Skip to main content

L’ALTRA DAVOS – L’incredibile storia della “più segreta tra le Società della finanza europea”

Siete ossessionati dal grande reset e dal complotto del nuovo ordine globale messo a puntino dalle eminenze grige del World Economic Forum di Davos? Ecco: aspettate allora di sentire l’incredibile storia di quella che lo stesso Financial Times ha ribattezzato La più segreta tra le Società della finanza europea; poco prima che a Davos i saltimbanchi di mezzo mondo si riunissero per prodigarsi in ogni genere di acrobazia per attirare l’attenzione dei media e accreditarsi così come gli interlocutori privilegiati delle oligarchie che dominano il pianeta, ad appena un centinaio di chilometri di distanza, infatti, quelli che contano davvero si prodigavano – al contrario – nel tentativo disperato di far passare inosservata la loro partecipazione a una riunione super riservata dove, invece, si decidevano davvero le sorti dell’economia europea se non, addirittura, globale. “Questa non è come Davos, dove chiunque può entrare pagando” avrebbe affermato una fonte riservatissima al Financial Times; “questo sì che è un club davvero esclusivo”. Come sempre succede quando i giochi si fanno seri davvero, qui regna la riservatezza e l’understatement è d’obbligo, a partire dal nome – Institut International d’Etudes Bancaires Istituto Internazionale degli Studi Bancari, una sigla da grigi e anonimi funzionari e rigorosamente in francese – come si addice alle vere élite – al posto di quei rozzi anglicismi da popolino che ricordano i Grammy Awards; e, ovviamente, la prima regola è sempre la stessa: non si parla mai del Fight club, manco un misero sito web, un’agenzia, una foto ricordo. Niente di niente; d’altronde, mica hanno bisogno di convincere nessuno. Basta si mettano d’accordo tra loro; a partecipare, infatti, sono una quarantina tra i più potenti banchieri d’Europa, da oltre 70 anni due volte l’anno per 3 giorni di full immersion dalla quale non trapela sostanzialmente mai una virgola: cosa mai potrebbe andare storto?

Martin Ebner

8 dicembre 1997; dopo un anno abbondante di faide all’ultimo sangue, Union Bank of Switzerland e Swiss Bank Corporation annunciano a sorpresa l’operazione che avrebbe cambiato per sempre la finanza del vecchio continente: rispettivamente seconda e terza banca del paradiso fiscale elvetico, si sarebbero fuse e avrebbero dato vita alla più grande banca d’Europa – e la seconda al mondo -allora dietro soltanto alla giapponese Mitsubishi. Nell’anno e mezzo precedente, UBS era stata travolta da una battaglia senza esclusione di colpi tra i suoi azionisti a causa del tentativo di scalata del famigerato multimiliardario svizzero Martin Ebner che, contro il parere di amministratori e dirigenti della stessa UBS, aveva cercato di imporre la fusione con Credit Suisse, allora prima banca svizzera, fino a quando non intervenne qualche manina invisibile e il corso della storia cambiò radicalmente. Quella manina invisibile, qualche anno dopo, è diventata visibilissima: a risolvere la querelle che stava mettendo a soqquadro la finanza svizzera – e, quindi, mondiale – erano stati i principali banchieri europei, riuniti in gran segreto all’Hilton di Bruxelles durante quello che era il novantaquattresimo incontro semestrale, appunto, del riservatissimo ed esclusivissimo Institut International d’Etudes Bancaires; sembra un’era geologica fa. Nei 20 e passa anni successivi, il mondo delle banche è stato rigirato come un calzino: le banche statali cinesi sono diventate, di gran lunga, le banche più grandi e potenti del pianeta; le banche statunitensi hanno attraversato una fase di consolidamento senza precedenti, raddoppiando – e oltre – il patrimonio complessivo di colossi come JP Morgan e Bank of America ed ecco così che, dal secondo gradino del podio, UBS era precipitata nella ventesima posizione, fino a che non gli è stato dato il permesso di papparsi con soldi pubblici anche il decotto Credit Suisse. L’unica megabanca svizzera, così, di botto risaliva tutte le classifiche e gettava nel panico anche la politica nazionale; con un patrimonio gestito di oltre 5 mila miliardi era diventata troppo più potente del suo stesso governo, perché una cosa che raramente trovate negli editoriali del Corriere della Serva e del resto della propaganda è proprio questa: il potere politico non è nelle mani di chi può fare leggi che conquistano i titoli dei giornali ma che, se non tornano comode al grande capitale, semplicemente vengono aggirate se non addirittura completamente ignorate. Il potere politico sta nelle mani di chi decide dove vanno i soldi per fare cosa, e dove vanno per fare cosa la nuova UBS lo decide sulla bellezza di 5 mila miliardi, quasi 7 volte il PIL svizzero. A questo giro, sinceramente, non sappiamo esattamente che ruolo abbia svolto l’Institut International d’Etudes Bancaires; una cosa però la sappiamo: nonostante avesse lasciato la guida di UBS nel 2020, Sergio Ermotti continuava ad avere un posto a tavola nel club più esclusivo della grande finanza europea e dopo il salvataggio con soldi pubblici – ma guadagni privati – di Credit Suisse da parte di UBS ecco che, come per magia, Ermotti è stato richiamato a guidare il neonato colosso. KOINCITENZAAAHH?!11!1!!!

