Il G7 è il passato, i BRICS sono il futuro: l’illuminante intervista del capo dell’Intelligence di Putin
“Il G7 è il passato, i BRICS sono il futuro” e gli unici ad avere interesse a non riconoscerlo sono le oligarchie parassitarie dell’impero, che sono disposte a distruggere il pianeta pur di continuare a ingrossare i loro conti in banca. La lunga intervista che il capo del Servizio di intelligence internazionale russo Sergey Naryshkin ha rilasciato alla rivista specializzata Razvedchik per fare un po’ il bilancio di questo 2024 e il punto su cosa dobbiamo aspettarci dall’anno che sta arrivando, potrebbe essere scambiato in buona parte per uno dei nostri pipponi: Naryshkin inizia l’intervista ricordando il colossale fallimento dei due vertici internazionali promossi negli ultimi due anni dagli USA e che avrebbero dovuto rilanciarne il ruolo di guida sia politica e militare che anche, in qualche modo, spirituale e ideologica dell’intera comunità internazionale. Il primo è l’ormai totalmente rimosso Vertice americano per la democrazia che si è tenuto il 29 e il 30 marzo del 2023, un forum che Naryshkin (giustamente) definisce “revisionista”.
E già, qui, serve un pippone a parte: quando Naryshkin usa il termine “revisionista” per descrivere il Vertice americano per la democrazia, il riferimento è al totale stravolgimento della realtà storica operato senza pudore dalla propaganda imperialista in particolare negli ultimi 10 anni e, cioè, da quando, con la rivoluzione colorata dell’Euromaidan, USA e vassalli hanno deciso di dichiarare guerra alla Russia; da allora, infatti, si è imposta con sempre più forza una nuova lettura fantasy dell’ultimo secolo, dove alla contrapposizione tra Asse e Alleati che aveva permesso l’annientamento delle forze nazifasciste durante la seconda guerra mondiale, si è gradualmente sostituita una nuova contrapposizione inventata a tavolino tra democrazie e autocrazie, con gli eredi diretti del nazifascismo che, dopo imponenti patetiche campagne di white washing, magicamente vengono assoldati nel fronte delle democrazie e si trasformano in paladini della libertà e dell’ordine fondato sulle regole, e i Paesi con un presente (o anche solo un pezzo di passato) all’insegna del socialismo – che, per inciso, sono quelli che hanno pagato di gran lunga il tributo maggiore nella grande guerra contro l’Asse – che vengono arbitrariamente inseriti nella lista del campo avverso a seconda del livello di sottomissione alle ambizioni egemoniche di Washington. Vabbeh, hai capito che novità, commenterà qualcuno: è il copione che è andato in scena sin da subito, da quando, una volta assicurata la sconfitta dell’Asse, l’Occidente ha cominciato ad assoldare in chiave antisovietica marmaglia nazifascista tra le sue fila per combattere la guerra fredda. In realtà, però, negli ultimi 10 anni si è andati ben oltre, soprattutto in Europa: fino a una decina di anni fa, infatti, in Europa (nonostante le macchinazioni sotterranee in stile Gladio) si era comunque cercato di salvare perlomeno le forme, e una risoluzione come quella approvata nel settembre del 2019 dal parlamento europeo che equipara nazifascismo e comunismo era sostanzialmente impensabile; in quell’occasione, infatti, si è raggiunto un livello di sfacciataggine senza precedenti, con una classe politica composta (in buona parte) da persone che hanno il busto di Mussolini in casa e che hanno tramato per decenni col terrorismo nero specializzato in strategia della tensione e tentati golpe che attribuiva esplicitamente la responsabilità della seconda guerra mondiale a un’Unione Sovietica che per sconfiggere il nazifascismo aveva pagato un tributo di quasi 30 milioni di morti, contro i 500 mila scarsi rispettivamente di USA e Gran Bretagna. E che qualcosa si sia irrimediabilmente rotto anche rispetto alla feroce