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Disastro G7: l’Europa a guida Meloni prende ordini da Biden e dichiara guerra a Russia, Cina ed Euro

Negli ultimi giorni ne sono successe di ogni: proviamo ad andare, più o meno, in ordine cronologico. Lunedì scorso l’Arabia Saudita ha ufficialmente messo fine all’accordo, siglato ormai ben 50 anni fa, con gli USA che, in cambio della protezione militare a stelle e strisce, le imponeva di prezzare e commerciare petrolio esclusivamente in dollari; abbandonata la convertibilità in oro su cui si era fondata la centralità del dollaro da Bretton Woods in poi, la nascita dei petrodollari era stata la principale garanzia che gli USA avrebbero potuto stampare denaro all’infinito – e tutti i problemi che questo creava potevano essere agilmente scaricati sul resto del mondo. L’emancipazione del mercato del petrolio dalla dittatura del dollaro era già in corso dal tempo, ma – fino ad oggi – era ostacolata da questo accordo e si fondava su vari sotterfugi; con questo ultimo atto formale, il processo di dedollarizzazione subisce un’accelerazione (anche simbolica) epocale e comincia a rivelarsi in tutta la sua irreversibilità. Mercoledì scorso, invece, la Commissione europea ha annunciato la sentenza preliminare a seguito dell’indagine sugli aiuti di stato cinesi all’industria dell’automotive elettrico e che prevede l’introduzione di dazi aggiuntivi fino al 38,1% sui veicoli elettrici cinesi importati a partire da luglio. Come denuncia il Global Times “Questa cosiddetta indagine si è fondata sin dal principio sulla presunzione di colpevolezza, ed è stata condotta con modalità che non rispettano le regole del WTO”; nonostante questo, “L’industria automobilistica cinese ha collaborato attivamente all’indagine”, ma “la parte europea ha scelto selettivamente le società campione, ha ampliato arbitrariamente la portata dell’indagine e ha gravemente distorto i suoi risultati”. Come si spiega tanta manipolazione, soprattutto visto che l’industria dell’auto europea si opponeva a questa conclusione? Semplice: come sapete, meno di un mese fa papà Biden aveva deciso di superare in protezionismo i toni della campagna elettorale di Trump e aveva inaspettatamente aumentato, di punto in bianco, le tariffe sui veicoli elettrici cinesi dal 25 al 100%; l’Europa senza sovranità e senza dignità ha messo il pilota automatico, ha recepito il messaggio e si è affrettata a fare altrettanto, con la differenza che negli USA, comunque, hanno il dollaro e finanziano la reindustrializzazione a suon di mille miliardi di nuovo debito ogni 100 giorni. Noi invece c’abbiamo l’euro. E l’austerity.
L’euro arretra a livello globale titolava ieri Milano Finanza: “Nel 2023” sottolineava l’articolo “le banche centrali hanno ridotto di 100 miliardi gli asset in moneta unica”. La notizia è particolarmente grave visto che, nonostante la crisi economica, la BCE ha mantenuto tassi di interesse altissimi; ovviamente, tassi di interesse alti dovrebbero attirare capitali e, invece, il capitale continua a migrare tutto contento verso il nostro carissimo alleato a stelle e strisce, che rilancia: come riportava, sempre ieri, il Financial Times infatti, “I funzionari della Federal Reserve americana hanno annunciato che prevedono di tagliare i tassi di interesse solo una volta quest’anno, assumendo una posizione aggressiva sull’inflazione”. Quindi, come da mesi ormai sottolineiamo insieme ad Alessandro Volpi, al contrario delle aspettative del mainstream la guerra dei tassi continua e le vittime e i feriti sul campo siamo noi europei; ed è solo l’antipasto: le agenzie di