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Se i Cinesi si prendono l’Industria dell’Auto ItalianaGrosso guaio a Mirafiori

Grosso guaio a Mirafiori titolava a 6 colonne ieri Libero; “arrivano i cinesi”. Per chi ancora nutriva qualche speranza che questa destra di straccioni fintosovranisti e svendipatria avesse in serbo qualcosa di diverso per il Paese, rispetto alla solita ricetta a base di finanziarizzazione e deindustrializzazione per fare felici le oligarchie e il padrone di Washington, ieri è stata la giornata dell’Epifania; la pietra dello scandalo sarebbe questo articolo apparso su Automotive News Europe, una tra le più autorevoli testate europee dedicate al mondo dei motori: Stellantis, titola, potrebbe costruire i veicoli elettrici del partner cinese Leapmotor in Italia. “Fino a 150 mila auto Leapmotor l’anno” chiarisce il sottotitolo “potrebbero venire costruite nello storico stabilimento FIAT di Mirafiori”; un’ottima notizia, da tutti i punti di vista: attirare investimenti esteri per la produzione, infatti, è ovviamente uno degli obiettivi dichiarati di qualsiasi forza di governo – e giustamente, direi. Il problema ovviamente, semmai, sorge quando, con la scusa di attirare investimenti esteri, si concedono incentivi e finanziamenti a cazzo coi nostri soldi, o si dà una bella sforbiciata ai diritti dei lavoratori per fare concorrenza a paesi con livelli salariali e leggi sul lavoro decisamente più arretrate; il paradosso di tutti i governi degli ultimi 30 anni è proprio che hanno massacrato il mondo del lavoro e hanno promesso mari e monti a chi ci faceva la concessione di venire a investire da noi, ma in realtà senza ottenere mai una seganiente lo stesso: le multinazionali straniere si sono comprate una quantità spropositata di nostre aziende, ma – il più delle volte – la finalità era papparsi marchi e quote di mercato, e di rilanci produttivi manco l’ombra. Di cosa parliamo, invece, a questo giro?

