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Trump ha dato il colpo di grazia a Scholz e alla Germania?

Finita quella colossale arma di distrazione di massa che è il gigantesco e costosissimo teatrino delle elezioni statunitensi, possiamo finalmente tornare a occuparci della sostanza; in ossequio alle macchinazioni del grande manovratore, per qualche mese è stato messo un tappo alla pentola delle gigantesche contraddizioni scatenate dal declino dell’impero e dalla feroce guerra economica che, inevitabilmente, lo accompagna. Finita la tregua armata è tornato il tempo della resa dei conti, a partire dal fronte più caldo in assoluto: le conseguenze della guerra economica che gli USA hanno dichiarato a quella che abbiamo definito l’anomalia tedesca. Neanche il tempo di terminare lo spoglio ed ecco che in Germania, inevitabilmente, arrivava il terremoto; talmente prevedibile che prima che Scholz stesso annunciasse definitivamente l’uscita dalla coalizione semaforo del liberale ministro delle finanze Lindner, proprio qui su Ottolina avevamo previsto che una crisi del governo tedesco era questione di ore. Nel frattempo, a qualche migliaio di chilometri di distanza, Pechino annunciava un pacchetto da 1.400 miliardi di dollari per ristrutturare il debito delle amministrazioni locali e, nel cuore dell’impero, Jerome Powell, il presidente della FED che nel 2018 era stato nominato proprio da Trump, ma che già a pochi mesi dalla nomina era entrato in collisione col tycoon dal ciuffo arancione, ha preso decisioni e fatto dichiarazioni che, in modo del tutto irrituale, contrastano vistosamente con le principali linee di politica economica annunciate dal neoeletto presidente. Il trionfo di Trump (da parte mia del tutto inatteso, per lo meno nella sua entità), quindi, ha cambiato tutto? Per dirla con un francesismo manco col cazzo: tutti i nodi che, a poche ore dall’elezione di Trump, sono venuti al pettine sono il frutto di processi decisamente più lunghi e strutturali; di fronte alle contraddizioni – spesso irrisolvibili – che questi processi, inevitabilmente, hanno causato e stanno causando, la quota di potere che spetta all’amministrazione USA (che è solo una parte del potere nel suo complesso e, tutto sommato, manco la più rilevante) deve decidere la sua prossima mossa, che (inevitabilmente) causerà altre contraddizioni che obbligheranno l’amministrazione USA a decidere, nei limiti delle sue possibilità, la mossa successiva. E così via fino a che – spesso – si arriva esattamente al contrario di quanto annunciato per accendere gli animi durante la rappresentazione teatrale che sono le elezioni che, in particolare negli USA (tra midterm e cazzate varie) non finiscono letteralmente mai.
Che è esattamente quello che è successo, in modo piuttosto plateale, sia al primo Trump che a rimbamBiden: conquistata la Casa Bianca per fare di nuovo grande l’America”, il compagno Trump ha contribuito (come nessuno mai) a renderla, invece, sempre più piccola mentre rendeva sempre più grandi quelli che, sulla carta, dovevano essere i suoi nemici giurati, a partire – in particolare – proprio da BlackRock e la grande finanza al centro delle più fantasiose teorie cospirazioniste del suo elettorato. Idem con patate per il suo successore che, al contrario, doveva essere il garante della difesa della globalizzazione neoliberista e, invece, s’è trasformato, nel giro di pochi mesi, nel più protezionista dei presidenti USA degli ultimi 40 anni. Presa coscienza di questa fondamentale verità del nostro sistema – che è tutto tranne che democratico – e, cioè, che le chiacchiere stanno a zero e a contare sono sempre e solo i fatti, e che il cosiddetto uomo più potente del pianeta, in realtà, i fatti è in grado di influenzarli soltanto fino a un certo punto, passata la doverosa e divertente ubriacatura temporanea a suon di gossip politichese è il caso quindi, appunto, di tornare a parlare della ciccia (o, almeno, di quel pezzo di ciccia che è permesso conoscere anche a noi poveri mortali fuori dalla stanza dei bottoni). Ma prima di farlo, vi ricordo di mettere mi piace a questo video per permetterci (anche oggi) di combattere la nostra guerra quotidiana contro la dittatura degli algoritmi e, se ancora non lo avete fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri canali (compresi quelli di Ottosofia) su tutte le piattaforma social e di attivare tutte le notifiche: a voi costa meno tempo di quanto non abbia impiegato rimbamBiden a diventare il più trumpiano dei presidenti USA, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette, in mezzo a un mare di gossip e di propaganda, di continuare a provare a capire qualcosa del complicato mondo che ci circonda.