stampa che ieri provenivano dal G7, infatti, davano come sostanzialmente conclusa la partita del furto degli asset congelati russi. Congelati sin dall’inizio del conflitto, 325 miliardi di asset russi generano ogni anno 3 miliardi di dollari di interessi: ora questi 3 miliardi dovrebbero essere usati per prendere un prestito da 50 miliardi da dare all’Ucraina per prolungarne un po’ l’agonia; il punto, però, è che – caso più unico che raro – questi 325 miliardi di asset russi non stanno negli USA o nel Regno Unito, ma nell’Unione europea, in Belgio per l’esattezza. Dimostrare, dati alla mano, che se porti le tue riserve in Europa e non sei simpatico a Joe Biden poi l’Europa li usa per armare i tuoi nemici, potrebbe non essere esattamente la migliore pubblicità possibile per attrarne di altri; quindi, riassumendo, proprio mentre c’è una gigantesca fuga dall’euro dovuta alle politiche monetarie del nostro alleato USA, noi decidiamo di accelerare ulteriormente la fuga dall’euro per rimanere fedeli alla guerra voluta dagli USA stessi contro la Russia e contro l’Europa. E – è bene sempre sottolinearlo – a prendersi il merito di questo capolavoro è stata la regina dei patrioti e dei sovranisti, Giorgia Meloni, fresca fresca di un più che buono risultato alle urne che ha deciso di spendere subito per essere eletta reginetta della svendita degli interessi dell’intero continente al padrone che non solo è statunitense, ma pure democratico; ci siamo lamentati per decenni di quanto fossero fessi gli elettori di sinistra che continuavano a votare il partito della lotta di classe dall’alto contro il basso per eccellenza come il PD, convinti di votare l’erede del PCI e della sinistra DC, ma bisogna ammettere che, rispetto agli elettori patrioti e nazionalisti che continuano a votare la più grande svenditrice della patria di sempre, erano comunque dei dilettanti allo sbaraglio.
Nel frattempo, Nikkei Asia ieri c’ha graziato con un’altra notizia bella succulenta; nel primo trimestre del 2024, infatti, gli USA sono diventati la prima destinazione delle esportazioni dei paesi dell’ASEAN, sorpassando la Cina e manco di poco: 67 miliardi contro 57. Oh, lo vedi? Decoupling e friendshoring funzionano! Beh, se continuano a crederci a noi certo non ci dispiace, perché la realtà è diametralmente opposta; la settimana precedente, infatti, erano usciti i dati sull’export cinese: Il boom dell’export cinese verso il Sud globale continua titolava il solito David Goldman su Asia Times; “Il meme occidentale sulla sovracapacità cinese” scrive Goldman “non funziona bene nel Sud del mondo, dove la domanda di infrastrutture di telecomunicazioni cinesi, veicoli elettrici a basso costo, pannelli solari e acciaio è in crescita”. Il processo suicida messo in moto dal suprematismo del centro imperiale – e dai fintisovranisti europei che gli vanno dietro – lo abbiamo raccontato svariate volte e ogni giorno che passa si consolida di più: in sostanza gli USA, invece che importare dalla Cina, importano merci cinesi (o che comunque contengono una marea di componentistica cinese) dai paesi che considerano amici, ma che, giustamente e inevitabilmente, più che essere amici dell’imperialismo USA sono semplicemente amici di se stessi. L’esempio del Vietnam è paradigmatico, come si vede da questo grafico:

da quando Trump ha avviato le politiche protezionistiche, l’import USA dal Vietnam è esploso, ma quello vietnamita dalla Cina è esploso ancora di più e ancora più rapidamente; risultato? Il Vietnam è ancora più legato alle catene del valore cinesi e la Cina non ha fatto che aumentare la sua influenza economica.
