Quello che ci proponiamo in questa chiacchierata è un tentativo di dialogare con orizzonti di ricerca alternativi al sistema economico vigente nel suo sovrasfruttamento ambientale e dinanzi alla crisi climatica in atto in cui ci dibattiamo (senza un’agenda politica seria) che si fa sempre più pressante.
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George Orwell: «In questo tempo di inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario»
2 luglio 2007
Locusta, la mutazione genetica del capitalismo
di Andrea Montella
Quando formuliamo un’ipotesi di “nuova economia” dobbiamo sapere che essa avrà successo solo se sarà in grado di rispondere ad un miglioramento della qualità della vita.
Partendo dalla storia antica notiamo che i vari cicli evolutivi della specie umana sono strettamente connessi con lo sviluppo della capacità produttiva e della capacità distributiva.
Il periodo della caccia e della raccolta fu soppiantato da quello più conveniente dell’agricoltura, che portava in sé la nascita della proprietà privata e le sue divisioni sociali, a cui ha fatto seguito quello della rivoluzione industriale.
In questo inizialmente lento, ma poi sempre più impetuoso sviluppo dell’economia basata sulla proprietà privata, l’elemento caratteristico che ha permesso questa accelerazione è stato quello di aver sfruttato altri esseri umani, utilizzati nelle varie epoche come schiavi, servi della gleba, lavoratori salariati-stipendiati o a partita IVA.
In sostanza questa è stata l’evoluzione del genere umano a cui si è accompagnata l’evoluzione di quella che oggi definiamo civiltà e che è inseparabile dai suoi concetti giuridici. Il primo serio tentativo di ribaltare la situazione sia a livello economico che giuridico è avvenuto nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre. E il suo arretramento, causato dal cordone sanitario economico e politico che il capitale gli ha costruito attorno per impedirne l’espansione nei Paesi a capitalismo avanzato, in particolare in Germania, è una delle concause dell’attuale degrado economico, politico ed etico-morale delle moderne classi dirigenti e dell’implosione dell’esperienza sovietica.
Le leggi sin qui sorte poggiano tutte su una base materiale ben precisa che è quella determinata dalla proprietà privata, con la specificità della proprietà borghese dei mezzi di produzione, che nella nostra epoca è assurto a dogma universale.
Questo dogma sta generando, in coloro che proprietà non hanno, la consapevolezza del suo limite e della sua contraddittorietà.
I terrificanti problemi ambientali, non si possono separare dal modello produttivo che li genera, il sistema capitalistico e dalla classe sociale che in quel contesto ne detiene il potere.
E’ evidente che lo spreco di risorse e l’inquinamento è determinato da individui con un preciso stile di vita, come il principe Carlo d’Inghilterra, noto ambientalista, che produce da solo 1.500 tonnellate annue di anidride carbonica, dati forniti da un’inchiesta di Chris Goodall fatta per il Sunday Times e autore del libro How to live a low carbon life, moltiplicate questo dato relativo a Carlo d’Inghilterra, per il 5 per cento della popolazione mondiale, percentuale equivalente all’estensione della classe alto borghese sul pianeta, 300milioni di persone, e il risultato sarà che essi producono 450miliardi di tonnellate di CO2.. Mentre 10 tonnellate di CO2 sono quelle rilasciate da una famiglia media europea, composta da 3,58 individui, sempre secondo quello studio. Se i restanti 6,5 miliardi di abitanti del nostro pianeta vivessero come un membro delle nostre famiglie e sappiamo che non è così, per moltissimi africani, asiatici e latinoamericani, produrrebbero solo 2,79 tonnellate di CO2 pro capite, dato che moltiplicato i 6,5 miliardi di abitanti non capitalisti produrrebbero 18 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, vivendo una condizione di benessere reale. E’ evidente che anche l’inquinamento va analizzato all’interno delle dinamiche di classe. Ma molti delle attuali formazioni di “sinistra”, pensano che sia sufficiente mettere qualche pezza al sistema per renderlo accettabile, cioè che basti qualche convegno con le classi dirigenti e qualche riformetta per ripristinare condizioni di vivibilità degne del ventunesimo secolo. Costoro, questi utopisti dell’ultima ora, sono convinti che l’attuale classe dirigente sia in grado di modificare questo trend e che voglia uscire dal suo modello capitalistico e consumistico di massa. In sostanza chiedono utopisticamente alla locusta di smettere di esserlo. Ma che ciò non sia possibile è sotto gli occhi di tutti, sono i dati relativi al loro agire che portano a dire che nelle loro decisioni politiche c’è una volontà perversa e razzista che tende e tenderà a peggiorare le condizioni di miliardi di persone. Il peggioramento delle nostre condizioni, che deriva dalla cessione di potere da parte nostra a questa élite, è la base costitutiva del loro potere e dei loro guadagni attuali e futuri.