contrapposizione ideologica e geopolitica che ha caratterizzato tutta la lunga fase della guerra fredda è quello che sottolinea anche lo stesso Naryshkin a partire dalla sua esperienza personale; Naryshkin, infatti, nella seconda metà degli anni ‘80 ha lavorato per 5 anni come consulente tecnico e scientifico all’ambasciata sovietica di Bruxelles: “Allora eravamo ancora in clima da guerra fredda” ricorda, e le relazioni erano caratterizzate dal “confronto tra due sistemi contrapposti e i rispettivi Paesi che li rappresentavano: l’URSS e gli Stati Uniti”, ma “allo stesso tempo” continua “l’atmosfera generale dei contatti tra i cittadini sovietici e i rappresentanti dell’Occidente era generalmente positiva; non avevamo la percezione che ci fosse qualcosa che ci divideva profondamente a livello umano universale”. Ora invece, sottolinea Naryshkin, “la situazione è profondamente diversa. Il degradante sistema occidentale, questo blocco caratterizzato da una specie di totalitarismo liberale, ha introdotto nella società occidentale un’atmosfera caratterizzata da una crescente e pervasiva russofobia, che in particolare negli ultimi due anni è mezzo è letteralmente esplosa”. Insomma: prima l’avversione era per uno specifico sistema di governo e di organizzazione delle relazioni sociali; ora l’avversione è proprio nei confronti della Russia come entità statuale e geopolitica autonoma e sovrana e di tutti i cittadini che non aderiscono acriticamente al progetto imperiale di smembramento della madrepatria (fine della digressione).
Secondo Naryshkin, il Vertice americano per la democrazia “è stato creato dalla squadra di Joe Biden per cristallizzare i criteri per una nuova divisione del mondo”: da una parte quelli che aderiscono all’ordine basato sulle regole e, dall’altro, “chiunque si rifiuti di giurare fedeltà a queste regole”, regole che ovviamente l’egemonia di Washington non riesce che a concepire come universali, ma che (a vedere i risultati) tanto universali probabilmente non sono; il vertice infatti, sottolinea Naryshkin, “era stato concepito come un incontro globale, ma alla fine si è trasformato in un banale incontro ministeriale al quale la Casa Bianca è riuscita a malapena a radunare alcune dozzine dei suoi più stretti alleati”. Il fallimento del Vertice americano per la democrazia non è stato certo l’unico smacco plateale che le ambizioni egemoniche degli USA hanno rimediato: ancora più evidente, infatti – secondo Naryshkin – sarebbe stato il fallimento del Vertice di Bürgenstock; anche questo probabilmente l’avrete già rimosso, perché la brillante strategia della propaganda suprematista occidentale consiste, molto banalmente, nel fatto che quando un evento annunciato in pompa magna – che sia un summit come l’arrivo al fronte di una nuova arma che cambierà i destini della guerra – si rivela un colossale flop, parlarne e commentarlo diventa tabù. Il Vertice di Bürgenstock è quel ridicolo vertice che si è tenuto nel giugno scorso in Svizzera con l’obiettivo di promuovere una pace giusta e duratura in Ucraina senza (e qui sta il colpo di genio) invitare la Russia: una buffonata di dimensioni epiche alla quale il grosso dei Paesi che rivendicano una qualche forma di indipendenza dagli USA non hanno partecipato, e quelli che hanno partecipato, nonostante ambiscano a mantenere buone relazioni con Washington (dall’India all’Arabia Saudita), si sono rifiutati di sottoscrivere. “Il mondo intero” commenta Naryshkin “è ben consapevole dell’assurdità del tentativo di risolvere la crisi ucraina senza la partecipazione della Russia, soprattutto se si considera l’evoluzione della situazione sulla linea di contatto militare” e “solo l’Occidente continua a vivere in una dimensione completamente artificiale, separata dalla realtà, nella quale Mosca sarebbe già stata isolata”.
