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L’Occidente in panico per il trionfo di Putin reagisce a suon di fake news e leggende metropolitane

I media occidentali non sembrano avere dubbi: sapete chi è stato il vero vincitore delle elezioni in Russia? Alexander Navalny! Lo sapevo! Hai presente quando ti ritrovi a un megapranzo di famiglia e c’è il parente scemo – e anche un po’ antipatichello – e non si capisce bene per quale motivo sei un po’ in apprensione perché temi si metta in imbarazzo da solo con qualche discorso a cippadicazzo? Ecco, il mio mood per tutto il weekend è stato esattamente quello: speravo che i nostri giornali, per elaborare il lutto del trionfo elettorale di Putin, non si inventassero qualche megastronzata galattica delle loro che ci fa apparire sempre di più lo zimbello dell’universo mondo, ma la speranza è durata pochino. Il primo episodio, che ormai conoscerete già tutti, è quello di questo video; tra i primi a ripostarlo in Italia è l’infallibile Daniele Angrisani, uno dei più brillanti e acuti giornalisti d’inchiesta della penisola, firma di punta della sempre puntualissima e scrupolosissima Fanpage e arcinoto nel microcosmo dei NAFO più intransigenti per il suo incrollabile ottimismo che, in passato, l’ha portato ad affermare che “La Russia ha già perso la guerra”(maggio 2022), che “La Russia può e deve essere sconfitta militarmente” (settembre 2022)

e che ci sono ben “Otto motivi per cui l’Ucraina può vincere la guerra nel 2023 (dicembre 2022). Il video condiviso da Angrisani riprenderebbe un militare russo che entra in fretta e furia in un seggio e poi si affaccia in due cabine elettorali “chiedendo cortesemente”, sottolinea Angrisani, “di vedere il voto”, ma così a occhio non sembra esattamente convincentissimo, diciamo: solo per rimanere alle cose più eclatanti, infatti, si nota immediatamente che dentro le cabine manca un piano dove appoggiarsi per scrivere sulla scheda e, all’arrivo del militare, le persone che stanno votando non hanno nessunissima reazione; manco si girano. Nonostante il controllo poliziesco, chi sta riprendendo inquadra la scena in maniera perfetta, senza muoversi di un millimetro e quindi, si presume, è perfettamente visibile dal militare che, però, non ha niente da ridire e che entra in scena esattamente al momento giusto dal lato giusto; manca solo una vocina che dica ciak, si gira: potevano fare di meglio, diciamo, ma tanto – avranno pensato – con tutti st’invasati che girano su Twitter un Angrisani che se la beve, in Occidente, lo troviamo di sicuro lo stesso.
Il problema è che, oltre a un Angrisani qualsiasi, a crederci – o a sperare che ci creda chi li segue – sono anche parecchi altri e il video, così, viene trasmesso da tutti i principali tg nazionali, da La7 a RAI 1, e quando è montata l’indignazione ecco che, immancabile, è arrivato anche il MacGiver del debunking, David 7cervelli Puente che, irreprensibile come sempre, ha denunciato come “La propaganda russa si sta impegnando per far passare il video come falso e fabbricato da parte degli ucraini, ma le prove fornite risultano deboli”. Quelle a sostegno dell’autenticità, invece, sono inossidabili: “Diversamente da altri casi verificati” ammette lo stesso Puente “il video non risulta geograficamente individuabile” e “non si conosce” né “l’esatta ubicazione del seggio”, né “in quale giorno sia accaduto il presunto episodio”; inoltre, riporta sempre Puente, l’account che ha caricato il video per primo sul social VK non è più presente, ma sono tutti dettagli che per alzare un polverone a caso sullo svolgimento del voto russo, evidentemente, possono essere trascurati e, purtroppo, questa trashata era destinata a non essere altro che un piccolo antipastino del delirio che sarebbe seguito.
Carissimi Ottoliner, ben ritrovati: oggi vi allieteremo con un altro entusiasmante racconto della cripta della post verità; prima di andare oltre, però, ricordatevi di mettere un like per aiutarci nella nostra guerra quotidiana contro la dittatura degli algoritmi e anche di iscrivervi e di attivare le notifiche su tutti i nostri canali, compreso quello in lingua inglese – e così vediamo se insieme riusciamo a rompere l’oscurità della propaganda che ci circonda.
