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Liberarsi dall’ideologia: perché il “senso comune” è un’ideologia e come non diventarne schiavo

Migliaia di manifestanti ebrei e cinquecento arresti, tra cui ben… dieci rabbini.

Questo il bilancio della protesta che il 19 ottobre ha preoccupato non una teocrazia islamista antisemita, ma il Congresso degli Stati Uniti d’America. E se così appare una notizia bizzarra, a metterci il carico da undici è il motivo della mobilitazione: il pieno sostegno al popolo palestinese contro la pulizia etnica imposta dalla potenza israeliana. 

Proprio così: oltre alle centinaia di migliaia di persone che infiammano le capitali europee da oltre un mese, a pigliarsi le manganellate stavolta ci sono anche le comunità ebraiche, confluite in quella che è stata definita “la più grande protesta ebraica in solidarietà col popolo palestinese organizzata negli Stati Uniti”. 

La mobilitazione era promossa dall’associazione Jewish Voice For Peace, che lungi dal farsi intimidire, ha alzato la posta con nuove manifestazioni (una delle ultime ha occupato la New York City Central Station), lanciando un messaggio semplice e interessante: 

“Vogliamo costruire un mondo che promuove la santità della vita – per tutti, allo stesso modo – non un mondo che supporta lo sterminio dei palestinesi. E non ci fermeremo finché non otterremo giustizia, per i Palestinesi come per tutti.”

C’è qualcosa di queste proteste che ci colpisce, lasciandoci smarriti: per cominciare, avvertiamo la stranezza della presa di posizione di ebrei a favore di popolazioni musulmane, quasi come se, in quanto ebrei, dovrebbero collocarsi dall’altra parte, o ben che vada a metà strada, in un’equidistanza pelosa; e poi il loro messaggio, che si giustifica e rafforza intorno a un concetto religioso, e non politico, ovvero la “santità della vita”. 
Il senso di stonatura che proviamo in prima battuta, però, indica che quello di Jewish Voice For Peace è il controesempio più lampante a tutti i discorsi mediatici e politici dominanti, che riesumano la narrazione dello “scontro di civiltà” in salsa mediorientale. Questi discorsi assumono diversi contenuti: possono far leva su caratteri religiosi (collegando Islam e antisemitismo); nazionali (il diritto del popolo israeliano a difendersi); oppure anche etici (la convinzione della superiorità morale di Israele in quanto “democrazia”, o, come piace chiamarla a noi, fondamentalismo democratico); ma hanno tutti un elemento comune: sono strutturati per stimolare una presa di posizione da parte di chi ascolta, in modo tale che tu non sia più un semplice individuo, ma un soggetto reclutato, interpellato per schierarti.
Sono, in una parola, ideologici. Ma cos’è davvero l’ideologia, e qual è la sua reale importanza nel sistema capitalista del nord globale e nelle sue turbolenze?

Alla fine degli anni Sessanta, con il ciclo di seminari Lire le Capital (“Leggere il Capitale”), il filosofo Louis Althusser e i suoi allievi si pongono un obiettivo ambizioso: integrare e affilare gli strumenti di analisi sociale introdotti nei testi marxiani per fornire una vera e propria teoria scientifica interpretativa del sistema capitalista e delle sue crisi. Uno dei risultati più importanti di queste ricerche è proprio il ripensamento dell’ideologia, che secondo Althusser presenta una dinamica e una portata che Marx ed Engels non erano riusciti a cogliere appieno.

Alla ricostruzione di questo percorso di ridefinizione dell’ideologia è dedicato il saggio del 2022 di Stefano Pippa Il soggetto sur-interpellato. Ideologia, conflitto e resistenza in Althusser e Pêcheux

Per Althusser l’Ideologia è un discorso molto particolare, che fornisce al soggetto una categoria tramite cui agire praticamente e pensarsi come soggetto rispetto alle sue condizioni di esistenza determinate. In altre parole: i discorsi ideologici interpellano l’individuo, offrendogli la possibilità di percepirsi Soggetto delle sue azioni. Due sono i punti fermi sul discorso ideologico posti da Althusser nel suo articolo Lo stato e i suoi apparati (1970):

“1. Non vi è pratica che per opera e sotto un’ideologia.”

Cioè, le ideologie non sono solo parole, ma anche e soprattutto pratiche, rituali, atteggiamenti e comportamenti che mettiamo in atto parlando con un superiore, fermandoci di fronte all’alt di un poliziotto, ritrovandoci in piazza insieme a Jewish Voice for Peace, e così via.

“2. Non vi è ideologia che per dei soggetti concreti, e questa destinazione dell’ideologia non è possibile che per opera del soggetto: cioè, per opera della categoria di soggetto e del suo funzionamento.”

In altre parole, ogni volta che partecipiamo a un discorso ideologico non scegliamo di farlo come uomini e donne liberi, ma come individui che attraverso quel discorso trovano un senso in ciò che fanno. In questo, siamo interpellati. Diventiamo, in un certo modo, delle reclute di quella ideologia che sostiene un determinato sistema, apparato o società. E questo avviene sempre e ovunque

L’ideologia quindi è dappertutto, perchè è alla base del funzionamento delle diverse strutture sociali in cui viviamo, dalla scuola allo stato vero e proprio. Pur non essendo di fatto un qualcosa di materiale, l’ideologia è fondamentale per l’esistenza di tali strutture. Se infatti nessuno credesse in quell’ideologia, non ci sarebbe nessuno disposto e nemmeno in grado di riprodurla, e quindi di far continuare quel determinato sistema concretamente ad esistere. L’interpellazione del soggetto, ammonisce Althusser, è indispensabile alla sua costruzione e al suo auto-riconoscimento: a prima vista sembra che le ideologie funzionino perché dei soggetti liberi scelgono (più o meno consapevolmente) di dar loro vita e importanza sociale; in realtà, è esattamente l’opposto:

“la categoria di soggetto non è a fondamento di ogni ideologia se non in quanto funzione di ogni ideologia è quella di costruire gli individui concreti quali soggetti. È in questo gioco di doppia costituzione – conclude Althusser – che consiste il funzionamento di ogni ideologia.”