Oltre alla mancata adesione agli appelli promossi da Washington, quanto poco isolata sia la Russia nella comunità internazionale – sottolinea Naryshkin – sarebbe dimostrato anche dal Vertice dei BRICS di Kazan, che definisce senza mezze misure trionfale. Sui limiti del vertice e le debolezze intrinseche di un organo multilaterale come quello dei BRICS, in realtà noi ci siamo soffermati a lungo, ma qui la prospettiva di Naryshkin è un’altra: non si tratta tanto di valutare i risultati concreti ottenuti rispetto a un particolare dossier o a un altro; qui in ballo, sottolinea Naryshkin, c’è proprio più in generale l’idea di come debbano funzionare le relazioni internazionali. “Il G7 è il passato” commenta laconico; “i BRICS sono il futuro”: “Nella stampa occidentale” spiega “si trovano spesso paragoni tra i BRICS e il G7. Tuttavia tra i due organismi esiste una differenza fondamentale. I Sette, infatti, non sono altro in realtà che Washington e i suoi satelliti, e cioè il prodotto diretto di un mondo unipolare basato sul dollaro e sulla tirannia degli Stati Uniti. I BRICS, invece, soprattutto nella forma ampliata ufficializzata proprio a Kazan, sono un’alleanza tra poteri, o meglio, tra civiltà diverse e tutte con pari dignità, che cercano di trovare insieme risposte alle sfide più urgenti del nostro tempo, nel totale rispetto dei rispettivi interessi nazionali”. Il cambio di paradigma è radicale ed epocale: a “Washington e Londra non è che non comprendano l’essenza di ciò che sta accadendo”; il problema però è che “l’inerzia del loro pensiero coloniale e il razzismo profondamente radicato” gli impediscono di farci i conti fino in fondo. In soldoni, al di là di ogni calcolo razionale, “si rifiutano di ammettere che l’era del loro dominio è finita” e, quindi, sono disposti letteralmente a tutto, compreso “eliminare fisicamente gli oppositori” come se fossero un Israele qualsiasi. Il riferimento, sottolinea lo stesso Naryshkin, è sia all’attentato subito dal primo ministro slovacco Fico che alle “minacce fisiche contro il presidente serbo Vucic e il primo ministro ungherese Orban”: “È ovvio” sottolinea Naryshkin “che tutti i leader dell’ordine multipolare emergente sono letteralmente a rischio” e se il problema riguardasse solo i leader dell’ordine multipolare emergente, tutto sommato ce ne potremmo fare anche una ragione; a spaventare decisamente di più, in realtà, è un’altra possibilità e, cioè, “il tentativo da parte degli occidentali di scatenare un conflitto armato globale con epicentro l’Eurasia”. Ovviamente a partire dall’Ucraina, dove “Il calcolo strategico dell’Occidente” sottolinea Naryshkin “è molto chiaro: imporci una lunga lotta di logoramento per dividere la società russa e creare le condizioni per una rivoluzione colorata”; per ottenere questo risultato, prima “combatteranno, come si suol dire, fino all’ultimo ucraino” e quando la carne da macello locale ucraina sarà del tutto esaurita, sarà il turno prima degli Stati baltici, poi dell’Europa dell’Est e, alla fine, anche “i tedeschi saranno costretti a combattere il terribile orso russo”. Le leve e la potenza di fuoco necessarie “per fare il lavaggio del cervello alla popolazione” da un lato, e “per esercitare pressioni sufficienti sulle élite locali”, all’impero guidato da Washington – sostiene Naryshkin – non mancano, aspetto sul quale, in realtà, nutro qualche dubbio. E non mi riferisco alla capacità di influenzare le élite locali (che per quello, come abbiamo visto in questi due anni e mezzo, basta poco), ma che a suon di serie Netflix e di pagliacciate tipo il fuck Putin dei Maneskin si riescano davvero a convincere le popolazioni europee a rinunciare a una vita pacifica dove, in mezzo a mille difficoltà, ognuno continua comunque a farsi beatamente gli stracazzi suoi (fatta eccezione forse per i baltici, che mi sembrano arruolabili già da domattina, ma che – in tutto – contano un terzo della popolazione della sola area metropolitana di Mosca), mi sembra già più complicato; e tutti i recenti sondaggi – e, dove è ancora è permesso, le recenti elezioni – mi sembrano confermarlo oltre ogni ragionevole dubbio.