Mentre in Occidente si esalta in modo trionfalistico il ruolo dell’economia è sempre più chiaro che l’impoverimento relativo dei lavoratori di questa parte del mondo sta facendo aumentare in modo esponenziale l’indebitamento delle famiglie e nel contempo guadagnare banche e società finanziarie come non mai. In modo cosciente si diffonde una povertà universale che è però schiava del consumismo compulsivo e del debito.
Ma la locusta sta già lavorando per spacciare l’idea che la povertà ormai è un dato strutturale del sistema non discutibile. Anzi s’inizia un lavoro ideologico per farci accettare questa condizione materiale di decrescita, prodotta dal capitalismo, grazie al lavoro ideologico di pensatori reazionari come Serge Latouche, che con le loro categorie sociologiche interclassiste e le loro narrazioni, tentano di scaricare sulla vittima del sistema, il proletariato, la responsabilità delle sorti del pianeta. Una vera porcata.
Questo mondo in decrescita, grazie ai capitalisti, va inesorabilmente e volutamente verso una polarizzazione tra strati di super-ricchi e di super-poveri. Il New York Times Magazine in un recente articolo spiegava in che condizioni si trova il Paese guida del sistema capitalistico, gli Usa, facendo notare che il reddito dell’1% della popolazione più ricca è aumentato di 7 punti percentuali, mentre il reddito dell’80 per cento della popolazione più povera è calato di 7 punti percentuali. La situazione è paradossale: è come se l’80% della popolazione mandasse un assegno di 7mila dollari ogni anno, alla classe dei super-ricchi.
Inoltre sappiamo che la ricchezza finanziaria a livello mondiale ammonta a 60mila miliardi di dollari e che ben 53 mila miliardi è nelle mani di fondi pensione, fondi comuni e assicurazioni, il resto è nelle casseforti delle banche centrali, nei private equity, negli hedge fund e nei fondi sovrani. Sono le bocche fameliche delle locuste che stanno prosciugando tutta la ricchezza prodotta e che condizionano tutte le scelte politiche in tutti gli Stati del pianeta.
Le locuste sanno che un sistema basato su classi fortemente indebitate genera precarietà e una insicurezza sociale fortissima con una conseguente richiesta di sicurezza di tipo autoritario e quindi la società è sempre meno propensa a mettersi in discussione o ad avere forme di democrazia partecipata ed egualitaria. Le locuste fanno crescere il bisogno di autoritarismo, grazie ad un capillare lavoro mediatico, che viene spacciato per una forma di democrazia più moderna come i governi presidenziali e di premierato, grazie ai sistemi elettorali maggioritari. Si ottiene in questo modo una contrazione della democrazia e nel contempo una dilatazione dell’ideologia della proprietà e dell’egoismo che in essa si cela, con la conseguenza di estendere la menzogna e la sopraffazione che assurgono a regole universali. E grazie a questo stato di cose perdono forza le proposte mediatorie laburiste e keynesiane. E’ evidente che occorre ben altro, che il riformismo borghese in salsa impero britannico, è qui che trova spazio il Comunismo, non come utopia ma come bisogno reale, come evento di vero avanzamento sociale e di civiltà.