L’ideologia per i rapporti sociali è come l’ossigeno per l’organismo: è ovunque, ed è indispensabile; la possiamo identificare, descrivere, criticare, ma come non possiamo trattenere il fiato troppo a lungo, così ci ritroveremo inevitabilmente, nuovamente interpellati nel discorso ideologico. In questo consiste, in ultima analisi, la funzione ideologica nella riproduzione di tutti i rapporti sociali, inclusi quelli capitalisti: unire dominanti e dominati in un unico sistema di auto-rappresentazione come Soggetti.  

Come nota acutamente Stefano Pippa, l’ideologia per Althusser è del resto fondata sulla “natura dell’animale umano in quanto ‘animale ideologico’”, e cioè, “animale che, poiché parla e pensa (…) ha bisogno di rappresentarsi un punto di garanzia immaginario per avere certezza di sé e del proprio mondo”.

Ma se il dispositivo ideologico è così pervasivo, insuperabile, intrinseco alle pratiche sociali, dovremmo chiederci, come è possibile resistere alla sua presa? Da dove nasce, “la possibilità per il soggetto determinato di non voltarsi, di non rispondere a un’interpellazione” (p. 73) e, in ultimo, di andare contro l’ideologia dominante?

Una via d’uscita dalla “gabbia” ideologica è aperta dallo stesso Althusser, che dopo aver descritto il dispositivo soverchiante dell’ideologia ci spiega che tale dispositivo non è granitico, ma sempre segnato da conflitti e turbolenze.

Prima di tutto, i discorsi ideologici si realizzano concretamente in regioni definite: sono quelle articolazioni sociali che Althusser chiama “Apparati Ideologici di Stato”, tra cui, negli stati capitalisti, rientrano la polizia, la scuola, la giustizia, la chiesa e – potremmo sottolineare oggi – il sistema mediatico. Tutti unificati sotto un discorso-guida: l’ideologia di Stato. In secondo luogo, questi stessi apparati sono sempre e inevitabilmente attraversati da un conflitto latente: quello tra i discorsi ideologici della classe dominante e quelli delle classi subalterne

Il sistema degli “Apparati Ideologici di Stato”, a guardarlo da vicino, è più frammentato di ciò che sembra: se l’ideologia di Stato si costituisce cercando di unire le ideologie dominanti negli apparati, questa unificazione ideologica avviene sempre e comunque “in ordine sparso”. Il livello di conflittualità, proteste, e antagonismi, in alcuni settori dell’apparato produttivo, come quello dei lavoratori portuali, ad esempio, è più alto di quello interno all’apparato scolastico, dove i docenti in molti casi sembrano aver “perso la voglia” di lottare contro le misure ministeriali. Due o più apparati potranno ritrovarsi a confliggere nelle rispettive pratiche (pensiamo ad esempio a chiesa e scuola sul terreno della laicità), mentre all’interno di essi infurierà un conflitto tra prospettive dominanti e subalterne. Nelle parole di Althusser:

“La lotta per la riproduzione dell’ideologia dominante è un combattimento senza fine sempre da riprendere, e sempre sotto la legge della lotta di classe.”

Ma se l’unificazione dei discorsi ideologici all’interno di un unico discorso “di Stato” è in realtà un campo di conflitti su più livelli, allora anche noi, soggetti delle ideologie, siamo costituiti da questo stesso campo conflittuale in perenne sconvolgimento. In definitiva, argomenta Pippa, più che soggetti interpellati, siamo “soggetti sur-interpellati“, cioè contemporaneamente interpellati da discorsi ideologici in tensione tra loro.

Ogni soggetto (voi e me) vive dunque allo stesso tempo sotto più ideologie i cui effetti di assoggettamento si combinano nei suoi atti (…) regolati da rituali. Questa combinazione non va da sé: ne derivano ciò che chiamiamo, nel meraviglioso linguaggio della filosofia ufficiale, i ‘conflitti di doveri’.”

Ecco quindi, cosa permette a un soggetto di non voltarsi, di non rispondere o di resistere a un’interpellazione ideologica determinata. Come avviene per il soggetto interpellato da Jewish Voice For Peace, collocato in una posizione di resistenza e opposizione nel campo ideologico religioso, così:

Il gioco delle ideologie si sovrappone, si incrocia, si contraddice sullo stesso soggetto: lo stesso individuo sempre-già soggetto. Deve sbrigarsela lui.

Ma in che senso possiamo “sbrigarcela noi”, seguendo l’invito di Althusser nella pratica? E come possiamo applicare la lettura conflittuale degli apparati alla realtà odierna alla battaglia ideologica per far emergere dall’apparato la voce del 99%? In ultima istanza, occorre chiederci se e in quali forme possiamo liberarci dall’ideologia, oppure dove trovare quegli elementi ideologici che ci consentano di combatterla, sfruttando le frammentazioni che la attraversano, spezzando i suoi stessi meccanismi di riproduzione.

Michele Rossi

OttolinaTV

14 Novembre 2023

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