Christian Lindner

Dopo qualche mese di tregua elettorale per permettere a Washington di decidere con serenità il prossimo commander in chief della guerra imperialista contro il resto del mondo, come ampiamente prevedibile in Germania (la principale vittima della guerra per procura in ucraina) è immediatamente arrivata la resa dei conti: la mattina del 6 novembre, mentre le cancellerie di tutto il pianeta cercavano di digerire un risultato elettorale che – almeno nella sua entità – era largamente inatteso, tre figure di spicco del governo tedesco, Olaf Scholz, il suo vice Robert Habeck e il ministro delle finanze Christian Lindner, si riunivano in fretta e furia a Berlino per una sorta di gabinetto di crisi. Appena 12 ore dopo, ecco il terremoto: come sottolinea l’Economist “In un discorso rovente pronunciato dopo che gli ultimi disperati colloqui di coalizione erano andati a pezzi, il signor Scholz ha puntato il dito contro il capo dei liberali pro-business Christian Lindner per il suo egocentrismo del tutto incomprensibile e per aver tradito la mia fiducia”; Scholz, così, dava ufficialmente il ben servito all’ultimo sacerdote dell’ortodossia mercantilista e ordoliberista e annunciava un voto di fiducia per gennaio e l’anticipazione delle elezioni (previste per il prossimo settembre) a marzo. A far saltare definitivamente il tavolo, l’opposizione di Lindner alla proposta di mettere temporaneamente da parte lo Schwarze Null (zero nero) e, cioè, il vincolo del pareggio di bilancio: una regola demenziale che, proprio in quanto platealmente demenziale, abbiamo deciso di imitare anche noi italiani, che abbiamo anche avuto la brillante idea di metterla in Costituzione; noi però siamo italiani e tra il dire e il fare c’è di mezzo e il e quindi, alla fine, nonostante la continuiamo a usare come grimaldello per aiutare i più ricchi a vincere la lotta di classe contro i più poveri (a prescindere dal colore del governo politico), la adattiamo comunque sempre un po’ alla bisogna. E meno male: col debito che ci ritroviamo – e con gli interessi sul debito che siamo costretti a pagare -, se la applicassimo con rigore a quest’ora avremmo un tessuto economico paragonabile a quello della Romania.
I tedeschi questo problema non ce l’hanno, ma, a differenza nostra, da bravi protestanti sono un po’ rigidini e, quindi, tendono a rispettare le regole che si danno; e quando non lo fanno ecco che interviene il Tribunale Costituzionale, come ha fatto il 15 novembre del 2023 quando ha dichiarato nulla la seconda legge integrativa del bilancio di previsione per il 2022 con la quale il governo aveva cercato di bypassare il vincolo semplicemente cambiando nome alla spesa che gli faceva sforare il tetto. E tra i più integerrimi dei custodi di questo dogma religioso c’è appunto lui, Christian Lindner, l’ormai ex ministro delle finanze nonché leader del partito liberale che ha contribuito a cancellare sostanzialmente dalla mappa politica tedesca, spingendolo abbondantemente sotto quella soglia del 5% che in Germania è fissata per accedere al parlamento. Come abbiamo spiegato millemila volte in passato, il dogma del rigore e dell’austerità è lo strumento principe attraverso il quale si giustifica la lotta di classe dall’alto contro il basso: impossibilitati a far crescere col contributo della spesa pubblica la domanda interna, i Paesi che abbracciano l’austerità per crescere si rivolgono necessariamente alla domanda estera e, per farlo, devono costringere le proprie aziende a essere competitive, che significa produrre a costi inferiori rispetto alla concorrenza internazionale. Questa cosa si può ottenere in due modi: contraendo i costi o aumentando gli investimenti; ma siccome il rigore di bilancio ostacola la crescita degli investimenti, alla fine ci si riduce a ridurre i costi e, cioè, a tenere bassi i salari. Che è esattamente quello che è successo in Germania, a partire dalle grandi riforme del compagno Schroeder che, però, sempre per contenere i costi, aumentare la competitività e, quindi, basare l’economia tedesca sulle esportazioni, ha fatto anche altro: prima di tutto ha collaborato con la Russia per avere energia a basso costo, al punto che – una volta lasciata la politica – Schroeder è andato a lavorare direttamente per i colossi energetici russi ed è stato anche nominato presidente del comitato degli azionisti di Nord Stream AG, consorzio responsabile della costruzione del gasdotto Nord Stream di cui Gazprom è l’azionista principale; e poi ha lavorato incessantemente con la Cina che, ormai, è l’unica vera superpotenza manifatturiera globale, il che significa che se vuoi essere competitivo devi trovare il modo di integrare il più possibile le catene del valore.