Questa politica del debito incide come un bisturi sulle carni e sulle coscienze dei proletari, spacca le famiglie, atomizza gli individui, li disgrega e li ricolloca in seno alla società nella condizione dei lavoratori dell’800, precarizzandoli e in questo modo toglie potere a quegli Stati che grazie alla lotta di classe hanno introdotto leggi favorevoli ai lavoratori. E l’Europa si trova in una situazione contraddittoria, da un lato i proletari vogliono partecipare alla costruzione della Costituzione immettendovi le loro istanze politiche e sociali, mentre i capitalisti lavorano esattamente al contrario: propongono una Carta di 500 pagine di carattere fortemente classista e pensano a un guerrafondaio come Blair alla presidenza della Commissione Europea per i prossimi anni. Ovviamente modificando, in modo autoritario, il mandato che oggi è semestrale e portandolo a 2 o a 5 anni, il che lo farebbe diventare di fatto il presidente d’Europa. Alla faccia della democrazia e della libertà di voto.
Questa incresciosa situazione si viene a determinare a causa del basso profilo politico delle formazioni di sinistra in Europa e in particolare del nostro Paese, situazione generatasi dopo la morte di Berlinguer e l’arrivo degli attuali gruppi dirigenti, chi più chi meno anticomunisti di sinistra o di destra, incapaci di costruire una lotta in campo europeo per far passare contenuti e creare aggregazioni in linea con i nostri principi costituzionali.
Chi analizza il sistema capitalistico scopre che questa politica consente al sistema di gettare la maschera e mostrare così il proprio volto autoritario e razzista. Una maschera che il capitalismo si era dovuto costruire fin quando ha avuto formazioni politiche che lo mettevano in discussione, come i Partiti comunisti e Stati che si rifacevano al socialismo e al comunismo,
Per impedire questa deriva autoritaria occorre che i proletari rompano questo processo che poggia su una grande menzogna, legata alla loro condizione sociale, i lavoratori non percepiscono una retribuzione pari alla quota di ricchezza prodotta. I lavoratori producono molto di più di quello per cui vengono pagati. Ed è per questa ragione che i salari e gli stipendi di tutti i lavoratori del mondo non sono in grado di acquistare la produzione realizzata a livello mondiale, ed è una delle cause delle crisi di sovrapproduzione.
Nel sistema capitalistico si concretizza un assurdo: il valore della merce prodotta vale di più dei proletari che l’hanno realizzata; è insita quindi nel sistema capitalistico una svalutazione degli esseri umani, che non sono più messi in condizione paritetica tra di loro, ma esiste un gruppo sociale che – grazie all’appropriazione del surplus prodotto – diventa una classe sociale superiore.
Questa è la base materiale su cui poggia l’ideologia capitalistica e ogni conseguente forma di razzismo.
Questa ingiustizia si trasferisce nei sistemi costituzionali d’impronta liberale. Il modello a cui noi italiani dovremmo fare riferimento, abbandonando la nostra che è una Costituzione sociale ed egualitaria dove al centro c’è il lavoro e non la proprietà.
Nel concreto, i ladri di plusvalore, richiedono costituzioni e leggi per tutelare i beni che hanno rubato. E in questa epoca dove la differenza tra salari e profitti è cresciuta in maniera esponenziale a favore dei profitti, la richiesta di controlli autoritari da parte di questi gangster in abiti firmati si fa sempre più pressante.
Con la perdita dei diritti sociali da parte dei lavoratori la borghesia parte all’attacco anche degli stessi diritti borghesi, contrapponendovi una sua visione economicista e classista di stampo medievale. In Italia in particolare l’urgenza è contro il nostro sistema legislativo, che ha come base una Costituzione sociale, anticapitalista ed egualitaria. E quindi si attaccano i magistrati, in quanto espressione giuridica di una collettività con pari diritti; i giornalisti quando si muovono nell’interesse della maggioranza della popolazione come affermato nell’articolo 21 della Costituzione.
