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L’Italia non è occidentale: storia di un concetto strumentale alla sottomissione del nostro Paese

in foto: sede della TIM

In questi giorni nel silenzio generale, il Governo Meloni ha dato il via libera alla vendita della rete fissa di Telecom Italia al fondo speculativo statunitense Kohlberg Kravis Roberts. L’infrastruttura più strategica tra tutte le infrastrutture strategiche, soprattutto sul piano militare, finisce in mano a uno dei centri di potere dell’oligarchia finanziaria legata a doppio filo al comparto militare industriale americano. Nel suo top management, per darvi un’ idea, figura anche l’ex direttore della CIA il generale David Petraeus. Un vero e proprio attentato alla nostra sovranità e alla nostra sicurezza nazionale, fatto con la piena collaborazione di una maggioranza politica che si era venduta ai suoi elettori come baluardo del patriottismo e di difesa sovranità nazionale.
“Per chi avesse ancora avuto dei dubbi”, ha sottolineato giustamente il filosofo Andrea Zhok, “la destra italiana è parte del progetto di svendita del paese agli USA esattamente quanto la sinistra”. E a questo punto, dopo decenni di palese cessione di sovranità nazionale agli Stati Uniti, sarebbe forse arrivata l’ora di chiamare le cose con il loro nome: “Essendo ormai l’Italia una colonia” continua Zhok “il termine giusto per la nostra classe dirigente è quello di “collaborazionisti con le forze di occupazione coloniale”.
Come prevedibile, su alcuni giornali la notizia è passata in sordina per evidente imbarazzo, su altri invece hanno osato addirittura esultare per il fatto che almeno Telecom non è stata venduta ai Cinesi o ai Russi, ma bensì al nostro “principale alleato occidentale”. Questa notizia fa il paio in questi giorni con il totale quanto prevedibile appiattimento italiano ed europeo sulla linea politica del governo americano riguardo al massacro israeliano in Palestina. Una linea politica, come tutti sanno, pregna di meschina ipocrisia, che va contro i nostri interessi nazionale nel mondo arabo, e che ci lascerà per sempre le mani sporche di sangue. Anche in questo caso, questa assoluta sottomissione agli interessi nordamericani che un tempo si sarebbe chiamata tradimento, viene mistificata con la retorica dell’unità dell’Occidente e dei valori occidentali.

Allora è proprio su questo aggettivo “occidentale” che merita oggi concentrarsi. Da quando, dobbiamo chiederci, in Italia e in Europa si è cominciato a usare le parole Occidente e occidentale nei termini bellicisti e americanocentrici con cui ne parliamo oggi? È una delle domande che si è posto Franco Cardini nel suo ultimo libro “la deriva dell’Occidente”, e in cui il professore di Storia all’università di Firenze ci spiega come nei prossimi anni, la possibilità dei popoli europei di liberarsi dal giogo nordamericano passerà anche dalla loro capacità di dare un nuovo significato a questo importantissimo concetto.

Nonostante media, politici e intellettuali di ogni specie si riempiano la bocca con “occidente” e “occidentale” dando per scontato che esista un qualche significato univoco del termine, la verità è che fino ad oggi ogni tentativo di trovare una definizione condivisa è miseramente fallito. A prima vista, “occidente” sembrerebbe avere un’accezione prettamente geografica, designando per esempio gli Stati che si trovano all’interno di un certo gruppo di meridiani. Tuttavia, tale definizione non riesce a spiegare per quale ragione nazioni africane o del Sudamerica, che si trovano geograficamente parlando “in occidente” non sono mai considerati parte del mondo occidentale. Da più di un secolo filosofi e politologi invece, partendo dal presupposto che si tratti non di un concetto geografico ma culturale, hanno cercato di stabilire cosa contraddistingua la cultura occidentale e quali popoli ne farebbero parte. Tra i tentativi più importanti ci sono stati quelli Oswald Spengler, Samuel P. Huntington, e Niall Ferguson, che però hanno tutti proposto tesi e interpretazioni differenti. La triste verità, come si evince anche dal testo di Cardini che ripercorre i diversi significati che questo concetto ha assunto nel corso della storia, è che ogni tentativo di definire il significato ultimo di occidente è destinato all’insuccesso, in quanto è un concetto che oscilla per sua natura tra un’accezione geografica, politica e culturale allo stesso tempo, rimanendo così sempre ambiguo e privo di contorni precisi. Originariamente, il termine comincia a diffondersi nel 16° sec. per designare i popoli europei cristiani contrapposti all’Oriente mussulmano, e fino al 20 esimo secolo rimane sostanzialmente un sinonimo di “Europa cristiana”. Ma con l’arrivo del XX secolo, le cose cominciano a cambiare. Con il progressivo emergere della potenza statunitense infatti, il concetto di “occidente” ha smesso di coincidere con quello di “Europa cristiana”, e si è cominciato a parlare di una più ampia “civiltà occidentale” di cui gli Stati uniti sarebbero la più fulgida e compiuta incarnazione.
Come scrive Cardini, quando pensiamo al concetto di “civiltà occidentale” crediamo sempre di pensare a qualcosa di lontanissima e antica origine. Ma la verità è che si tratta di qualcosa di molto, molto più recente: “Siamo davanti a un’idea nata negli Stati Uniti in un corso didattico della Columbia University fondato nel 1919 e denominato appunto Western Civilization.” scrive Cardini “La tesi sottostante a questa definizione corrispondeva al disegno del processo evolutivo di una civiltà che dalla Grecia classica e dall’eredità romana attraverso l’Europa rinascimentale giungerebbe al ruolo odierno degli Stati Uniti”.