Insomma: dal punto di vista della struttura economica, la Germania viveva già in un nuovo ordine multipolare, ma da quello politico un po’ meno; dal punto di vista politico e istituzionale, infatti, la Germania è, a tutti gli effetti, un protettorato degli USA che, a un certo punto, hanno deciso di chiedere il conto. La guerra per procura in Ucraina scatenata dall’imperialismo USA, infatti, aveva tra i suoi obiettivi principali proprio quello di spezzare questi legami della Germania con le potenze emergenti del nuovo ordine multipolare e mettere, così, fine all’inarrestabile integrazione del super-continente eurasiatico; a questo punto, alla Germania (e ai sacerdoti del rigore di bilancio e delle politiche mercantiliste) per continuare a fondare la crescita tedesca solo sulle esportazioni, per tenere a bada i lavoratori rimaneva soltanto la carta della contrazione salariale. Inoltre, diventati sempre più difficili i rapporti con Russia e Cina, come mercato di sbocco per le proprie merci gli rimanevano soltanto gli Stati Uniti, dove infatti, nell’arco di 10 anni, l’export è quasi raddoppiato e che oggi, con oltre 170 miliardi di dollari (contro i 100 della Cina), rappresenta di gran lunga il primo mercato extra Unione europea; ma non solo, perché – ovviamente – quando incassi molto più di quello che spendi poi, alla fine, quei soldi da qualche parte devono andare. E nel caso della Germania sono andati sostanzialmente tutti da una parte sola: ovviamente a Wall Street; 650 miliardi in soli 10 anni, stima Bloomberg (in particolare dal 2021 ad oggi, proprio con Lindner ministro). Come raccontiamo un giorno sì e l’altro pure da due anni, questo meccanismo, ormai, aveva abbondantemente superato il limite: il solo contenimento salariale, ovviamente, impediva alla Germania di garantire la competitività delle sue aziende nel medio-lungo termine e questo, insieme all’assenza di investimenti pubblici, spingeva le aziende a investire altrove – soprattutto negli USA, dove le politiche fiscali del compagno Biden garantivano contributi a pioggia (tanto, poi, il debito glielo compravano gli stessi tedeschi che continuavano ad accumulare dollari). E l’assenza di investimenti in patria non faceva, ovviamente, che aumentare ulteriormente la competitività delle aziende, e così via. Insomma: la linea di Lindner, ormai – Trump o non Trump -, non solo era una rapina, ma, molto banalmente, oggettivamente non era proprio più sostenibile; con Biden (o con un’amministrazione democratica), al limite, si sarebbe potuto pensare di allungare ancora un po’ l’agonia (perlomeno questi non minacciavano tariffe per ridurre le importazioni dalla Germania).
Con la vittoria di Trump anche questo contentino, potenzialmente, viene meno: Trump, infatti, ha annunciato dazi e tariffe non solo nei confronti della Cina, ma anche dell’Europa (che, in soldoni, vuol dire appunto della Germania) e anche se al momento, ovviamente, si tratta solo di minacce, questo ha permesso finalmente di rompere tutti gli ultimi indugi. Per poter sperare che la Germania non collassi del tutto a stretto giro, bisogna trovare il modo di aumentare un po’ la domanda interna, e per aumentare la domanda interna bisogna liberarsi o, perlomeno, limitare i vincoli assurdi alla spesa pubblica. Fino a qui, quindi, tutto bene: Trump costringe la Germania a fare un piccolo passo avanti nella direzione giusta; purtroppo, però, la faccenda è più complicata di così e ancora più contraddittoria, perché a prendere il posto di Lindner non c’è andato esattamente Ho Chi Minh o il Che Guevara. Il posto di Lindner, infatti, è stato affidato a Joerg Kukies, il Mario Draghi tedesco: già Segretario di Stato per la Politica dei Mercati Finanziari e la Politica Europea presso il Ministero Federale delle Finanze tedesco e poi Segretario di Stato presso la Cancelleria Federale, dove ha assunto il ruolo di principale consigliere economico e finanziario del cancelliere Olaf Scholz, Kukies – infatti – con Mario Draghi condivide un pezzo di carriera ai piani alti di Goldman Sachs, ma on steroids. Nella storica banca d’investimento USA, infatti, Kukies ha lavorato per ben 17 anni ricoprendo vari ruoli, tra cui Co-Amministratore Delegato di Goldman Sachs AG e Managing Director della filiale di Francoforte. Insomma: in tutto e per tutto un uomo delle oligarchie finanziarie USA. Ma perché mai allentare i borsoni della spesa pubblica potrebbe essere una soluzione che piace anche alle oligarchie finanziarie USA? Dicevamo: com’è che d’incanto una cosa di per se positiva, come allentare i borsoni della spesa pubblica, potrebbe essere una soluzione che piace anche alle oligarchie finanziarie USA? Ovviamente, dipende quanto li vuoi allargare e per fare cosa: un piano massiccio di investimenti pubblici che aumenti la domanda interna e spinga in direzione della maggior indipendenza tecnologica e finanziaria possibile, sicuramente non farebbe piacere a Wall Street, ma, a ben vedere (in base anche a cose è successo negli ultimi 3 anni), non sembra essere quella la posta in palio; piuttosto, la partita sembra semplicemente quella di mettere in campo un po’ di risorse pubbliche che servano poi ad attirare investimenti privati e a garantirgli un’adeguata remunerazione, esattamente sul modello della bidenomics. E’ il modello del derisking State che abbiamo affrontato già svariate volte: lo Stato ci mette del suo per garantire che non ci siano rischi e che si caschi sempre in piedi, ma la direzione e i guadagni vanno tutti in tasca ai monopoli finanziari (che sono tutti statunitensi) e, al netto della retorica che ci dovremmo sorbire in campagna elettorale, questa è la linea che – anche se con sfumature diverse – potrebbe accomunare governo e opposizione.