Durante tutto il weekend, mano a mano che cominciavano ad arrivare i primi dati che facevano odorare un’affluenza record alle urne in tutta la Russia, passo dopo passo la propaganda suprematista metteva le basi per la sua sceneggiata da oscar ricalcando la tecnica propagandistica sviluppata in mesi e mesi di sconfitte eclatanti sul fronte ucraino e che affonda le sue radici nella teoria della macchina del fango dell’FBI di Hoover: di fronte a un evento dall’esito scontato e di un’entità che rende impossibile ignorarlo tout court, si tenta di creare una narrazione ad hoc che miri perlomeno a ridurre la portata e l’impatto dell’evento stesso; una realtà parallela costruita ad hoc dove una cacatina ininfluente, sufficientemente gonfiata, distoglie l’attenzione dall’evento che si vuole dissimulare e permette di creare una cortina fumogena all’interno della quale è possibile continuare a sostenere una narrazione palesemente irrealistica, almeno di fronte al pubblico più distratto o ideologicamente più favorevolmente orientato. E’ esattamente quello che si è cercato di ottenere con le varie operazioni mediatiche sul fronte ucraino – dallo sbarco di qualche disperato a bordo di qualche barchino sulla riva orientale dello Dnepr spacciata per potenziale testa di ponte, agli attacchi suicidi dei lettori di Kant in quel di Belgorod. A questo giro, a mettere le basi della brillante strategia che avrebbe permesso alla gigantesca macchina propagandistica dell’Occidente collettivo di negare il trionfo di Putin qualsiasi fosse stato il risultato, c’aveva pensato lo stesso Navalny nella sua ultimissima apparizione: si chiamava Mezzogiorno contro Putin e consisteva, molto banalmente, nel recarsi alle urne alle 12 di domenica. A fare cosa? Assolutamente niente. E come si sarebbero riconosciuti? Ma in nessunissimo modo, ovviamente: un po’ come se io ora organizzassi un boicottaggio contro Carrefour, accusata di commerciare prodotti che arrivano direttamente dai territori occupati illegalmente da Israele, e dessi appuntamento ai protestatari in qualche catena concorrente nell’ora di punta di un giorno che precede una festività importante senza indicare, appunto, nessuna azione da fare e nessun segno distintivo; poi, all’ora X, faccio un po’ di foto alle code che si formano inevitabilmente a quell’ora (protesta o non protesta) e con la connivenza dei media le spaccio per la prova del grande successo della mia protesta. Gli italiani boicottano Carrefour. Alla vigilia di Natale migliaia di persona in fila alla Conad e alla Coop in sostegno alla campagna lanciata da Ottolina Tv: come presa per il culo sembra un po’ troppo spregiudicata; eppure è esattamente quello che è successo con queste elezioni.