Ma invece che questo aspetto, Naryshkin preferisce sottolinearne altri due: il primo è che, al momento, “Tutti i tentativi di fomentare la situazione in Russia non hanno avuto successo”, anzi! Ricordiamo che Naryshkin ha impiegato gran parte della sua vita a occuparsi di economia e, da economista, sottolinea come “Nonostante le sanzioni e il furto dei nostri beni sovrani, l’economia russa è in crescita e la sostituzione delle importazioni si sta sviluppando a un ritmo accelerato, anche nei settori ad alta tecnologia. Stanno emergendo nuove catene di approvvigionamento, i legami economici con i Paesi non occidentali si stanno rafforzando, soprattutto nell’area della Grande Eurasia”; da questo punto di vista, continua, “un’ulteriore escalation non solo non porterà all’esaurimento della Russia, come auspicato da Washington e Londra, ma avvicinerà anche la sconfitta strategica dello stesso Occidente”. L’altro è che, fortunatamente, ormai “Washington e Londra non sono gli unici Paesi che, come loro stessi affermano, sono legati da valori comuni”: “Nel mondo” continua “sono emersi altri giocatori più responsabili che, se uniti, sono in grado di resistere alle avventure anglosassoni e risolvere autonomamente eventuali problemi, evitando così che il pianeta scivoli nella terza guerra mondiale”; questi “giocatori più responsabili” continua Naryshkin “si rendono perfettamente conto che non stiamo combattendo la giunta di Kiev, ma l’Occidente collettivo, e che il prezzo di questo confronto è la nostra libertà e sovranità”. “Non potete immaginare” dichiara addirittura “quanti partner statunitensi dei Paesi asiatici, africani e dell’America Latina ci chiedono di non fermarci a metà del conflitto ucraino”; il punto è che nella sua crociata contro la transizione a un nuovo ordine multipolare “l’Occidente sta letteralmente macellando le proprie vacche sacre, compreso lo stesso principio di inviolabilità della proprietà privata” ed è chiaro a tutti che “qualsiasi Stato un domani potrebbe ritrovarsi a dover ricoprire la posizione che oggi è stata attribuita alla Russia”. “Tutto ciò” inevitabilmente “spinge la maggioranza mondiale alla ricerca di una sempre maggiore indipendenza”, un vero e proprio processo epocale di “decolonizzazione del Sud del mondo, che ormai ha iniziato a percepirsi come un’entità geopolitica a tutti gli effetti e non come il cortile di casa di qualcuno”; i popoli dei Paesi a capitalismo avanzato, però, non dovrebbero percepire l’ordine multipolare che necessariamente scaturirà da questo gigantesco processo di decolonizzazione come una minaccia: “Un mondo multipolare, ovviamente” sottolinea Naryshkin “deve includere sia gli Stati Uniti che l’Europa” e non per gentile concessione di fantomatiche nuove potenze egemoni, ma perché l’umanità nel suo insieme si trova di fronte a sfide epocali, “dalle pandemie, ai cambiamenti climatici, allo sviluppo incontrollato dall’intelligenza artificiale”, sfide che per essere affrontate richiedono che “Le principali potenze regionali e globali lavorino insieme”. E “I poli americano ed europeo, con il loro spirito di imprenditorialità e innovazione, possono e devono svolgere un ruolo importante in questi processi”; l’unica condizione è che lo facciano nell’ambito di un nuovo sistema di relazioni internazionali e di rapporti economici dove tutti hanno gli stessi diritti. E il nemico dei popoli dei Paesi a capitalismo avanzato, da questo punto di vista, non sono le minacciose potenze emergenti alle quali la deriva revisionista ha affibbiato l’etichetta di autocrazie totalitarie, ma le oligarchie parassitarie che si nutrono del sangue di tutto ciò che le circonda, trasportando ineluttabilmente l’intero pianeta verso la catastrofe. Per dichiarare guerra al nemico giusto, però, abbiamo bisogno di un media che ci aiuti a capire chi è e dove sta di casa; aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Maurizio sambuca Molinari
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