L’elemento di protezione della privacy è usato con lo scopo di difendere gli interessi dei più forti: il caso dello spionaggio Telecom è la dimostrazione che l’intrusione nella vita della maggioranza dei proletari è la regola praticata dai più forti, mentre il ruolo istituzionale e pubblico dei magistrati è visto come una violazione del diritto a delinquere da parte del potente e quindi da attaccare con leggi anticostituzionali contro le intercettazioni.
Tutto questo succede perché il sistema economico non vuole e non può smettere di produrre beni in modo collettivo e avere un’appropriazione degli stessi di tipo privato. Nel suo ciclo lavorativo si producono merci grazie ad esseri umani che sono acquistati al mercato, come qualsiasi altra merce, e il loro valore oscilla, sotto la spinta della domanda e dell’offerta, come quello delle banane, dei pomodori o dei bulloni. Quindi se c’è un’eccedenza, un surplus di merce forza lavoro, il capitale quali misure può mettere in movimento per riuscire ad eliminare questa eccedenza di esseri umani? Certamente non può sterminare milioni di persone in modo palese, ma agendo su alcuni meccanismi economici e sociali può ottenere una caduta generalizzata dello stile di vita, che lentamente ma inesorabilmente produce una diminuzione della speranza di vita. In Russia nel periodo in cui fu introdotto il capitalismo selvaggio, grazie alle politiche di Eltsin, ci fu un drastico abbattimento delle aspettative di vita che superò abbondantemente la media dei 10 anni. «Tra il 1992 e il 1994 l’aumento della mortalità in Russia fu così drammatico, che i demografi occidentali non credettero alle statistiche. Le morti per omicidio, suicidio, attacchi cardiaci e incidenti diedero alla Russia una mortalità da Paese in guerra. I demografi occidentali e russi sono concordi: tra il 1992 e il 2000, il numero di decessi ‘in sovrappiù’ è stato fra i cinque e i sei milioni». Questi dati sono usciti sul Wall Street Journal, in un articolo commemorativo di Boris Eltsin e del suo periodo di governo.
Ma i capitalisti sono coloro che hanno costruito e foraggiato le finalità e gli obiettivi criminali delle peggiori dittature, raggiungendo con il nazismo il punto più alto di quella morale perversa che fa dell’interesse egoistico il motore della storia.
E in perfetta sintonia con l’interesse egoistico ecco che la “scienza” arriva loro in soccorso: a porte chiuse, dopo aver allontanato giornalisti e cameramen, il professor Eric R. Pianka, biologo dell’Università di Austin durante il meeting del marzo 2006 che si è tenuto alla Texas Academy of Science, ha affermato che il problema più grande, la madre di tutti i problemi, è il mix di sovrappopolazione e carburanti fossili che stanno finendo. Quindi l’unica soluzione che si prospetta, per Pianka, è ridurre la popolazione mondiale di almeno un terzo e quanto prima perché l’uomo non deve più avere un posto privilegiato nel mondo. “Non siamo meglio dei batteri” ha affermato in modo categorico ed ha proseguito dicendo che ormai né la fame né la guerra sono efficienti allo scopo dunque, “dobbiamo sterilizzare ognuno sul pianeta, se no, gli incoscienti erediteranno la Terra”. Si è poi augurato lo scoppio di qualche pandemia che realizzasse il suo obiettivo.
Il pensiero di Pianka non è un ragionamento isolato fatto dal solito scienziato pazzo: è quello che il sistema distribuisce ogni giorno, è il prodotto del rapporto perverso che c’è tra gli uomini, determinato dai rapporti di proprietà e che si riflette nel pensiero scientifico. La scienza non è più al servizio di tutti gli uomini ma si dimostra strumento parziale e funzionale solo agli interessi dei più forti. E in questo senso vanno le riforme proposte nei settori universitari e scientifici.