Friedrich Merz

Come abbiamo raccontato nelle settimane passate, infatti, il leader del principale partito d’opposizione (che guida i sondaggi con il 34%) è Friedrich Merz; e indovinate cosa faceva prima di lavoro Merz? Esatto: lavorava per BlackRock; per l’esattezza, presidente del Consiglio di Sorveglianza di BlackRock Germania, posizione dalla quale ha supervisionato le operazioni tedesche del colosso statunitense fornendo consulenza strategica e garantendo la conformità alle normative locali. Insomma: vista da questa prospettiva, la spinta alla politica tedesca che è arrivata con l’elezione di Trump non sembra più così positiva; non a caso si parla di allentare un po’ i vincoli, ma – principalmente – per continuare ad aiutare l’Ucraina e per spingere l’industria bellica. Insomma: tutto interamente all’interno della strategia imperiale che oggi ci chiede di occuparci da soli della Russia con i nostri soldi, magari facendo (nel frattempo) arricchire ancora un po’ le oligarchie finanziarie USA; non a caso, paradossalmente, il più timido sul coinvolgimento tedesco nella guerra per procura in Ucraina era proprio Lindner – oltre all’AfD che, in maniera ancora più accentuata di Lindner, tiene insieme ultra-liberismo economico (fondato su austerità e mercantilismo) e isolazionismo politico proprio perché politiche mercantiliste senza l’energia a basso costo dei russi sono una chimera. Che è il motivo per il quale chi rincorre la propaganda della sinistra ZTL e mette nello stesso calderone AfD e il partito della Wagenknecht si merita uno spazio tutto suo su Propaganda Live e una rubrica su l’Internazionale; la proposta della Wagenknecht consiste, infatti, nel dare una risposta coerente su questi due assi strategici fondamentali: ripristinare rapporti di cooperazione con le potenze emergenti del nuovo ordine multipolare per tornare ad essere competitivi, ma questa competitività, invece che metterla a disposizione esclusivamente della borghesia conservatrice tedesca per fare profitti da investire poi nei mercati finanziari USA, metterla a disposizione di una domanda interna rafforzata da un intervento pubblico sostanzioso. E non è un caso che questa prospettiva arrivi proprio dalla Wagenknecht: Sarah Wagenkencht infatti, tra le altre cose, è anche la moglie di Oscar Lafontaine che (prima di fondare insieme a lei la Die Linke nel 2007) era stato ministro delle finanze proprio i primi due anni del governo Schroeder, prima di sbattere la porta; con Schroeder, infatti, condivideva l’idea di integrarsi sempre di più con Russia e Cina, ma (a differenza di Schroeder) rifiutava l’idea che questa integrazione dovesse servire a rafforzare politiche mercantilistiche che rendevano la Germania dipendente dalle esportazione sulla pelle dei lavoratori.
Oltre che del fronte tedesco, avrei voluto parlarvi anche di Powell, di Warren Buffett e di Elon Musk, oltre che della risposta cinese all’elezione di Trump; purtroppo, però, siamo fuori tempo massimo e siamo costretti a rimandare gli altri capitoli ai prossimi giorni. Nel frattempo, però, ricordatevi che se vogliamo provare a capire qualcosa di cosa succede intorno a noi senza diventare gli utili idioti della propaganda analfo-liberale, da un alto, e analfo-sovranista dall’altro, l’unica possibilità è avere un medio indipendente, ma di parte, che dia voce agli interessi concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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OttolinaTV

12 Novembre 2024

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