Sergio Ermotti

Il problema, appunto, è che su queste conventicole non si possono fare altro che congetture: come ha dichiarato al Financial Times l’italiana Ilaria Pasotti, che ha fatto un lavoro di archivio certosino sulla storia di questi meeting, “Negli archivi sono conservate solo poche foto degli incontri. E principalmente riguardano cene, aperitivi e visite a musei e palazzi. E questo” conclude Pasotti “sottolinea la natura riservata degli incontri”; ma se in passato – quando ancora l’Europa era divisa e le tensioni geopolitiche rischiavano di compromettere il percorso di integrazione – tutta questa riservatezza poteva avere una sua ragion d’essere, adesso, per usare un eufemismo, “I suoi incontri segreti e sontuosi rischiano di non essere al passo con le moderne aspettative di trasparenza” (Financial Times), tanto da registrare addirittura qualche defezione – e non certo da parte di qualche pericoloso bolscevico.
E’ il caso, ad esempio, di Par Boman, il presidente della storica banca privata svedese Handelsbanken che, con i suoi 10 mila dipendenti sparsi per tutta la Scandinavia ed oltre, è una delle banche più importanti dell’estremo nord del continente: “Siamo stati membri per decenni, quando l’organizzazione aveva lo scopo di avvicinare le banche europee” avrebbe dichiarato al Financial Times, “ma dopo la crisi finanziaria” avrebbe confessato “abbiamo ritenuto che la sua stravaganza e la mancanza di trasparenza non si adattassero ai nostri valori”, anche perché non è mai stata solo questione prettamente di banchieri; dai governanti svizzeri, quasi sempre presenti, a Mattarella, passando addirittura per personaggi apparentemente fuori contesto come il presidente Erdogan e l’allora presidente Medvedev, i volti dell’élite politica che hanno partecipato a questi incontri a porte chiuse sono innumerevoli. E siccome sono tutti dei simpatici mattacchioni, su quanto sia fuori luogo questa cortina fumogena intorno agli inciuci tra finanza privata, banche centrali e politica, fanno addirittura autoironia; in uno dei rarissimi casi di interventi che poi, rigorosamente solo in forma scritta, sono stati dati in pasto all’opinione pubblica per provare a smorzare i sospetti che cominciavano a montare, l’allora vice presidente della Banca Centrale Europea, il greco Lucas Papademos, non aveva trovato di meglio, infatti, che citare un celebre frammento di Adam Smith: “Persone dello stesso settore” recita il passo citato, “raramente si incontrano solo per divertimento, e anche in quelle occasioni, la conversazione finisce inevitabilmente in una sorta di cospirazione contro il pubblico, o nella ricerca di qualche espediente per aumentare i prezzi”. E, in effetti, anche in questo piccolissimo sprazzo di luce in mezzo all’oscurità rappresentato dalla trascrizione dell’intervento di Papademos, la cospirazione contro il pubblico c’è tutta, e non c’è poi granché da ridere; con la crisi dei subprime negli USA già in pieno svolgimento – anche se qualche mese prima che venisse ufficialmente svelata al pubblico – Papademos sprizza ottimismo da tutti i pori e parla di una lunga serie di “buone notizie”, a partire da “prospettive di crescita nell’area dell’euro nei prossimi trimestri davvero molto positive” (e poi Danilo Taino si lamenta che ci manca l’ottimismo… Danì, te lo ripeto: ci manca sostanzialmente TUTTO, dall’intelligenza all’onestà, a parte l’ottimismo). Papademos, comunque, non nasconde che “la performance di crescita delle economie dell’Europa continentale negli ultimi dieci anni sia stata piuttosto deludente, soprattutto” – sottolinea già in tempi non sospetti – “se la confrontiamo con l’impressionante tasso di crescita registrato negli Stati Uniti nello stesso periodo”; al che uno dice: daje, magari ci arriva a dire che tra deindustrializzazione, finanziarizzazione e dominio del dollaro gli USA ci stanno ingroppando a saltelli. Macché. Papademos, ovviamente, non fa altro che offrire ai suoi amici oligarchi un menù à la carte di tutte le riforme possibili immaginabili per permettergli di arraffare quel che rimane da arraffare prima che la barca affondi definitivamente:
uno: “riforme strutturali nei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi per migliorare la flessibilità” e cioè lavoro povero e precario e, quindi, sempre ricattabile;
due: “eliminazione degli ostacoli alla concorrenza transfrontaliera e completamento di un vero mercato unico nell’UE” e cioè strada spianata per la ferocia mercantilista tedesca;
e poi ancora istruzione privata, fine di lacci e lacciuoli per le imprese, fino al vero nocciolo della questione: la totale libertà di circolazione dei capitali. “Esiste un forte sostegno empirico, basato sull’analisi dei dati per molti paesi e molti settori” sottolinea Papademos “che le dimensioni e la profondità dei mercati dei capitali hanno un impatto positivo significativo sulla crescita economica: più grandi, più liquidi e anche più integrati sono i mercati finanziari, meglio è. Lo sviluppo finanziario” continua “è positivo per la crescita della produttività e l’accumulazione di capitale, e la liberalizzazione finanziaria genera notevoli benefici in termini di crescita”. Il perché è presto detto: “Mercati finanziari ben sviluppati ed efficienti” continua infatti nel suo intervento Papademos “sono più bravi a convogliare il capitale dai settori in declino a quelli con opportunità di crescita”. A dimostrarlo, ci starebbe il caso virtuoso che arriva dagli USA: “E’ stato stimato” ricorda infatti Papademos “che la liberalizzazione del mercato finanziario negli USA abbia contribuito ad un aumento della crescita reale pro capite compresa tra lo 0,6 e l’1,2%”, ma non solo: “dopo la rimozione delle restrizioni” continua entusiasta Papademos ”la quota dei prestiti in sofferenza e delle cancellazioni è scesa dallo 0,3% allo 0,6%”. “Il risultato” insiste “non è stato solo una riduzione dei tassi di indebitamento per le imprese e per le famiglie, ma anche il rafforzamento della concorrenza e dell’imprenditorialità, e un netto miglioramento per quanto riguarda la condivisione del rischio”.