Per perpetuare questo stato di cose le classi dirigenti hanno bisogno di mantenere celata l’ingiustizia della mercificazione dei proletari. Ed è lo scopo a cui si dedicano i media nelle loro variegate espressioni: dai giornali, alla radio, alle televisioni, incaricati di diffondere una cultura che combaci perfettamente con il modello produttivo, capace di spronare – con tecniche mutuate dagli apparati militari che si occupano del condizionamento della personalità umana – all’acquisto compulsivo di ogni genere di prodotto. Queste tecniche sono applicate su scala planetaria dalle compagnie che si occupano di pubblicità e ci hanno portato all’attuale società consumistica.
Per conseguenza i lavoratori divengono consumatori compulsivi delle merci che producono, ma di cui non possono determinare la qualità e la compatibilità con l’ambiente. Il valore di scambio si sostituisce al valore d’uso.
Si viene a determinare quel fenomeno chiamato alienazione, ben conosciuto da un grande esperto come Karl Marx.
Si capisce quindi per quale ragione nella società capitalistica non si possono produrre beni di alta qualità per tutti: i beni di alta qualità hanno la caratteristica di creare le condizioni materiali per liberarci dal lavoro imbecille e ripetitivo e di diminuire il saccheggio delle risorse ambientali.
Si aprirebbe uno spazio enorme ad una vita più sobria dove aumenterebbe la quota di tempo disponibile alle relazioni sociali e alle pratiche creative e di ricerca, in altre parole si darebbe a tutti la possibilità di praticare la democrazia e quindi di progettare il nostro presente ed il nostro futuro. Cosa oggi concessa solo a coloro che possono consumare il plusvalore da noi prodotto. In altre parole potremmo fare politica. Quindi avere il tempo per capire e decidere.
Per realizzare una società più egualitaria occorre mettere in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione, come dice la nostra Costituzione negli articoli 3 e 41 che “…E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”:
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
La nostra Costituzione e solo la nostra, vincola l’economia e l’azione politica dei partiti a questi scopi. Ma oggi si sa che per la classe dirigente rispettare la legge è agire da stolti, meglio fare leggi personalizzate.
Infatti per i detentori del capitale si lavora in senso opposto, si aumentano gli ostacoli e si sta programmando una decrescita complessiva dei cicli di produzione, stabilita sull’abbassamento generalizzato della qualità, dove la svalorizzazione del lavoro umano è la base su cui poggia la produzione di queste merci, utili però per riempire i mercati di tutto il mondo e per “soddisfare” le nuove richieste di generi di consumo che arrivano dai paesi emergenti (India, Cina, ecc.).
E’ il caso del progetto per le auto low cost, elaborato dalla Toyota, dalla Tata, dalla Fiat e da tutte le maggiori case automobilistiche. Auto che costeranno 2000 dollari, ma non verranno sottoposte ai crash test prima di uscire dalle fabbriche e non risponderanno ai requisiti antinquinamento: l’emergenza climatica è sotto gli occhi di tutti e la risposta che viene data è “miliardi di macchine, molto inquinanti”. La follia pura.
I modelli Wal-Mart e Ikea sono le linea guida di tutto il capitalismo che tende a far decrescere la qualità della produzione parallelamente alla decrescita della qualità della merce forza lavoro.
Sfruttarci di più per farci consumare di più, indebitandoci di più.
Il modello è il capitalismo in versione asiatica a livello produttivo e anglosassone nei consumi e nell’indebitamento.
Ma le loro politiche sono devastanti per le persone e per l’ambiente.
Questo modello anglo-asiatico si sta imponendo anche da noi grazie all’introduzione di quelle controriforme che sono alla base della decrescita qualitativa nei settori della Sanità, della Scuola, del sistema pensionistico, nell’alimentazione, tutti settori che perdono progressivamente la loro funzione universalistica venendo legati a mere logiche di profitto.