A dare il la, già domenica, c’aveva pensato l’Economist: La farsa della rielezione di Vladimir Putin – titolavaè degna di nota solo per le proteste; in serata, Reuters riportava le parole di Leonid Volkov, l’”aiutante di Navalny in esilio che è stato attaccato con un martello la scorsa settimana a Vilnius” e che, sottolinea Reuters, “stima che centinaia di migliaia di persone si siano recate ai seggi elettorali a Mosca, San Pietroburgo, Ekaterinburg e in altre città”. “Reuters” però, purtroppo – sottolinea l’articolo con una forma davvero apprezzabile di autoironia british involontaria – “non ha potuto verificare in modo indipendente tale stima”, però, aggiunge, “giornalisti Reuters hanno notato code di diverse centinaia di persone, in alcuni luoghi anche migliaia”; peccato si fossero dimenticati il telefonino a casa e, alla fine, la foto più esplicativa che sono riusciti a recuperare è questa. Ciononostante, ieri mattina sui giornali italiani la grande mobilitazione delle bimbe di Navalny dominava la scena in modo totalmente bipartisan: Migliaia di persone si sono radunate davanti ai seggi per il mezzogiorno contro Putin titolava Il Domani; Code per Navalny – rilanciava Libero – “I sostenitori dell’attivista in massa ai seggi alla stessa ora”. “Le immagini che Vladimir Putin e i suoi sodali non avrebbero mai voluto vedere” riporta concitato Roberto Fabbri sul Giornanale “hanno fatto il giro del mondo”: “Code di centinaia di metri” insiste, “nonostante rischino perfino anni di carcere”; ma che dico anni, millenni! E che dico centinaia di metri di coda: decine di migliaia di chilometri, che dimostrano chiaramente “il coraggio di chi resiste nel regime che uccide l’opposizione”. “Un sassolino nella macchina da guerra del trionfo annunciato di Vladimir Putin” rilancia sempre sul Giornanale Andrea Cuomo che, di solito, quando parla di sassolino si riferisce al liquore (visto che si occupa di enogastronomia), ma – d’altronde – per fare un po’ di propaganda spiccia con vaccate del genere non è che serva un master in relazioni internazionali, diciamo; basta un po’ di estro creativo che a Cuomo, onestamente, non manca: questo, continua infatti ispiratissimo, “è un sassolino che fa rumore”, un rumore che “per lo Zar che, salute permettendo, resterà al Cremlino fino al 2030 è fastidioso”, ma che “per i russi e per buona parte del mondo” è “una sottile melodia di libertà”.
Anche Marco Imarisio sul Corriere della serva era partito col caricatore della retorica bello pieno; strada facendo, però, gli deve essere montato qualche dubbio e dalle centinaia di migliaia di persone citate da Reuters, passa a un più modesto e realistico “Piccolo incremento di presenze ai seggi attorno alle 12” per poi ammettere che le immagini divulgate dall’opposizione “mostrano assembramenti di dimensione contenuta che solo con un notevole sforzo di fantasia possono essere definiti una moltitudine”. Fantasia che, evidentemente, al nostro esperto di enogastronomia del Giornanale non manca: “Una forma di obiezione non illegale, ma comunque clamorosa” – sottolinea – e per la quale, continua con la solita enfasi poetica, “ci voleva coraggio, ma questo al fiero popolo russo non manca di certo”.
Ora, non so se si possa parlare di coraggio, ma che siano fieri mi pare indubbio: come spesso capita ai popoli che si sentono accerchiati, i russi, invece che arretrare, sembrano piuttosto aver voluto rilanciare con decisione e, per farlo, hanno dato un mandato pieno al loro presidente che più pieno non si può perché, ovviamente, sull’esito del voto dubbi non ce ne erano; ma sminuire il fatto che si sia recato alle urne il maggior numero di elettori in assoluto dalla fine dell’Unione Sovietica, ho come l’impressione che potrebbe impedire, ancora una volta, di farci un’idea minimamente sensata di cosa stia accadendo in Russia. Con l’88% del 78% degli aventi diritto che si è recato alle urne, Putin conferma di essere uno dei leader contemporanei con in assoluto il maggior sostegno popolare al mondo, soprattutto se confrontato con la stragrande maggioranza dei leader occidentali, dove non solo quel livello di consenso non viene nemmeno sfiorato da nessun leader, ma nemmeno dalla somma dei consensi di tutte le varie fazioni del partito unico della guerra e degli affari. I consensi per i leader al governo nei vari paesi occidentali, infatti, sono ormai praticamente sistematicamente al di sotto della maggioranza (e, spesso, manco di poco): secondo i dati di Morning Consult, a parte Berset in Svizzera e Tusk in Polonia (che gode ancora dei fasti delle ormai sempre più brevi lune di miele tra elettorato e leader neoeletti), quella messa meno peggio sarebbe proprio la nostra Giorgia Meloni con il 44% di approvazioni; Biden sarebbe al 37, Sunak al 27, Macron al 24 e Scholz addirittura sotto al 20 che, a ben vedere, è una situazione meno paradossale di quanto possa apparire; come sottolinea sempre il nostro guru Michael Hudson, infatti, da quando è finita la democrazia moderna e siamo entrati nell’era della distopia neoliberista, abbiamo imparato a definire autocratici tutti i regimi che hanno ancora abbastanza potere da tenere a bada gli appetiti delle oligarchie, mentre definiamo democrazie tutti quei regimi dove le oligarchie dettano legge incontrastate e i rappresentanti politici sono relegati al ruolo di utili idioti che si prendono gli insulti dalla gente per aver messo la faccia nelle varie azioni di rapina condotte in nome dei loro datori di lavoro. Da questo punto di vista, quindi, i leader occidentali sono i rappresentanti dell’1% contro il 99 e, quindi, che riescano comunque ad avere tassi di approvazione a doppia cifra è già un mezzo miracolo, in buona parte dovuto al ruolo che continuano a svolgere la propaganda e i mezzi di disinformazione di massa.