Lucas Papademos

Pochi mesi dopo, proprio a partire dagli USA, la liberalizzazione dei mercati finanziari porterà a una delle più grandi catastrofi finanziarie della storia del capitalismo, dalla quale non solo non siamo mai usciti, ma che abbiamo contribuito attivamente a rendere sempre più grande e pervasiva con il contributo attivo dei vari Papademos e degli oligarchi che cercava di compiacere con i suoi ragionamenti a capocchia in quell’inverno del 2006; la fuga dei capitali verso i settori ad alta crescita di cui parlava Papademos effettivamente c’era stata davvero, solo che quei settori non producevano niente: nessun valore di nessun genere, solo fuffa e speculazione. E non si trattava di essere Nostradamus, eh? La realtà oltre la propaganda sulle magnifiche sorti e progressive delle liberalizzazioni finanziarie made in USA, infatti, si era già fatta sentire, col botto: poche settimane prima, infatti, le oligarchie finanziarie USA erano state travolte dal primo chiaro indizio che qualcosa non stava andando esattamente come previsto; era il settembre del 2006 e, dopo appena 6 anni di forsennata attività in questa nuova meravigliosa era della speculazione senza limiti, a crollare come un castello di carte – bruciando oltre 6 miliardi di dollari in poche ore – era stato il fondo speculativo Amaranth Advisors, registrando quello che allora era uno dei collassi più grossi del settore di tutti i tempi. Era solo l’antipasto, ma di una portata tale che non sarebbe poi stato così complicato realizzare che eravamo di fronte a un vero e proprio buffet a base di bolle pronte ad esplodere, se non altro – ad essere proprio generosissimi – almeno potenzialmente. Il punto è che in realtà, delle crisi, a queste conventicole, a un certo punto gli importa anche una ricchissima sega, tanto il politico di turno che si sente lusingato per l’invito al club esclusivo, di sicuro troverà il modo di farle pagare a qualcun altro.
Grazie alla sua provata capacità predittiva, Lucas Papademos nel novembre del 2011 verrà premiato da tutti gli schieramenti politici mainstream greci con un posto da Primo Ministro; per manifesta incapacità, durerà come un gatto in tangenziale, mentre la sua agenda politica, dettata dai banchieri dell’Institut International d’Etudes Bancaires, continuerà a procedere indisturbata: “L’obiettivo iniziale dell’Institut International d’Etudes Bancaires” sottolinea il Financial Times, è sempre stato esclusivamente quello di “combattere i controlli valutari” e l’”interferenza da parte dei governi nazionali nel sistema finanziario”. E’ la vera lotta di classe dall’alto contro il basso condotta, negli ultimi decenni, a partire da queste conventicole dove il tutto viene perfettamente concordato e coordinato, e la fuffa sul libero mercato sparisce come neve al sole non appena le porte lasciano fuori occhi indiscreti e si torna a parlare tra adulti della lotta per la libertà assoluta di movimento dei capitali e per la creazione dei monopoli finanziari globali che permettono allo 0,001% di campare di rendita, fregandosene totalmente di cosa avviene nel mondo reale. Contro i complotti delle oligarchie finanziarie presi a porte chiuse contro il resto dell’umanità, noi non abbiamo altra arma che combattere per portare tutto questo alla luce del sole; per farlo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media indipendente, ma di parte, che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Lucas Papademos

OttolinaTV

20 Febbraio 2024

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *