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Abbiamo sbagliato tutto!!! Perché gli europei non credono a crisi e guerra e sono contenti così

E’ inutile girarci tanto intorno: il risultato delle elezioni europee, dal punto di vista di un ottoliner, è stato probabilmente il peggiore immaginabile possibile e, ovviamente, non certo per i motivi che sottolinea il mainstream. Al contrario della vulgata analfoliberale, infatti, non c’è stato nessun terremoto: la destra reazionaria avanza, ma in punta di piedi; l’astensionismo si consolida, ma non travolge proprio niente e nessuno; il tema della pace non ha spostato mezzo voto, e manco le conseguenze economiche della guerra. Completamente sconnessi dal contesto materiale concreto, nel vecchio continente sembra di essere ancora nel bel mezzo degli anni ‘90, con il sostanziale ritorno a un bipolarismo di facciata che è il miglior involucro politico possibile a difesa del dominio del pilota automatico che accelera il nostro declino e anestetizza ogni forma di conflitto: da una parte si consolida il vento in poppa di una destra reazionaria cialtrona e arraffona che, per strappare un accesso in zona VIP dopo anni di purgatorio, è pronta a svendere anche i parenti; dall’altra, una finta sinistra ZTL che, fuori tempo massimo, riesce ancora (nonostante tutto) a ricompattare le sue fila contro una fantomatica minaccia di deriva fascista che, nei fatti, contribuisce lei per prima ad alimentare.

Un pacifico patriota

Ovviamente rispetto agli anni ‘90 ci sono anche numerose differenze, direi tutte in peggio: la prima è che mentre negli anni ‘90 a giocare il ruolo degli underdog che scodinzolano ai piedi delle oligarchie e di Washington erano i rimasugli della sinistra di classe dei decenni precedenti, ora che quella finta sinistra è ormai completamente organica all’establishment quel ruolo tocca, appunto, alla destra post-fascista. Questo ha due conseguenze importanti: la prima è che ovviamente il baricentro del quadro politico, come evidente, s’è spostato molto a destra e continuerà a farlo fino a che nei libri di scuola non si parlerà apertamente di Pinochet come di un’avanguardia democratica e di Francisco Franco come di un pacifico patriota; la seconda è che l’idea che il nemico principale sia la finta sinistra analfoliberale, perché più subdola, mentre la destra – almeno – che è il nemico si sa, potrebbe rivelarsi uno stereotipo un po’ passato. Come confermano per la milionesima volta anche queste elezioni, infatti, a intercettare quel poco di voto dei subalterni che ancora c’è non è certo la finta sinistra che, ormai, è percepita dalle fasce popolari come il nemico principale; la finta sinistra, ormai, è puro establishment e prende voti in fasce della popolazione che magari, a livello di guerra culturale, criticano le derive più aberranti del sistema vigente, ma che compongono blocchi sociali sostanzialmente conservatori (che, cioè, dalla stratificazione di classe del capitalismo finanziarizzato imperialista maturo alla fine sperano di ottenere la difesa di alcuni piccolissimi privilegi). Da un certo punto di vista, il messaggio più chiaro e esplicito oggi è il loro: se guadagni meno è perché hai studiato meno e te lo meriti; se ti bombardo è perché non rispetti i valori che anche se li ho scritti io sono per forza universali, visto che ne so molto più di te, zoticone, e te lo meriti.
A inquinare i pozzi e a confondere i subalterni oggi, invece, sembra essere decisamente di più la destra fintosovranista che condivide con le fasce di popolazione più disagiate la grettezza, che diventa il vero piano dove sviluppare una connessione sentimentale con quelle fasce dell’elettorato ormai totalmente abbandonate dalla sinistra ZTL: prima di trasformarsi nella casa ideale dei ceti urbani e riflessivi, infatti, la sinistra concreta e materiale, ancorata a una dimensione di classe, vedeva nell’arretratezza culturale delle fasce popolari una conseguenza delle ingiustizie sociali e combatteva per la loro emancipazione; oggi, invece, abbandonato il materialismo in nome del liberalismo progressista, necessariamente vede nella grettezza una colpa individuale e quindi, letteralmente, odia e disprezza i subalterni per come sono realmente. Di fronte a questo odio profondo e viscerale esistono due risposte: la prima, delle frange più moderate, è il disprezzo vero e proprio; la seconda, delle frange più radicali, è quella che, nel tempo, è stata denominata buonista (o petalosa) e che consiste nel rimuovere idealisticamente la ferocia e la violenza generate dalle ineguaglianze e vivere così nel mito del buon selvaggio. E’ così, ad esempio, che si spiega la valutazione diametralmente opposta che le fasce popolari danno, rispetto alla sinistra petalosa, di un fenomeno gigantesco come quello delle migrazioni, che gli abitanti delle periferie vivono direttamente in tutta la sua drammaticità e violenza, mentre agli occhi della sinistra petalosa si trasforma magicamente in un gioioso inno alla diversità.
La destra reazionaria e fintosovranista condivide – ovviamente – con le due fazioni della sinistra ZTL la totale assenza di un piano per promuovere e sostenere l’emancipazione dei subalterni; però, invece di condannare le aberrazioni che la mancata emancipazione necessariamente produce, le fa sue e ci sguazza: il problema sociale dell’immigrazione, in assenza di soluzioni concrete, genera razzismo? Ed ecco che la classe dirigente della destra reazionaria diventa più razzista di chi quelle problematiche le vive sulla sua pelle; la mancanza di crescita economica e la deindustrializzazione creano enorme fasce di popolazione che vivono di economia più o meno informale e di evasione? Ed ecco che la classe dirigente della destra reazionaria cavalca la rivolta fiscale; gente senza il becco di un quattrino per adeguare le case dove vive ai nuovi standard o per comprarsi una nuova auto elettrica si ribella alle normative ambientali? Ed ecco che la classe dirigente della destra reazionaria ostenta SUV diesel 6000 di cilindrata e ville con abusi edilizi di classe energetica Z. Insomma: la destra reazionaria trasforma sistematicamente comportamenti dettati dalle condizioni materiali in elementi culturali identitari e, su questi elementi culturali, costruisce il suo legame con le classi popolari mentre, in termini strutturali, non fa altro che riprodurre quei meccanismi e quei rapporti sociali che determinano e rafforzano le condizioni di subalternità.
Ovviamente, sinistra ZTL e destra reazionaria sono due fazioni del partito unico della guerra e degli affari e sono entrambe nemici giurati di Ottolina Tv e degli interessi concreti del 99%, ma proprio per questa differenza profonda tra i blocchi sociali che riescono a intercettare, in questa precisa fase storica – almeno per chi, come noi, pensa che il nocciolo della questione sia permettere ai subalterni di individuare chiaramente i loro interessi concreti e la loro incompatibilità col sistema vigente – il nemico più insidioso è proprio la destra fintosovranista; la sua avanzata (per quanto tutt’altro che inarrestabile) in tutto il vecchio continente e la sua tenuta in Italia, nonostante ormai quasi due anni di governo al servizio delle oligarchie e di Washington e contro le masse popolari, di sicuro rappresenta la prima brutta notizia di questa tornata elettorale, ma – purtroppo – sicuramente non la sola. Il secondo aspetto, forse ancora più inquietante, è la sostanziale tenuta – appunto – della finta sinistra delle ZTL che oggi torna a rioccupare sola soletta lo spazio dell’alternativa, anche se solo di facciata, alla destra reazionaria. Tutti i più importanti esperimenti che, con tutte le contraddizioni possibili immaginabili, negli ultimi anni hanno rappresentato un tentativo di uscire dalla gabbia del bipolarismo, sono definitivamente naufragati: Podemos, in Spagna, ha superato di poco il 3%; la France Insoumise di Melenchon non raggiunge il 10; i 5 Stelle sono andati peggio della peggiore delle previsioni e la nuova formazione della Wagenknecht, seppure abbia raggiunto un 6% che, come debutto, è sicuramente dignitoso, non ha certo rappresentato lo tsunami che in molti di noi si auguravano.
Molto spesso nel mondo del dissenso circola questa forma di wishful thinking secondo la quale se una formazione non totalmente allineata non ha raccolto i risultati sperati è perché è stata troppo timida e moderata; in realtà, però, anche le formazioni più piccole e più radicali sembrano essere andate incontro alla stessa sorte. In sostanza, il problema non sembra essere stato (come è stato interpretato dalle varie formazioni) lo spazio del dissenso, ma proprio la mancata esistenza di uno spazio del dissenso in se che, infatti, non è riuscito ad andare ad alimentare nemmeno l’astensionismo. Intendiamoci: nei paesi a capitalismo avanzato la lunga parabola della controrivoluzione neoliberista ha cronicizzato una soglia di astensionismo altissima che mette in discussione dalle fondamenta la legittimità dei rispettivi sistemi politici e istituzionali, ma di fronte alla spudorata svendita degli interessi nazionali da parte di tutte le forze politiche principali – diventata così palese dall’inizio della guerra per procura in Ucraina – e di fronte all’incapacità delle forze politiche più o meno anti-sistema di catalizzare il dissenso, uno almeno si aspettava un aumento vertiginoso dell’astensione. E, invece, si parla di spiccioli: zero virgola; e uno zero virgola in meno rispetto al 2019 che, negli ultimi 20 e oltre anni, ha rappresentato una vera e propria anomalia in termini di affluenza per le europee. Insomma: il dato veramente inquietante, più che la crescita delle destre reazionarie, è il fatto che per il grosso dei cittadini europei, tutto sommato, non sta succedendo niente di particolarmente grave: né l’attualità di una crisi feroce, né la prospettiva di una guerra devastante è riuscita a convincere il popolo europeo che l’era del Business as usual e del There is no alternative sia tramontata, e hanno optato per il pilota automatico.
Questo dato di fondo fa ancora più impressione se confrontato con cosa succede nel resto del mondo: il 2024 infatti, come abbiamo discusso svariate volte in passato, è stato un anno ricco di appuntamenti elettorali che, sostanzialmente, in tutto il resto del mondo hanno avuto un segno diametralmente opposto al vecchio continente. Solo per restare agli ultimi appuntamenti elettorali, in Messico la vittoria di Claudia Sheinbaum è stata un avvenimento storico: fino ad oggi, infatti, il successo del governo popolare e sovranista di Lopez Obrador era attribuito – in buona parte – al suo carisma personale e tutti temevano che, con il passaggio dell’eredità, Morena (il partito politico fondato da AMLO) avrebbe inevitabilmente mostrato tutta la sua debolezza. La vittoria della Sheinbaum ha dimostrato, oltre ogni più rosea aspettativa, che nonostante le interferenze USA, i signori della guerra del narcotraffico e tutti i problemi strutturali del Messico, la spinta democratica e popolare verso la sovranità e lo sviluppo economico e sociale hanno permesso di costruire in tempo record una classe dirigente di tutto rispetto in grado di dare seguito al successo personale di Obrador, di raccogliere la sua eredità e di continuare a intercettare un sostegno popolare enorme.
Poco prima del Messico si era votato in Sud Africa, dove il partito di governo ha sì subìto un ridimensionamento, ma tutto a vantaggio di due formazioni politiche che chiedono un impegno ancora più esplicito e concreto verso l’emancipazione dall’Occidente collettivo e in direzione di un nuovo ordine multipolare. Nel febbraio scorso si erano tenute, invece, le elezioni in un altro colosso del Sud globale – l’Indonesia – dove a vincere era stato il candidato indicato dall’ex presidente Widodo che, durante i suoi due mandati, aveva imposto al paese un’importante svolta in senso democratico, popolare e sovrano allontanandolo dal dominio delle ex potenze coloniali e delle borghesie compradore nazionali.
Insomma: non senza contraddizioni, deviazioni e battute d’arresto, nel resto del mondo il lento e lungo cammino verso l’affermazione della sovranità popolare e la ripoliticizzazione dello spazio pubblico avanza inesorabile. Di fronte a questo trend storico inarrestabile, i popoli del vecchio continente che, negli ultimi 2 anni, è stato probabilmente l’angolo di pianeta più penalizzato in assoluto dalla guerra totale che il superimperialismo a guida USA ha ingaggiato contro il resto del mondo (e dove non si vede all’orizzonte nessunissima possibilità concreta di un cambio di rotta), hanno deciso di far finta di niente e inventarsi un mondo parallelo immaginario dove tutto può continuare ad andare avanti col pilota automatico come se niente fosse.