Cosa fare? Dobbiamo sovvertire l’ordine dei problemi: non si deve produrre un bene solo perché è fonte di profitto individuale, ma deve servire, sia alla singola persona che alla collettività e per sapere della sua utilità sociale si deve estendere la democrazia e la partecipazione nelle decisioni anche nel campo dell’economia. Se si deve produrre un oggetto è meglio che sia di alta qualità; in esso devono esserci il meglio delle conoscenze specifiche e interdisciplinari per avere la maggior compatibilità possibile con la società e l’ambiente.
La produzione di beni di alta qualità per tutti determina un miglioramento delle condizioni ambientali in quanto accompagnato da un minor spreco di risorse, ed è ovvio a tutti che un prodotto di alta qualità dura molto di più, qualsiasi prodotto sia e contrasterebbe le logiche insite nel consumismo. Si produrrebbe di meno ma meglio.
Inoltre diffondere la cultura della qualità diffusa riposiziona l’essere umano rispetto al prodotto, l’Essere acquista forza rispetto all’avere, con un netto vantaggio anche per le relazioni umane: si combatte la logica della concorrenza anteponendovi quella della collaborazione.
Lottare per estendere a tutti gli esseri umani la qualità dei prodotti avrebbe un effetto positivo anche a livello legislativo: si introdurrebbero più diritti e più libertà per coloro che da secoli ne sono privati. In quanto produttori dovremmo avere delle leggi che ci consentano di intervenire sui processi reali e decisionali nel lavoro; si darebbe impulso alla scienza svincolandola dalla subordinazione del capitale.
Va da sé che lottare per la qualità della produzione non è separabile dalla lotta contro la mercificazione dell’uomo e contro la politica monetaria praticata dai banchieri, che con le loro tecniche determinano i meccanismi inflazionistici e il conseguente indebitamento sia dei settori produttivi che della totalità della popolazione, che perdono progressivamente, grazie a queste politiche, diritti e libertà, creando di fatto una nuova forma di schiavitù. Vedi i risultati ottenuti dalle varie banche centrali, dalla Banca Mondiale e dal FMI.
Siamo nell’epoca in cui il capitalismo non riesce ad essere positivo rispetto ai principi della sua stessa ideologia che avevano al centro il motto “benessere e libertà per tutti”.
Nella realtà 793 persone nel 2005 possedevano da soli 2.600 miliardi di dollari, l’equivalente del debito di tutti i Paesi del mondo (Hervè Kempf “Comment les riches détruisent la planète”, Ed Seuil, 2007).
Quindi la soluzione al problema non sta negli attuali degenerati gruppi dirigenti, e nella loro catena di comando, ma è in quella classe subalterna che oggi si è notevolmente estesa sul pianeta: il proletariato. E’ l’unica classe sociale, il 95 per cento della popolazione, che ha l’interesse oggettivo al cambiamento; è l’unica classe che inglobando grazie ai processi di proletarizzazione, la piccola e media borghesia, ha acquisito quelle conoscenze che potrebbero servire alla costruzione di un mondo più giusto sia a livello sociale che ambientale.
Ma per creare i grandi mutamenti occorrono classi sociali coscienti del proprio ruolo e che si diano una forma organizzata, il Partito comunista, capace di essere lo strumento per la realizzazione del programma che deve avere al proprio interno la fine del lavoro salariato, come disse e scrisse in Salario prezzo e profitto Karl Marx: “Invece della parola d’ordine conservatrice: ‘Un equo salario per un’equa giornata di lavoro’, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: ‘Soppressione del sistema del lavoro salariato’” perché se non è uguale per tutti l’ora di lavoro necessaria per acquisire beni e servizi, qualsiasi lavoro si svolga, l’eguaglianza diventa un miraggio.
Quindi pretendendo l’eguaglianza dell’ora di lavoro prestata alla società determiniamo, per tutti, l’accesso egualitario a beni e servizi, quindi il superamento dei limiti derivanti dal salario e otteniamo concretamente l’eguaglianza tra gli esseri umani, facendo crollare in questo modo ogni forma di pretesa superiorità economica e sociale delle classi al potere oggi.