Un’altra notizia piuttosto succulenta che dà un segno preciso dei tempi riguarda Apple: da poco Apple, infatti, aveva annunciato che tutti i suoi mega investimenti nel campo dell’intelligenza artificiale non avevano portato, sostanzialmente, a una sega niente; questo fallimento si andava a sommare al crollo sui mercati cinesi, al che Warren Buffet – che è un finanziere, si, ma un po’ old school e investe fondamentalmente in aziende che crede abbiano ampi margini di crescita, come dimostra la sua partecipazione nel colosso cinese dell’automotive elettrico BYD – ha venduto un po’ di azioni. Ma il mondo non funziona più come è abituato a pensare Warren Buffet: nonostante il doppio fallimento, le azioni di Apple, alla fine, sono tornate a crescere; com’è possibile? Le risposte sono due: lo Schema Ponzi della finanza USA e il regime monopolistico del tecno-feudalesimo. Lo Schema Ponzi funziona che non importa se sei un’azienda del cazzo che non ne coglie una e butti via più soldi del Corpo Forestale in Calabria: i monopoli finanziari hanno deciso che le tue azioni devono valere tot e le tue azioni quello valgono, anche se sei sull’orlo della bancarotta. Il regime monopolistico del tecno-feudalesimo, invece, funziona che proprio grazie alla quantità senza senso di risorse finanziarie che ti vengono garantite dai fondi, se qualcosa non la sai fare (o, almeno, non sei all’altezza di competere), molto semplicemente te la compri, che è proprio quello che ha annunciato Apple: non siamo in grado di sviluppare intelligenza artificiale in modo competitivo come azienda? Vorrà dire che compreremo quella di OpenAI; che problema c’è? La differenza tra Apple e il servizio informatico del comune di Pizzo Calabro, stringi stringi, è che c’hanno li sordi; anzi, meglio ancora: manco gli servono li sordi. Come ricordava ieri Bloomberg, infatti, “Apple pagherà OpenAI per ChatGPT attraverso la distribuzione, non in contanti”: cioè, siccome c’hanno il monopolio delle app con gli App store proprietari, se vuoi conquistare il mercato devi passare da loro e paghi il dazio, come il fiorino in Non ci resta che piangere, un sistema feudale che bisogna difendere con ogni mezzo necessario.
Nel week end, subito dopo il G7 pugliese, in Svizzera si terrà il fantomatico Summit per la Pace in Ucraina, un summit piuttosto eccentrico dal momento che non vedrà la partecipazione di una delle due parti in causa e, a cascata, di nessun paese che più o meno è allineato a quello che Bloomberg ieri definiva l’asse della resistenza russo-cinese. Ovviamente i paesi del Nord globale parteciperanno, ma (a quanto ci è dato sapere) tra questi paesi la pace c’è già; a cosa dovrebbe servire quindi? Come sottolinea su Asia Times Jon Richardson della Australian National University, “Il principale target dell’Ucraina dovrebbero essere tutti gli altri paesi del Sud del mondo” e, cioè, quelli non più o meno esplicitamente schierati con Mosca, vale a dire la stragrande maggioranza. L’idea, appunto, sarebbe quella di provare a strappare un po’ di sostegno ai paesi che fino ad oggi hanno optato per farsi gli stracazzi loro e, laddove era possibile, hanno approfittato della situazione per strappare qualche fornitura di petrolio a prezzi di saldo, oppure hanno fatto qualche spicciolo triangolando merci e beni altrimenti preclusi ai russi: ora si tratterebbe di spiegargli che le sanzioni secondarie – cioè quelle che gli USA impongono con la forza del loro imperialismo finanziario a tutto il mondo contro la sua volontà – diventeranno mano a mano sempre più severe e inaggirabili; convincerli che Putin – come titolava ancora ieri il suo articolo Dan Altman della Georgia State University su Foreign Affairs – comunque perderà e che questa è l’ultima chance per salire sul carro del vincitore. A quanto pare, però, questa narrazione non è risultata esattamente molto convincente: “Non è chiaro” infatti, sottolinea sempre Richardson, “quanti dei maggiori attori, come Brasile, India, Indonesia, Turchia e Sud Africa, saranno rappresentati – o se invieranno funzionari anziché leader o ministri. E ci sono indicazioni che l’Arabia Saudita e il Pakistan, tra gli altri, non saranno presenti, il che non potrà che deludere amaramente l’Ucraina”.
Insomma: come abbiamo sottolineato milioni di volte, gli USA, a parte l’arroganza dei monopoli finanziari, non hanno più niente da offrire; nel Sud del mondo lo sanno e a fatica, giorno dopo giorno, cercano (e a volte di più, a volte di meno, trovano) il modo di sganciarsi. Se in Europa ci fosse una classe dirigente minimamente rappresentativa dei nostri interessi, sarebbe un’occasione straordinaria per cominciare ad emanciparci come mai siamo riusciti fino ad ora; certo, con patrioti come la Meloni e progressisti come Elly Schlein e alleati verdi e sinistri, diciamo che questo è un piano sul quale proprio non si arriva nemmeno concettualmente. Figurarsi concretamente! Per costruire dal basso una classe dirigente all’altezza dei tempi bisogna studiare, discutere e lottare e, per farlo, c’è bisogno di un vero e proprio media che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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OttolinaTV

14 Giugno 2024

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