Un esempio di Bertyboy

In questo contesto, il segnale che, a livello nazionale, ho trovato forse il più inquietante di tutti è stato lo straordinario successo raccolto dalla lista Alleanza Verdi Sinistra, un vero tuffo indietro alla rifondazione di Bertinotti, un semi-partito completamente privo di elaborazione autonoma, impensabile al di fuori di un’alleanza organica con il partito democratico (del quale rappresenta, in estrema sintesi, una sorta di corrente esterna) e che, proprio come la rifondazione di Bertinotti, fonda il suo successo esclusivamente su alcune battaglie meramente culturali e su trovate estemporanee da pura società dello spettacolo. In questo caso si è trattato della candidatura, che dal punto di vista elettorale si è rivelata tatticamente geniale, di personalità indipendenti come Ilaria Salis e Mimmo Lucano (ai quali vanno i nostri migliori auguri) e che, al netto delle differenze soggettive – che pure hanno, ovviamente, un loro peso – sono un po’ i nuovi Vladimir Luxuria: attraverso le candidature personalistiche (ma non solo), Alleanza Verdi Sinistra è riuscita a intercettare, in particolare, il voto dei giovanissimi fino a diventare, nella fascia 18-24 anni, addirittura il secondo partito; ed, in particolare, è riuscita a intercettarlo nei principali centri urbani e nelle città universitarie dove, da Roma a Firenze, passando per Bologna, ha superato addirittura il 12%.
Ovviamente, di fronte a numeri del genere, io (che non riesco a farmi votare neanche all’assemblea di condominio) non mi posso che inchinare e riconoscere la superiorità dell’intelligenza tattica della scuola che da Bertinotti è stata tramandata ai Bertyboys e d’altronde, per molte delle posizioni espresse – dal salario minimo all’invio di armi – non posso che rallegrarmi che nel Parlamento europeo ci siano più rappresentanti di Alleanza Verdi Sinistra e nessuno di Azione o + Europa. Mi rimane però un dubbio: nei 20 anni durante i quali il voto della sinistra anti-sistema è stato interamente egemonizzato dalla Rifondazione di Bertinotti, la sinistra, da intercettare il consenso delle masse popolari, è riuscita ad essere percepita come il nemico pubblico numero 1 dei subalterni delle periferie; ho come l’impressione che ripetere lo stesso copione 20 anni dopo, mentre il nostro mondo è sull’orlo del baratro, non sia esattamente la mossa più lungimirante possibile, soprattutto mentre la destra reazionaria continua a consolidare la sua egemonia culturale tra i subalterni. E pensare che questa egemonia si possa contrastare a partire dalle tattiche elettorali che incontrano i favori delle future classi dirigenti in erba e dei ceti riflessivi dei centri urbani – che quei subalterni, non senza ragioni, li schifano – potrebbe non fare altro che accelerare e aggravare il problema. Purtroppo queste elezioni, al momento, non fanno che smentire l’idea che la crisi e la guerra non potessero che accelerare e approfondire la frattura tra le persone comuni e il partito unico che le governa; la risposta non può che essere un lavoro certosino, lungo e paziente, per ricostruire una narrazione in grado di intercettare le contraddizioni che i subalterni vivono quotidianamente sulla loro pelle e riportarle alla dimensioni delle lotta per la soddisfazione dei loro bisogni materiali – e il più lontano possibile dalle armi di distrazione di massa delle guerre culturali. Per farlo, più che una crocetta su una scheda una tantum, quello che di sicuro serve è un media che dia voce al 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

E chi non aderisce è Gennaro Migliore

Quest’estate torna FEST8LINA, la festa del 99%, dal 4 al 7 luglio al circolo ARCI di Putignano a Pisa: quattro giornate di dibattiti e di convivialità con i volti noti di Ottolina Tv. Facciamo insieme la riscossa multipopolare! Per aiutarci ad organizzarla al meglio, facci sapere quanti giorni parteciperai
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OttolinaTV

12 Giugno 2024

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