Leapmotor è una delle ormai innumerevoli startup cinesi, spuntate come funghi negli ultimi 7 – 8 anni per ritagliarsi un posto al sole nella rivoluzione elettrica del mercato auto più grande del pianeta, e ha qualche asso nella manica: Leapmotor, infatti, ha sviluppato un chip tutto suo per i veicoli a guida autonoma e pure una piattaforma tutta sua che può essere utilizzata per la produzione di millemila modelli diversi, a seconda delle esigenze del mercato finale; Leapmotor, inoltre, ha da anni avviato una partnership strategica con FAW, il secondo gruppo per dimensioni delle 4 grandi e, cioè, le case automobilistiche di proprietà direttamente dello stato cinese – che in Cina è una cosa che fa sempre piuttosto comodo. Ed ecco così che, nell’ultimo anno, a buttare gli occhi su Leapmotor sono arrivati in diversi; ad agosto sembrava quasi fatto un accordo con Volvo, anche lei di proprietà di un altro marchio cinese, questa volta totalmente privato: si chiama Geely e – come ricordava Il Sole 24 ore nell’aprile 2020, a 10 anni dall’acquisizione – è un caso da manuale del “perché la cura cinese funziona”. “In un decennio” infatti “la casa svedese si è completamente trasformata. Ha raddoppiato il numero degli addetti, è passata da 449 mila a oltre 700 mila vendite all’anno, e da un fatturato di 126 a 274 miliardi di corone svedesi”: sono 21.500 posti di lavoro in più, tutti nella piccola, ricchissima e sindacalmente agguerritissima Svezia, talmente agguerrita che quando a fare concorrenza ai cinesi di Geely è arrivata Tesla e ha deciso di rompere con le tradizionali relazioni sindacali, ha causato un sciopero a macchia di leopardo che va avanti ormai da ottobre e che è sostenuto dall’80% della popolazione. Nel frattempo, invece, Volvo ha annunciato tre nuovi modelli interamente elettrici, ma la corsa a Leapmotor, invece, l’ha persa; e a vincerla siamo stati noi (vabbeh, si fa per dire…): a ottobre, infatti, dietro l’esborso di 1,5 miliardi di dollari, Stellantis col 21% è diventato il primo azionista. A che pro?
Leapmotor in quel momento, infatti, vende praticamente solo in Cina, che è sì il mercato automobilistico più grande del mondo – e anche di un bel po’ – ma è anche quello dove la concorrenza è più feroce, soprattutto nel mercato dell’elettrico dove la Cina, da sola, pesa più di tutto il resto del mondo messo assieme, ma a contenderselo ci sono la bellezza di 50 case diverse che si stanno facendo una guerra di prezzi spietata, alla fine della quale solo il più forte sopravviverà e, secondo gli analisti, i più forti non saranno più di una decina di marchi entro il 2030. E fino ad allora, a parte i marchi più grossi, di fare profitti non se ne parla proprio; ed ecco, infatti, che Stellantis tenta tutta un’altra strada: in Olanda, con Leapmotor dà vita a una joint venture che si chiama Leapmotor International. Obiettivo: vendere i veicoli elettrici prodotti in Cina in Europa; certo, non è un grande contributo al nostro automotive, anzi! Negli ultimi 20 anni il governo cinese ha lavorato giorno e notte per creare i presupposti per un’industria dell’elettrico di dimensioni gigantesche e, poi, ha imposto alle aziende di investire una quantità spropositata di quattrini per ritagliarsi qualche quota di mercato a colpi di innovazione e di riduzione dei costi; risultato: il nostro automotive – dove, invece, le aziende i profitti che hanno continuato a macinare solo grazie al contenimento dei salari e agli incentivi, invece che reinvestirli, li hanno redistribuiti per permettere ai grandi azionisti di andarli a buttare nel casinò della speculazione finanziaria, in particolare oltreoceano – non è minimamente in grado di reggere la concorrenza. In condizioni di libero mercato, se i cinesi cominciassero a esportare in massa le loro auto elettriche, per l’automotive europeo – molto semplicemente – sarebbe la fine; difficile dire se Stellantis, molto banalmente, allora abbia pensato di raschiare il fondo del barile facendo da spacciatore di auto cinesi: quello che sappiamo è che anche questo piano è naufragato. Con una decina d’anni abbondanti di ritardo, infatti, a un certo punto in autunno le istituzioni dell’Unione Europea si sono svegliate, hanno realizzato che mentre loro dormivano – e permettevano ai loro costruttori di intascare le miliardate senza investire un euro – i cinesi avevano sviluppato l’industria dell’automotive più efficiente del pianeta e, per proteggere i loro amichetti parassiti, hanno deciso di chiamare tutto ciò concorrenza sleale, un’ accusa non esattamente fondatissima, diciamo – come avevamo raccontato già in un video dello scorso settembre, pochi giorni prima che Stellantis concludesse l’operazione Leapmotor.
Nonostante i deliri, però, a questo giro in realtà forse ci ha detto culo; saltata l’ipotesi assalto al mercato cinese – e pure quella di dealer di roba cinese sul mercato europeo – ecco che, magicamente, salta fuori la terza opzione ed incredibilmente è la meglio di tutte: saranno i cinesi a venire qua e a dare lavoro alle nostre fabbriche. Un’opportunità gigantesca: Leapmotor, infatti, si è caratterizzata in particolare per la presenza nel segmento dei cosiddetti NEV, i Neighborhood Electric Vehicles, i veicoli elettrici di prossimità urbana; in particolare, questo modello qua:

T03 Leapmotor

si chiama T03 e ha fatto il suo esordio in Europa a settembre, al salone di Monaco, è una piccola utilitaria che ricorda un po’ la 500 delle origini – quella della prima motorizzazione di massa – e che in Cina, nella sua versione più lussuosa con 400 chilometri di autonomia, sistema di guida autonoma e un touchscreen da 10 pollici, costa poco più di 10 mila euro; in Francia, dove è già commercializzata, parte da 22 mila. Il margine per abbattere i costi cominciando a produrle direttamente in Europa sarebbero enormi e, finalmente, Stellantis avrebbe una piattaforma dignitosa per le utilitarie elettriche che, nonostante i prezzi folli e la diffidenza dei climatoscettici e degli amanti del rombo dell’endotermico, continuano a macinare numeri da capogiro: come riportava Il Sole 24 ore tre giorni fa, infatti, il mercato dell’elettrico in Europa nel 2023 ha sfondato quota 2 milioni di veicoli, raggiungendo il diesel. A trainare, come noto, sono in particolare il mercato scandinavo – dove ormai è elettrica una nuova auto su due – e, in generale, quello nord europeo, dove il rapporto scende a 1 a 5; ma anche nella più conservatrice e squattrinata Europa meridionale l’elettrico, ormai, è il 10% del mercato e a crescere, in particolare, sono proprio i veicoli cinesi, che hanno registrato una crescita annua del 79%.
Insomma: è abbastanza evidente che, come sosteniamo da sempre perché a libro paga della dittaturah cineseh, la strada per salvare l’automotive italiano c’è; si chiama integrazione con i produttori cinesi e questa notizia di Stellantis, una volta tanto, va nella giusta direzione. E infatti, ricorda Mario Sechi nel suo editoriale su Libero di scrivere vaccate, “I sindacati applaudono e le sinistre sono elettrizzate”; ma a loro non la si fa: “Dov’è” infatti, si chiede Sech, “l’auto italiana in tutta questa storia?” “Gli Stati Uniti” ricorda infatti Sechi “vogliono bloccare la Cina per concorrenza sleale” e “l’Europa si prepara a farlo in maniera ufficiale”, “e in mezzo a questa battaglia fra titani, Stellantis porta la Cina a Mirafiori” e diventa così “una sorta di cavallo di troia”. Insomma: “L’ad Tavares ha deciso di viaggiare contromano rispetto alle strategie di Stati Uniti e Unione Europea” e i sovranisti de noantri dichiarano apertamente che, a costo di smantellare completamente la nostra industria, non s’ha da fare; d’altronde, rilancia nell’articolo a fianco Sandro Iacometti – giusto qualche ora prima di dichiarare dai microfoni di La7 che se gli operai morti nel cantiere a Firenze erano clandestini, se la sono cercata – tutto questo fa parte del complotto green che rettiliani di Bruxelles e cinesi in combutta stanno ordendo contro i patrioti del fossile.

Mario Sechi

Un po’ come la gigafactory che il colosso cinese delle rinnovabili Envision sta costruendo nel nord della Francia, nell’ambito di un accordo con Renault che vuole trasformare quella che ha ribattezzato la sua ElectriCity – e, cioè, il distretto che comprende i tre stabilimenti di Douai, Maubeuge e Ruitz, al confine con il Belgio – “nell’unità di produzione di veicoli elettrici più competitiva e performante d’Europa, con 400 mila auto prodotte ogni anno entro il 2025”; il tutto, ovviamente, finalizzato – come scrive il guru dei negazionisti climatici Franco Battaglia su La Verità – “a resuscitare il socialismo”. Noi, sinceramente, ci accontenteremmo anche di meno: già cercare di recuperare un po’ il gap accumulato in questi anni grazie all’ottusità dei nostri capitani d’industria – sostenuti sia dalle istituzioni di Bruxelles che dall’alt right sinofoba a libro paga della lobby del fossile – e salvare quel poco che rimane del nostro tessuto produttivo, sarebbe un bel passo avanti; piuttosto, invece della fuffa, sarebbe il caso di tenere i fari puntati per assicurarsi che dalle parole si passi, finalmente, ai fatti. Per farlo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che non sia a libro paga delle oligarchie, ma nemmeno l’utile idiota di Washington e dei petrolieri, e dia invece voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Mario Sechi

OttolinaTV

21 Febbraio 2024

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