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Gli USA in Ucraina abbattono l’ultimo tabù e ufficializzano l’invio di armi ai neonazisti

La love story tra liberal americani e post-neofascisti europei si arricchisce di un nuovo capitolo ogni giorno che passa: dopo aver osannato i reduci nazisti della divisione Galizia, aver approfittato delle celebrazioni del D-Day per rivedere l’intera storia della seconda guerra mondiale come lotta del mondo libero contro il totalitarismo asiatico, e aver sdoganato i partiti politici post-fascisti alla vigilia delle elezioni – in quanto migliori referenti possibili immaginabili per trascinare il vecchio continente nella guerra totale contro il resto del mondo – lunedì scorso l’amministrazione revisionista USA ha infranto anche l’ultimo tabù. Che il partito unico della guerra e degli affari di Washington armi indiscriminatamente tutti i peggiori fondamentalisti invasati del pianeta e li sostenga nelle loro azioni terroristiche non è certo una novità, ma, fino ad oggi, si è sempre cercato di farlo un po’ di nascosto e mantenendo un minimo le forme, certi anche della complicità dei media mainstream sempre pronti a negare l’evidenza per coprire i peggiori crimini dell’impero; lunedì, invece, il leader del mondo libero ha approfittato del panico post-elettorale per revocare formalmente il divieto (in vigore da anni) di fornire direttamente armi USA ai neonazisti del battaglione Azov: d’altronde, come sottolinea il Washington Post, il battaglione, “noto per la sua tenace ma alla fine fallita difesa dell’acciaieria Azovstal a Mariupol… è considerato una forza combattente particolarmente efficace”. Peccato però che, nonostante le rassicurazioni di David Parenzo e di Bruno Vespa, “un decennio fa gli è stato impedito di usare armi americane perché i funzionari statunitensi hanno stabilito che alcuni dei suoi fondatori abbracciavano opinioni razziste, xenofobe e ultra-nazionaliste, e i funzionari delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno accusato il gruppo di violazioni umanitarie”; questo, ovviamente, non ha impedito fino ad oggi di armarli come, in passato, remore più o meno simili non hanno mai impedito di gestire il traffico internazionale di stupefacenti per finanziare operazioni sotto copertura, sostenere gruppi terroristici di estrema destra per reprimere movimenti sociali e architettare colpi di Stato o assistere tagliagole jihadisti per attentare alla sovranità nazionale di qualche stato in Medio Oriente. Ciononostante, dover passare da sotterfugi vari, in un modo o in un altro, complica comunque la vita e – vista la situazione sul campo – di aggiungere complicazioni che servono solo a tenere un po’ a bada gli analfoliberali più petalosi evidentemente, non è più cosa; e se questo significa arrampicarsi sugli specchi pazienza, che tanto ai media conniventi che je frega? Loro i nazisti di Azov li hanno già assolti e sdoganati da mo’.
Rispetto ai mezzi di produzione di propaganda e fake news, le istituzioni USA comunque devono rispettare qualche piccola formalità in più, almeno in teoria: il divieto a fornire armi ai neonazisti del battaglione Azov, in particolare, derivava dall’applicazione della cosiddetta Legge Leahy che, appunto, vieta al governo USA di fornire assistenza militare e finanziaria a unità straniere “laddove esistano informazioni credibili che imputano a tale unità gravi violazioni dei diritti umani”; in particolare, la legge fa riferimento esplicito a crimini quali “torture, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e stupri”, tutti crimini che “vengono esaminati sulla base dei fatti specifici”. Ergo, se gli USA non fornivano assistenza al battaglione Azov da 10 anni, in base a questa legge è perché aveva esaminato nello specifico alcuni episodi di “torture, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e stupri” dei quali i nostri beneamati lettori di Kant si erano resi colpevoli.