Discorso diametralmente opposto, invece, per i leader dei paesi che definiamo autocratici, che non derivano il loro potere dalle oligarchie, ma – in qualche misura – si potrebbe dire, appunto, dal popolo contro le oligarchie; e quindi, da questo punto di vista, che i leader che noi definiamo autocratici – da Putin a Xi Jinping, da Maduro a Raisi – registrino un sostegno, appunto, non solo maggiore rispetto a qualche singolo leader occidentale, ma – più in generale – alla somma di tutti i leader occidentali, sembra essere un dato piuttosto normale e strutturale.
Ma se ancora servisse un’altra prova provata della strutturale debolezza delle opposizioni filo occidentali (e quindi, volenti o nolenti, filo oligarchiche) all’interno delle autocrazie, in generale – e di quella russa, in particolare – basta vedere il risultato dell’unica new entry della politica russa, il giovane Vladislav Davankov, candidato presidenziale del piccolo partito liberale Nuova Gente, un liberale con caratteristiche russe che non si presta, in realtà, a rappresentare davvero il voto dei dissidenti, ma che, ciononostante – proprio in quanto quarto parzialmente incomodo – era stato indicato proprio dai dissidenti come la meno peggio delle alternative; che su di lui siano confluiti i voti dei giovani liberali cosmopoliti lo dimostra il fatto che nelle grandi metropoli europee, sia Mosca che San Pietroburgo, ha ottenuto i risultati di gran lunga migliori con, rispettivamente, il 6,6 e il 7%. A livello nazionale, però, si è fermato al 3,9, appena una manciata di voti in più rispetto a quelli ottenuti dal suo partito alle elezioni parlamentari del 2021. Insomma: il peso della dissidenza filo occidentale antiputin si pesa, ad essere generosi, in qualche centinaio di migliaia di voti quasi tutti concentrati nelle grandi metropoli europee, ma ciononostante, insiste Vittorio Da Rold sul Domani, “Il segnale per il Cremlino è forte e chiaro: c’è un forte malcontento verso Vladimir Putin che cerca solo un catalizzatore politico interno o una crisi esterna per esplodere”; non a caso Da Rold, come sottolinea orgoglioso in ogni sua biografia che si trova online, è Media Leader del World Economic Forum, che vuol dire essersi dimostrato sufficientemente allineato con gli interessi delle oligarchie da godere della loro fiducia per moderare gli eventi più importanti del loro salotto buono.
“La folla, e quindi le immagini feticcio dall’effetto balsamico per le illusioni occidentali” conclude amaramente Imarisio sul Corriere della Serva “c’è stata, ma altrove, lontano dalla Russia”: quando davvero ci sbarazzeremo definitivamente della nostra supponenza coloniale e impareremo a conoscere e a rispettare gli altri popoli per quello che sono realmente – e non per quello che dovrebbero essere per permettere alle nostre oligarchie e ai loro leccapiedi di continuare a vivere al di sopra delle loro possibilità – una bella fetta della grande rivoluzione verso un nuovo ordine multipolare sarà già fatta; per arrivarci, prima di tutto abbiamo bisogno di un vero e proprio media nuovo di zecca che, invece che all’arroganza del miliardo d’oro, dia voce agli interessi concreti del 99% del pianeta. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Maurizio sambuca Molinari

OttolinaTV

19 Marzo 2024

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