“Nel 1949 il congresso dell’American Historical Association”, ricorda ancora Cardini “suggerì un percorso di sintesi secondo il quale le esigenze care all’Occidente di verità e di libertà, ambìto traguardo del genere umano, si sarebbero allora incarnate nella democrazia statunitense, baluardo contro qualunque dogmatismo (quello cattolico compreso) e qualunque dittatura.”
Con la fine della seconda guerra mondiale e l’occupazione americana dell’Europa, possiamo dire quindi che è esattamente questo lo specifico significato di “occidente” che si è di fatto imposto anche nel discorso pubblico e nell’immaginario europeo. A riprova di ciò, durante la Guerra Fredda è stato chiamato “occidentale” il raggruppamento degli Stati che andavano dall’europa occidentale al pacifico e che gravitavano intorno alla superpotenza nord-americana. Nonostante la propaganda battesse molto su questo punto, la democraticità degli stati in questione non era un requisito necessario per far parte dell’alleanza, come dimostrava ad esempio la presenza della Spagna di Franco e della Turchia.
Con la caduta dell’URSS e l’espansione della Nato nell’Europa orientale infine, anche Stati come l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, da sempre considerati “orientali”, sono stati inclusi nella grande famiglia della civiltà Occidentale.

E non scordiamoci naturalmente Israele, l’unico luminoso faro di luce e di speranza occidentale nelle folte tenebre del vicino oriente. Quello che appare certo insomma, è che da dopo la Seconda Guerra mondiale i perimetri della civiltà occidentale sono variati con il variare del perimetro della sfera di influenza nordamericana. Come scrive l’analista politico Marco Ghisetti in un articolo pubblicato sull’Osservatorio globalizzazione, dobbiamo constatare come: “il concetto di occidente (e per estensione, di mondo/civiltà occidentale) storicamente sia evoluto e sia stato declinato, dal 1945 in poi, in maniera funzionale al dominio statunitense nei confronti degli Stati subalterni, oltre che ad offrire la giustificazione ideologica per l’aggressione ai danni degli Stati non occidentali. Ciò che accomuna il concetto di “occidente”, in tutte queste definizioni, è che esso è stato, gramscianamente parlando, declinato secondo le necessità del caso e sempre in funzione giustificatoria ai rapporti di forza esistenti tra Stato dominante, Stati dominati e Stati non subalterni.”

Ma perchè questo concetto funziona così bene a livello propagandistico?

La risposta è che la parola occidente porta con sé una forte carica emotiva grazie al riferimento ad una presunta secolare identità comune. Se i giornali e i media europei dicessero ai propri popoli che le infrastrutture strategiche che stanno svendendo, le armi che stanno mandando e le guerre che stanno appoggiando sono funzionali all’interesse nazionale americano e al mantenimento del suo stato di nazione egemone nel mondo, probabilmente non ne sarebbero così felici. Ma se invece ad essere in gioco è il bene supremo e collettivo della sicurezza dell’Occidente e della salvaguardia dei valori condivisi, allora siamo disposti a fare quasi qualunque sacrificio anche a scapito dei nostri veri interessi nazionali. Ricordiamocelo sempre: non c’è nessuna contraddizione con i propri presunti valori umanitari e democratici quando vediamo l’occidente invadere nazioni, bombardare civili, sanzionare paesi non allineati e via dicendo.

Semplicemente perché l’occidente non esiste. Esiste molto più concretamente un impero americano in Europa al quale tutti devono rispondere anche a scapito degli interessi dei propri cittadini. E basta che infatti cambiamo la parola “occidente” con quella di “interesse nazionale americano”, e vediamo che le ipocrisie si dissolvono, e tutto il quadro politico e geopolitico si fa immediatamente più chiaro. “E quando una qualunque compagine politica”, sottolinea Cardini, “si dichiara con fierezza “sovranista”, ma persegue poi una politica “collaborazionista” con una forza esterna formalmente alleata, ma sostanzialmente egemone, siamo all’accettazione – poco importa se esplicita o implicita – della “sovranità limitata””.


Per riprenderci la nostra sovranità e quindi indipendenza e democrazia, diventa necessario formulare una nuova idea di “occidente” degna della nostra storia, e compatibile con i nostri interessi concreti per farlo, abbiamo bisogno di un vero e proprio media che combatta la propaganda collaborazionista.

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e chi non aderisce è Maurizio Molinari

OttolinaTV

12 Novembre 2023

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