Sviatoslav Palamar

Inizialmente, questo divieto ha escluso il battaglione Azov dai salotti buoni, almeno a favore di telecamera: lo ribadisce con forza il vice comandante del battaglione Sviatoslav Palamar proprio al Washington Post; Palamar, nonostante i suoi appena 41 anni, è un vero e proprio pezzo di memoria storica del neonazismo ucraino che ha contribuito in primissima persona a costruire e consolidare, sin dalle origini, partecipando attivamente a ogni sua evoluzione. Nel 2000, ancora minorenne, è andato infatti a ingrossare le fila della neonata organizzazione dei patrioti dell’Ucraina, l’ala militare del Partito Nazional Socialista Ucraino che, ovviamente, si chiamava così perché era una specie di club del libro per cultori di Kant e non – come pretenderebbero i propagandisti putinisti – perché vivevano nel culto di Adolf Hitler; partecipando con entusiasmo al golpe eterodiretto dagli USA, sperava di venire adeguatamente premiato e, invece, proprio mentre si preparava ad andare a fare un po’ di carne da macello di quegli impuri dei secessionisti russofoni, ecco la doccia fredda: “Palamar” riporta il Post “viene a sapere che la sua unità è stata bandita dal ricevere armi e addestramento dagli USA”. Ed ecco così che altre truppe delle guardie nazionali, spesso ideologicamente non molto diverse dalla sua, erano “invitate ad addestrarsi all’estero”; quei poveri ragazzi volenterosi (ma ingiustamente discriminati) di Azov, no. Ma siccome sono veri eroi, invece di abbattersi “si scaricavano i manuali della NATO online e imparavano da soli i vari protocolli dalle varie fonti aperte”; insomma: un po’ Hermann Goering, ma anche un po’ MacGyver. Il divieto USA è rimasto in piedi anche quando il battaglione Azov s’è ritrovato sostanzialmente da solo a resistere all’avanzata russa, come nella lunga battaglia dell’Azovstal che Palamar ha guidato direttamente dal fronte; anche in quel caso, le armi fornite copiosamente dagli USA hanno dovuto comunque almeno fare finta di fare un giro e passare da altre truppe, e anche se l’affermazione che Palamar fa al Post – addirittura di non aver mai ricevuto, durante l’assedio, sistemi d’arma USA – è piuttosto palesemente una cazzata, evidentemente questo trabagai qualche problemino l’ha provocato e ancora oggi gli ucraini sono convinti che, senza il divieto, gli aitanti neonazisti di Azov avrebbero probabilmente potuto resistere meglio e più a lungo.
Ma allora com’è che questo divieto cade proprio adesso? E, a quanto mi risulta, una volta che hai determinato “sulla base di fatti specifici” che quell’unità si è resa colpevole delle violazioni previste dalla Legge Leahy, non è che poi, di punto in bianco, decidi che chi ha dato ha dato e scordammoc o’ passat: la legge, infatti, prevede che il caso possa essere nuovamente rianalizzato, ma solo nel caso il Segretario di Stato determini – e riporti formalmente al Congresso – che il governo del paese in questione abbia compiuto passi concreti per assicurare che i membri dell’unità in questione, ritenuti responsabili di quegli atti, vengano consegnati alla giustizia; ma in Ucraina negli ultimi 2 anni non solo (per quanto è a mia conoscenza) non c’è mai stato neanche un singolo caso di un tagliagole azovita che è stato chiamato a rispondere dei suoi crimini, ma piuttosto ci sono stati vari episodi dove i tagliagole azoviti hanno minacciato (più o meno esplicitamente) Zelensky per non avergli garantito l’assistenza necessaria.
Il punto è che nonostante – per stessa ammissione degli USA – si tratti di un battaglione capeggiato da criminali neonazisti, la guerra si fa con quello che si ha, soprattutto quando le cose diventano complicate; e che le cose siano complicate, soprattutto dal punto di vista dell’arruolamento, sembra abbastanza conclamato. L’ultimo indizio sono queste foto pubblicate dall’agenzia di stampa turca Anadolu: mostrano alcune fasi dell’addestramento di un reparto di mobilitati ucraini nella zona di Kahrkiv e, come sottolineava un paio di giorni fa il nostro dall’Aglio sul suo account Facebook tra un eufemismo e l’altro, “oltre ad essere piuttosto anziane, le reclute non sembrano nemmeno particolarmente in salute, conseguenza probabilmente dell’eliminazione della categoria parzialmente abile che ha consentito di arruolare personale che prima non era preso in considerazione per il servizio attivo”. Per non dare adito a eccessivo wishful thinking, il nostro Bulgaro sottolinea come la mobilitazione “tutto sommato funziona”, ma – sottolinea con un altro eufemismo – “il materiale umano che si riesce a trovare non è più di prima scelta”.
Gli unici che sembrano riuscire ancora ad attirare quel pochissimo che rimane di gente veramente arruolabile sono, appunto, gli azoviti: in particolare, dall’assedio dell’Azovstal il battaglione è diventato il simbolo per eccellenza della resistenza del popolo ucraino “e Azov libero” sottolinea il Post “è diventato un grido di battaglia comune nelle proteste a Kiev”; grazie a questa aura, in pochi mesi il battaglione che, da circa un anno, è stato trasformato definitivamente in brigata all’interno della Guardia Nazionale, è stato in grado di reclutare 5000 nuovi soldati in perfetta forma fisica e psichica. Continuare a dover fare i peggio rigiri per armarli come si deve e quando serve è un lusso che evidentemente non ci si può più permettere, anche se significa riabilitare formalmente dei criminali neonazisti e pure violare, in modo piuttosto palese, la stessa legge statunitense. E voi che pensavate che il problema era che ormai avevano sdoganato addirittura la Le Pen… L’impero in guerra contro il resto del mondo è costretto a gettare la maschera della fiction liberaloide e ad affidarsi sempre più alle care vecchie camice nere, da Bruxelles all’Ucraina: forse, sarebbe il caso di darsi una svegliata. Per farlo, ci serve un vero e proprio media che, invece che al partito unico della guerra e degli affari, dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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OttolinaTV

13 Giugno 2024

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